Commento alla “Cara Lettera” del cardinale Matteo Zuppi. Quarta parte
Imparare dalle sofferenze
“Cara Costituzione, abbiamo tanto bisogno di serietà e i tuoi padri ce lo ricordano. Spero proprio che noi tutti - a partire dai politici - sappiamo far tesoro di quello che impariamo dalle nostre sofferenze, cercando quanto ci unisce e mettendo da parte gli interessi di parte, scusa il gioco di parole” (M. Zuppi)
Imparare dalle sofferenze è un monito che mi impressionò, lasciò un’impronta (carakthvr) sul mio carattere quando lessi per la prima volta questa preghiera del coro dei vecchi Argivi nell’Agamennone di Eschilo (458 a. C.).
Il coro si rivolge a Zeus “chiunque egli sia” (v. 160)
Prima c’è stato Urano, grande e pieno di audacia bellicosa (169), poi venne Crono che ingoiava i popri figli, ma uno di loro, Zeus, lo sconfisse e diede ordine al Caos
Egli ha posto la legge del tw`/ pavqei mavqo~ (177), attraverso la sofferenza, la comprensione.
Goccia invece del sonno davanti al cuore la pena che ricorda il male (stavzei d’ ajnq j u[pnou pro; kardiva~-mnhsiphvmwn povno~ , 179-180) e anche a chi non vuole giunge l’essere saggio.
Arriva con violenza la grazia degli dèi (182).
Alla sofferenza dunque deve associarsi la comprensione
Un nesso che ha avuto un largo seguito nella letteratura europea.
La sofferenza è causata spesso dai nostri errori, ma se poi il dolore che ne consegue ci aiuta a capirli, esso si muta in intelligenza, in comprensione. Ne segue la consolazione
Al pavqo" dunque deve associarsi il mavqo" , al dolore, se vogliamo superarlo, deve seguire l’intelligenza del dolore
Faccio alcuni esempi presi dalla letteratura ma ciscuno di noi potrebbe trali dalla propria vita.
Creso, il ricchissimo e pacchiano re di Lidia, che si era illuso di essere l'uomo più felice della terra, dopo essere stato sconfitto e catturato da Ciro il Vecchio, il fondatore dll’impero persiano (VI secolo a. C.), comprende che c'è un ciclo delle vicende umane il quale non permette che siano sempre gli stessi uomini a essere fortunati:"ta; dev moi paqhvmata ejovnta ajcavrita maqhvmata gevgone", le mie sofferenze che sono state spiacevoli, sono diventate apprendimenti gli fa dire Erodoto che ne racconta le vicende fiabesche (Storie, I, 207, 1-2).
Un altro caso di resipiscenza possiamo trovare nell'Alcesti di Euripide (438 a. C.). Admeto, sentendo il peso della solitudine dopo avere chiesto alla giovane moglie il sacrificio della sua vita per salvare la propria, soffre la desolazione nella quale è rimasto e dice:"lupro;n diavxw bivoton: a[rti manqavnw", condurrò una vita penosa: ora comprendo (v.940). Soffrendo ha capito e in seguito la sposa portata via da Qavnato" gli verrà restituita dalla possa di Eracle.
Per non limitarmi alla letteratura greca aggiungo alcuni autori successivi facendo una scelta limitata per ragioni di spazio.
Virgilio. Nell'Eneide Didone incoraggia i Troiani giunti naufraghi sulle coste della Libia ricordando che anche lei è esperta di sventure le quali l'hanno resa non solo attenta e diffidente, ma pure compassionevole verso i disgraziati:"non ignara mali miseris succurrere disco "(I, 630), non ignara del male imparo a soccorrere gli sventurati. Tanta humanitas non verrà contraccambiata da Enea. Eppure questo è uno degli insegnamenti massimi dei nostri autori e dovrebbe esserlo nella scuola :"E infine, possiamo imparare la lezione fondamentale della vita, la compassione per le sofferenze di tutti gli umiliati, e la comprensione autentica"[1].
Friederich Schiller impiega la norma del tw'/ pavqei mavqo~ in alcune delle sue tragedie, particolarmente nella Maria Stuarda (1802): “il personaggio della infelice regina cattolica sembra tra tutti il più adatto ad essere il fulcro d’una tragedia di ispirazione euripidea (…) secondo quelle leggi drammatiche già prospettate nel saggio Vom Erhabenen, 1793, per le quali “Se la prima legge dell’arte tragica è rappresentare la natura sofferente, la seconda legge è rappresentare la resistenza morale a quelle sofferenze”[2].
Maria muore non solo rassegnata ma felice del proprio matirio: “La prigione si apre,/e lieta la mia anima vola/verso l’eterna libertà (…) ora/ benefica e dolce mi si affianca/la morte come una severa amica (…) Sento/di nuovo sul mio capo la corona/e l’antica dignità rivive/nell’animo lavato dal dolore” (V, 4).
H. Hesse, in Siddharta esprime con queste parole l'antica legge eschilea del tw/' pavqei mavqo":"Profondamente sentì in cuore l'amore per il figlio fuggito, come una ferita, e sentì insieme che la ferita non gli era stata data per rovistarci dentro e dilaniarla, ma perché fiorisse in tanta luce" (parte seconda, capitolo 6, Il figlio) .
Infine M. Proust: “Si diventa morali appena si è infelici (…) I castighi si crede di evitarli perché stiamo attenti alle carrozze quando si attraversa la via, perché evitiamo i pericoli. Ma ve ne sono di interni. L’incidente viene dalla parte cui non si pensava, dal di dentro, dal cuore (All’ombra delle fanciulle in fiore, Parte seconda nomi di paesi; il Paese, p. 219).
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Abbiamo bisogno di vero “amore politico”!
Tu ci rammenti che non possiamo derogare dai doveri della solidarietà (art.2) che sono intrecciati con i diritti. Questi esistono e si sviluppano (insieme alla personalità) nei gruppi sociali intermedi tra l’individuo e lo Stato: la famiglia, prima di tutto, ma anche le associazioni e i gruppi sociali, religiosi, ecc. Per te l’unità prevale davvero sul conflitto (artt. 10 e 11).
Amore politico è amore per la comunità della povli", dello Stato, del prossimo e pure del lontano. Tale ajgavph , siffatta caritas, non può scindersi dall’amore per la vita e dall’amore per la propria persona: ama il possimo tuo perché è te stesso!
Nella seconda commedia della trilogia pirandelliana del teatro nel teatro, Ciascuno a suo modo, l'attrice Delia Moreno afferma:"Sapete che cosa significa "amare l'umanità"? Soltanto questo:"essere contenti di noi stessi"[3]. Quando uno è contento di se stesso "ama l'umanità"[4].
Soffrire, capire e amare sono interdipendenti.
“Non c’è peccato peggiore, nel nostro tempo, che quello di rifiutarsi di capire: perché nel nostro tempo non può scindersi l’amare dal capire. L’invito evangelico che dice “ama il prossimo tuo come te stesso” va integrato con un “capisci il prossimo tuo come te stesso”. Altrimenti l’amore è un puro fatto mistico e disumano”[5].
“Intelligenza e indulgenza apparivano a Giuseppe due pensieri strettamente affini, reciprocamente scambievoli e portatori perfino di un nome comune: bontà”[6].
“si linguis hominum loquar et angelorum, caritatem autem non habeam - ajgavphn de; mh; e[cw - factus sum velut aes sonans aut cymbalum tinniens (Paolo, Prima Lettera ai Corinzi, 13, 1).
giovanni
ghiselli
[1] E. Morin, La testa ben fatta, p. 49.
[2] Schiller Tutto il teatro 3, Introduzione di Paolo Chiarini, p. 108.
[3] Cfr. Seneca Ep. 9, 13: Se contentus est sapiens.
[4] L. Pirandello, Ciascuno a suo modo (del 1924), atto I. Le altre due commedie della trilogia sono Sei personaggi in cerca d'autore (del '21) e Questa sera si recita a soggetto (1929).
[5] P. P. Pasolini, Le belle bandiere, p. 103.
[6] T. Mann, Giuseppe in Egitto, p. 257.
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