le Supplici, Teatro Antico di Taormina |
Leggo nella prima pagina del quotidiano “la Repubblica” di oggi 11 febbraio 2021.
“E’ tutta Italia, ormai, piena di compagni, mariti, ex che picchiano con ferocia, talvolta riescono anche a uccidere e quindi affrontano la galera sicuri di avere fatto la cosa giusta.” La firma è di Brunella Giovara.
Queste parole non solo istigano all’odio delle femmine contro i maschi, ma sono false. L’Italia non è “piena” di uomini di ogni categoria, tranne i consanguinei, che maltrattano e addirittura uccidono le donne.
Per prima cosa quei maschi criminali, che pure ci sono, non costituiscono la maggioranza di noi italiani, poi quei delinquenti non sono uomini ma belve feroci e bisognerebbe insegnare alla femmine umane, fin da bambine, a evitarli fin dal primo cenno di violenza: deve bastare una parola irriguardosa per evitare tale canaglia.
Propongo che vengano messi al bando tali articoli diffamatori non solo degli uomini rispettosi delle donne, ma anche delle donne che vanno d’accordo con gli uomini.
Ci siamo scambiati aiuto, talora perfino gioia e dobbiamo subire tale denigrazione di tutta la specie umana?
Eschilo ha raccontato in termini meno irrealistici la collisione tra i sessi che c’è sempre stata. e sempre ci sarà, ma può e deve portare alla conciliazione per la sopravvivenza stessa della nostra specie. Ascrivo chi fomenta l’odio tra donne e uomini tra gli assassini della specie umana.
Leggiamo dunque alcuni versi della tragedia le Supplici ( jIketivde") di Eschilo.
Le Supplici sono le cinquanta figlie di Danao le quali, aujtogenei' fuxanoriva/ (v.8), per connaturata avversione all'uomo, fuggono accompagnate dal padre, volendo evitare le aborrite nozze con i cinquanta cugini figli di Egitto i quali le inseguono.
Le fanciulle, giunte ad Argo, invocano la protezione del re del luogo Pelasgo, siccome sono di origine argiva: discendono infatti da quella Iò, figlia del re di Argo Inaco, che era stata resa demente e trasfigurata in una mucca[1] assillata da un tafano in conseguenza dell'amore di Zeus e della gelosia di Era.
Una storia raccontata nel Prometeo incatenato.
Queste odiatrici delle nozze vedono nei cugini pretendenti uno sciame violento, pieno di maschi ( ajrsenoplhqh' d j- eJsmo;n uJbristhvn, vv. 30-31) lanciato al loro inseguimento.
Le cinquanta femmine costituiscono una folla impaurita, giunta ad Argo con rami avvolti in bende di lana[2] (ejriostevptoisi klavdoisin, v. 23).
Esse chiedono l'aiuto dell’ antenato, Epafo, il divino torello oltremarino (Supplici, vv.41-42) nato in Egitto dal tocco[3] di Zeus alla giovenca che si pasceva di fiori. Un semidio teriomorfo, identificabile, forse, con il dio-toro egiziano Api.
Il matrimonio per le Danaidi è sinonimo di orrori [4]: le fanciulle in preda al terrore assimilano la loro voce a quella di Procne, la sposa di Tereo (v. 61) trasformata in usignolo dopo che ebbe ucciso il figlio Iti per punire il marito il quale le aveva violentato la sorella Filomela. Tereo fu a sua volta mutato in upupa, e la cognata, così barbaramente stuprata, in rondine. Questo mito raccapricciante, raccontato o richiamato da diversi autori in varie altre versioni[5] è emblematico per significare l'orrore di un matrimonio andato a male.
Sono ricorrenti i paragoni con gli uccelli: nel primo episodio Danao, il padre delle ragazze, assimila i maschi inseguitori a falchi, "stirpi di nemici consanguinei e profanatori" (vv. 225), mentre le figlie fuggiasche sembrano colombe atterrite. Viene ripetuto il motivo dell'inimicizia mortale tra gli uomini e le donne che pure appartengono alla stessa specie.
Un odio empio, nota subito Eschilo: "come può restare puro l'uccello che divora un uccello fatto a pezzi ?" (o[rniqo" o[rni" pw`" a}n aJgneuvoi fagwvn; v. 226). Traduco “fatto a pezzi” siccome o[rniqo" è un gentivo partitivo in poliptoto.
Nel Prometeo Incatenato [6] l'aborrimento delle Danaidi per gli sposi è profetizzato da Prometeo che prevede alla loro antenata Iò, la ragazza - giovenca demente, l'assassinio di quarantanove dei mariti da parte di quarantanove sorelle e la lodevole eccezione di Ipermestra la quale risparmierà Linceo: "una delle fanciulle il desiderio sedurrà a non ammazzare lo sposo, e le si smusserà il proposito[7], tra i due mali preferirà avere fama di debole che di assassina"( vv. 865-868).
giovanni ghiselli
p.s
Riconosco l’indulgenza generosa della cronista che non ha menzionato i figli maschi i quali ammazzano la madre e il padre. Ma qui non c’entra il rapporto sessuale tra carnefice e vittime. Ecco perché.
[1] Cfr. Io… iam satis obsita, iam bos (Eneide, VII; 789-790), Io già coperta di peli, già vacca.
[2] Questo è il segno dei supplici anche nell’incipit dell’Edipo re che inizia con queste parole del figlio di Laio: “ O figli, nuova stirpe dell'antico Cadmo/quali seggi mai sono questi dove state seduti/con i supplici rami incoronati?" (vv. 1-3).
[3] Cfr. ejfavptw, "metto la mano sopra".
[4] Cfr. la scheda Espressioni contrarie alle nozze successiva al v. 554 della Medea.
[5] Ne fa un lungo racconto in esametri Ovidio nelle Metamorfosi (VI, 426-674) cui allude Eliot per significare la decadenza del mito nella ricezione degli uomini moderni: "The change of Philomel, by the barbarous king/So rudely forced; yet there the nightingale/Filled all the desert with inviolable voice/And still she cried, and still the world pursues,/'Jug Jug' to dirty ears " (The Waste Land , vv. 99-103), la metamorfosi di Filomela, dal barbaro re così brutalmente forzata; eppure là l'usignolo riempiva tutto il deserto con voce inviolabile, e ancora ella piangeva e ancora il mondo continua 'Giag Giag' a orecchie sporche. Il canto della voce inviolabile di Filomela è degradato e dissacrato, poiché suona oramai solo naturalisticamente come un "giag giag" per le orecchie inquinate del mondo contemporaneo.
[6] Di data incerta. Non è sicura nemmeno la paternità eschilea, per la quale comunque io propendo.
[7] Diversamente da Medea!
Nessun commento:
Posta un commento