il Brenta a Tezze |
“Mi dia un’aula soleggiata - gli chiesi - la scuola è arrivata agli ultimi giorni ma io e i miei allievi vogliamo continuare a studiare insieme fino agli esami.”
“Non voglio che lei trasformi questa scuola onorata in un club di sovversivi” rispose.
“Casomai sarebbe il tiaso santo di una confraternita la cui religione è lo studio”
“Cossa vu to. Lei può vedere le ragazze solo nelle ore scolastiche secondo il calendario ministeriale e l’orario ricevuto da me. Altrimenti si aspetti una censura che la rimanderà da dove è venuto.”
“E i ragazzi?” gli feci?
Non rispose e fece spallucc.
“Ho capito, ho sentito” conclusi.
Continuai a tenere lezioni pomeridiane nello spiazzo davanti alla scuola, sotto la finestra del preside, dove c’erano i tavolini del bar Centrale.
Seguitai a studiare e a fare lezione fino alla vigilia dell’esame.
Sapevo che lo stipendio non bastava a ripagare il mio lavoro, anzi non sarebbe bastato nemmeno a mantenermi dignitosamente così lontano da casa. Per la dignità morale e intellettuale ci voleva lo studio con l’impegno educativo, per quella materiale l’aiuto della zia Giulia di cui ho detto.
Il preside, che non voleva o non sapere essere nemmeno del tutto cattivo, non mi mandò la censura ma mi valutò Valente invece di Ottimo dato a ciascuno degli altri insegnanti, con tutto che in marzo ero stato l’unico dei giovani a superare lo scritto dell’abilitazione.
La mattina del 29 ottobre 1969, dopo il telegramma kafkiano, tornai dal preside che mi disse: “Comincerà domani. Per oggi rimane la professoressa cui lei ha tolto il lavoro per ora”. Prendeva tempo: forse sperava ancora di trovare il modo di allontanarmi. Seppi poi che quella supplente nominata e sostenuta da lui era iscritta al secondo anno di lettere. Non che la laurea trasformi un cretino e un ignorante in un educatore colto, ma le leggi che possono costringere gli uomini a essere imparziali erano dalla mia parte e lui ebbe il coraggio di violarle solo penalizzandomi di due punti, con la qualifica che era un giudizio politico.
Quella mattina libera andai dunque a esplorare i dintorni con la Mini minor.
A Tezze sul Brenta fui attirato dall’acqua del fiume che rifletteva il campanile del paese e la santa faccia del sole, immagine visibile di quella divina. Mi fermai a fissare la corrente come facevo a Moena con quella precipitosa del torrente Avisio. Questa era più lenta e un po’ meno limpida. Sul greto sassoso c’erano due cacciatori con dei cani che correvano su e giù. Erano snelli, muscolosi, vitali. Come me, cercavano qualche cosa. Volevo trovare la mia parte di giovane uomo nella vita siccome quella del ragazzo studente l’avevo già recitata tutta dalle elementari di Pesaro alle Università di Bologna e di Debrecen.
Le estati precedenti erano state scuole di vita. Dovevo interpretare bene il nuovo ruolo che il destino mi aveva assegnato in quel paese lontano, tra gente remota e strana. L’acqua non era torbida. Si potevano contare le pietre sommerse. Il sole galleggiava nel fiume come un canotto rotondo e risplendeva in cima al campanile come la mela, e la ragazza di Saffo troppo elevata per essere còlta. Helena distava ancora due anni, Kaisa tre, Päivi cinque, Ifigenia nove, con diverse altre in mezzo. Ne sarei stato felice se l’avessi saputo ma in quel momento prevedevo solitudini grandi e lunghe, mesi o anni di ascetismo da anacoreta. Salìì al castello di Marostica. Era circondato da tanti voli di uccelli. Le foglie dei ciliegi erano vizze ma ancora verdi, i pampini delle viti già arancioni o purpurei. Nell’aria aleggiavano numerosi gli uccelli fcendo girotondi intorno alla mia malinconia solitaria. Finiva la stagione meno dolente delle quattro, e un’epoca della mia vita mortale. Il giorno seguente sarebbe iniziata l’era del gianni ghiselli professore di lettere in una scuola media.
Bologna 26 febbraio 2021 ore 16, 53
Statistiche del blog
Sempre1094878
Oggi223
Ieri378
Questo mese9575
Il mese scorso12853
giovanni ghiselli
Nessun commento:
Posta un commento