martedì 23 febbraio 2021

Le estati tra 1967 e il 1971. Capitolo III. La mia primavera di Praga

A Praga tra il 10 e il 20 aprile del ’68 le notti erano ancora fredde come da noi in gennaio, ma non mi gelai, anzi le passai amabilmente nella stanza del collegio studentesco dove Helena mi teneva compagnia, calorosamente. Ora la ricordo tra le poche mie compagne del tutto oneste: mi frequentava senza altro scopo che stare con me e non mi chiedeva alcun impegno, nessuna rinuncia: pur troppo poco. Io nella mia coscienza, non più deforme ma ancora informe, in quel tempo non apprezzai abbastanza questa sua nobile rarità a me congeniale oltretutto. Non avevo ancora sufficiente esperienza della canaglia che frequenta soltanto chi mira a usare. Verificai del tutto la sua onestà quando tornai a Praga nel 1973. Ero disgustato da un rapporto utilitaristico, utile per un solo verso, ma deleterio per l’altro, e tornai a cercare la ragazza che mi aveva donato se stessa senza secondi fini.

Ebbene durante quella Pasqua cinque volte successiva, Helena non contraccambiò il mio desiderio di riprendere il nostro rapporto magari consolidandolo: nel frattempo si era impegnata con un altro e mi disse - al telefono - che non aveva ragione di tradirlo. Non le avevo telefonato dall’Italia perché ero sicuro della sua disponibilità. Sicché ci rimasi male, del resto la mia stima di lei aumentò e ora la ricordo tra le persone che mi hanno aiutato a capire e a vivere. Già allora per me Helena Schejbalova fu importate. Eppure non tanto quanto la rivolta etica del ’68. Nell’etica metto i costumi che il movimento di allora modificò. Ne assunsi quanto mi era congeniale, respingendo la parte che non si addiceva a me, sebbene di moda. Per esempio non ho mai fumato uno spinello nonostante le pressioni ricevute. Non ho mai rinnegato la letteratura a partire da quella antica, sbbene allora per tali motivi passassi da reazionario, retrogado, perfino fascista. Gli imbecilli che hanno ingrossato le assemblee e i cortei seguendo la moda, passata questa, poi hanno seguito tutte le successive sorelle della morte.

Il ’68 mi ha aiutato a riconoscere e autorizzare alcuni aspetti del mio carattere e mi ha fatto trovare diversi tratti del mio stile di professore: non demagogicamente permissivo come furono molti finché durò il movimento, né dispotico come tanti, magari gli stessi, durante la restaurazione, ma innanzitutto educatore inteso a promuovere la crescita umana degli studenti, a cercare con loro il potenziamento delle energie morali e pure della capacità estetica, del buon gusto. Da Helena dunque trassi coscienza delle mie forze, non piccole, come avevano cercato di farmi credere in tanti per trarre un qualche profitto dalle mie perdite

In luglio tornai a Debrecen per la seconda volta, già molto mutato da quello che ero quando ci ero arrivato due anni prima, desolato, deformato e spaventato. Ricordi lettore quale pena sentivo e facevo? Eppure mi era servita anche quella, siccome era l’intelligenza che mi faceva soffrire dandomi la comprensione che avevo sbagliato a credermi un dio nel tempo in cui ero il più bravo a scuola e con la bicicletta. Tutto quel dolore mi aveva insegnato che pensieri mortali si addicono ai mortali.


giovanni ghiselli

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