martedì 23 febbraio 2021

Le estati tra 1967 e il 1971. Capitolo V. Eeva e Katalin. 1968

La cultura va associata alla vita

 
Quell’estate non avevo alcuna possibilità di fare il massimo con Eeva che gradiva la mia compagnia sì, ma non oltre la cena.
Avevo invece davanti agli occhi la prospettiva di fare il massimo con una ragazza di Debrecen, Katalin, bella assai e molto bendisposta nei miei confronti.
Non la contraccambiai perché quella ventenne venusta parlava solo ungherese e il nostro dialogo era limitato, e per giunta pensavo che non fosse attirata tanto dalla mia persona quanto dalla parte che cominciava già a parermi squallida: quella del fighetto italiano con Mini Minor, scarpe, camicie, maglie, giacche di marca buona, cioè piuttosto costosa per uno studente.

La Magiara era bella ma poco espressiva e fine. Preferivo uscire con Eva siccome mi insegnava di più, pure con le sue membra non irreprensibili: mi motivava a comportarmi con intelligenza e buon gusto per essere accettato da lei anche solo quale commensale e compagno di cori cantati o danzati. Volevo frequentarla come maestra di stile. Era dotata di anima.
Ricordo una sera in cui andammo a ballare al Művesz che significa “Artista”. Fuori pioveva. Quella fu un’estate di piogge: un’estate non estate a Pesaro, a Debrecen, sullo Starnbergersee[1] dove morì annegato Ludwig, il sovrano lunatico. Morte senza resurezione del re pescatore.
Docce continue di gocce fredde cadevano spesso da un cielo privo di luci, quasi sempre coperte da nuvole acquose.

Quella sera Eva disse che aspirava all’arte poiché soltanto il contatto con la bellezza la faceva sentire viva.
“Già - rilanciai adulandola -
E in te beltà rivive
L’aurea beltade ond’ebbero
Ristoro unico a’ mali
Le nate a vaneggiar menti mortali”[2].
Poi aumentai la dose: “Beauty is truth, truth beauty”, that is all
Ye  know on earth, and all ye need to know,
Ye  know on earth, and all ye need to know,[3] “Bellezza è verità e verità bellezza”, questo è tutto/ quanto voi sapete sulla terra, e tutto quanto avete bisogno di sapere.
Troppo in una volta: da arricchito intellettuale.

Nel gennaio del ’65 avevo dato un esame complementare di letteratura inglese con un professore, l’ottimo Carlo Izzo, che non si fermava ai tecnicismi come quasi tutti gli altri e ne ero rimasto affascinato. Avevo studiato testi greci e latini per mio conto e pensavo già la letteratura in modo comparativo. Ma ancora con scarsa coscienza e intelligenza di come andasse  comparata alla vita.
Io citavo versi di poesia, Eva la poesia la viveva. E mi educava. Tutte le sere pendevo dalle sue labbra dandole in cambio poco più che la mia ammirata attenzione. Evidentemente non le bastava per contraccambiare il mio amore. Mi dispiaceva parecchio.
Cercavo di attirarla con uno abbigliamento non ordinario per studenti borsisti quali eravamo tutti in quel luogo e con una cura della persona quasi maniacale anche per reazione all’incuria ferina dei tre anni successivi al liceo. Ma la cosmesi migliore che è la ginnastica[4] non era ancora entrata con forza nel mio modus vivendi. Eva aveva capito che la bellezza da me sfoggiata era in gran parte esteriore, comprata.  Mi rivedo nelle foto di allora: avevo già perso una decina di chili ma ne avevo ancora dieci di troppo ero ancora grassoccio, come il porcellotto dell’Asino d’oro di Machiavelli. Pure l’aspetto doveva migliorare. Molti altri passi in erte salite c’erano ancora da fare. Il mio modo di vivere e di studiare non era adeguato alle mie aspiraziono. Avevo tradotto opere di Omero, Euripide e Virgilio senza capirne i significati profondi, sebbene avessi riempito decine di quaderni di versioni letterali e paradigmi verbali. Non era stato un lavoro inutile: capita che me ne serva tuttora. Ma allora non avevo associato lo studio alla vita, non sapevo trovare il momento opportuno per collegare quei versi alle mie azioni e aspirazioni. Avrei imparato a farlo nei tre anni successivi. Le meravigliose borse di studio sarebbero state le tre finlandesi della trilogia che probabilmente conosci, lettore. Helena, Kaisa e Päivi
 
Bologna 23 febbraio 2021 ore 16, 40 giovanni ghiselli
 
p.s
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[1] Cfr. T. S. Eliot, La terra desolata, 8. 
[2] Foscolo:  Ode all’amica risanata del 1803 (vv. 10-12)  (1803) 
[3] Sono gli ultimi versi dell’ Ode on a Grecian Urn ( del 1819) di John Keats 
[4] Cfr. Platone, Gorgia, 465b

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