domenica 28 febbraio 2021

Debrecen. Dopo Päivi. Capitolo III. Nefertiti. Il dialogo con Fulvio

Fulvio era uscito dalla csárda con me per darmi conforto. Dal 1966 era il mio amico migliore e il mio demone buono. Quel pomeriggio ne avevo bisogno. Provavo dolore dopo il litigio assurdo con la mia amante. Soffrivo poprio per l’insensatezza dello scontro, tanto che non ne ricordo causa né contenuto. Probabilmente un conflitto per il potere, potere su nulla del resto. “Non c’è cosa più amara del vuoto e della stupidità. Non ne posso più di quella cretina”, dissi.

L’amico rispose: “Gianni, devi rassegnarti all’imperfezione dell’amante. Sei troppo reattivo. Una donna come la cerchi tu non esiste su questa terra.

Dopo quattro anni di matrimonio con una non spregevole, laboriosa, fedele, io sono tornato a Debrecen senza peso preponderante di sposa. Questo è il decennale della nostra amicizia. Dovresti esultare pensando a come eri quando ti conobbi. Sei rifiorito in maniera miracolosa. Sei riuscito a dominare i mostri della notte che avevi dentro, a inserirli nel culto degli dèi. I nostri dèi che non sono falsi e bugiardi. Il mio Dioniso e il tuo Apollo. Non senza Afrodite,  Eros e il loro assistente Priapo. Dèi grandi.

 Tu, coerentemente,  fai collezione di amanti. Nefertiti è attraente. Pensa alla fame sessuale e affettiva del  ’66. Ricordo che ti lamentavi in continuazione e dovetti minacciarti di bastonate, addirittura agitando un randello sopra la tua testa”.

“E facesti bene, amico carissimo: mi hai salvato”.

“Lo so. Ma ora non ricadere nel dolore insensato. Questa tua di adesso è una ragazza gradevole, del tutto gratuita: non ti chiede nessun impegno.

 Che ti importa se capisce poco o niente? Difficilmente una donna, come un uomo del resto, può confrontarsi alla pari con una persona della nostra levatura mentale. Per giunta Nefertiti ha dieci anni meno di te”.

“Tu non le hai conosciute, perché nel ’71 partisti anzi tempo, poi non sei più venuto, ma io qui ho vissuto tre mesi di piena gioia con tre donne non meno intelligenti di me.”

Rarissimae aves”, fece l’amico. Sempre che tu non abbia applicato a quelle tre un’immagine visionaria partorita dalla tua stessa estasi.

Allora pensai: “Fulvio è ottimo ma non capisce le donne”.

Invece risposi: “veramente il parto riguardava  la prima e la terza”.

Poi, pentito per la battuta sgradevole e lacrimando per la polvere entrata negli occhi, seguitai: “Hai ragione, Fulvio, smetto di lamentarmi: mi è andata bene così. Mi vergogno e mi pento di essere ingrato a quelle donne benedette che mi hanno aiutato, e a te che ci sei ancora.

Però dopo la sparizione della terza finlandese io vivo senza l’amore e impiegherò il resto della mia vita mortale nel cercarlo. Lo studio e lo sport sono mezzi: il fine, la borsa di studio, è la donna bella, fine, intelligente, colta che mi merito. Ne trovai tre e credo che ce ne saranno altre.

“Nemmeno il dieci per cento dunque, contando tutte quelle che hai conosciuto fino a questo momento. La caccia alla donna ideale è aleatoria. Comunque te la auguro con tutto il cuore. Ma per mia esperienza, invero ne ho meno di te che cerchi compulsivamente l’amore, la tua donna ideale è davvero ideale. Forse la troverai nella Pianura iperurania della Verità[1] quando ci risalirai, il più tardi possibile. Ma qui, su questa piana terrestre accontentati: Nefertiti è belloccia, ha un’educazione accademica, è ben vestita, è pulita. Non è poco”
“Per me non è abbastanza. Quest’anno nell’Università estiva e internazionale ho cercato l’amante italiana per parlare meglio e di più, ma sai quanto erano migliori le finniche! Potevamo  ragionare di Eschilo o di Hegel, di Marx o di Freud , non senza fatica ma comprendendo e facendo comprendere tutto, seppure in inglese.  Questa non capisce niente: è la piattezza, anche se ha mammelle unbertose: è un piatto di carta con del cibo freddo.

 Il mio nutrimento, Fulvio caro, è lo spirito. Come il tuo. Tu una volta dicesti che bisogna sempre tenere un piede nella passera. Bene: io cerco quella spirituale e non so che farmene dell cutrettola dalla cauda trepida. Noi due per nutrirci la mente leggiamo molto, riflettiamo su tutto, poi per mantenere la salute, anche quella mentale, andiamo a correre a piedi o in bicicletta. Tiro avanti così, ma non sono felice: non mi piace stare sempre solo e mi garba ancora di meno annoiarmi in compagnia. Scusa, ho gli occhi pienni di polvere. Non è che pianga, però davvero non sono felice. Tu, vecchio mio, sei uno dei pochissimi con cui riesco a parlare. Con quasi tutti gli altri devo subire delle chiacchiere e replicare con battute ironiche”.

“Consolati gianni - concluse l’amico - Io sono sposato da anni e non con una cretina, ho una figlia che amo, però quando voglio nutrirmi nello spirito devo isolarmi. Tu le situazioni angoscianti con le donne le cerchi siccome hai molto di femminile dentro di te e  provochi le tue compagne perché facciano uscire le parti peggiori dell’anima loro dove tu possa riconoscere le tue per liberartene . E’ il gnw`qi seautovn, to; Delfiko;n gravmma, la scritta dell’ombelico del mondo che ti spinge a collisioni continue..

“Con le tre finniche non collidevo”

“No, però ti hanno lasciato tutte e tre. Eri troppo impegnativo, scomodo anche per loro”.

“Il fatto è che persone come noi non sono portate per il matrimonio né per la convivenza”

“Io almeno ci ho provato, ci sto provando ancora, pur con grande fatica. Ora sto facendo un intervallo”.

“Io ne ho sempre avuto paura. Anzi il terrore di perdere l’autonomia, cioè la pienezza della mia vita fatta di studio, di sport e di amori o presunti tali, ma ognuno a casa sua”

“ Lo so: tu sei fatto così, e la prova che sto ancora affrontando mi fa capire questa tua guardia alzata, questo tuo allarme.

Però non dimenticare il primo stasimo delle Baccanti

“Breve è la vita: per questo

uno che insegue grandi fantasie

non può conseguire quello che c’è”.

Colsi l’occasione per citare le pime parole in greco, cosa che piaceva tanto a me quanto all’amico. “bracu;" aijwvn”, ed è proprio perché è tanto tremendamente breve la vita che voglio viverla in pieno. Per questo non ho saltato le estati passate chiudendomi in casa con una mogliettina e mangiando ciascuno una mezza mozzarella: qui ho trovato tre volte le Grazie, qui il desiderio, qui mi è stato lecito, come alle baccanti, celebrare l’orgia  sacra benedetta da sacerdoti santi, i nostri amici Danilo, non meno dionisiaco di te, Claudio e Alfredo. Durante la luce e le amabili notti ho passato mesi felici. Cipide aleggiava nell’etere seminando l’amore”

“Capisco-mi fece concludere opportunamente l’amico- Adesso però  torniamo. Sarebbe scortese farle aspettare ancora”.

Gentile, gentiluomo di Parma.

 

giovanni ghiselli

 



[1] Cfr. Platone, Fedro, 248 b: “  jAlhqeiva" pedivon

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