sabato 27 febbraio 2021

La bellezza della terra, III parte

Frammento papiraceo del Fedro
Platone

L'idea della bellezza è la più vivamente riprodotta nel mondo sensibile ed è particolarmente efficace nel risvegliare il ricordo.
La bellezza ha ricevuto questa sorte di essere l’idea che rimane più manifesta e amabile qua sulla terra. Nella pianura della realtà, met ’ ejkeivnwn, tra quelle idee, e[lampen o[n, quella della bellezza brillava come essere (Fedro, 250d).
 
Socrate invece non è ancora tanto sensibile alla bellezza della natura quanto all’apprendimento che può derivargli dal dialogo con gli uomini: la ajnqrwpivnh sofiva (Platone, Apologia di Socrate, 20 D)
 
All’inizio del Fedro
Il filosofo descrive il paesaggio che fa da cornice al dialogo: kalh; ge hj katagwghv (230 b)  davvero bello il luogo.
C’è un plavtano" ajmfilafhv", un platano grande, alto e frondoso, un lungo agnocasto  dall’ombra bellissima e la sua fioritura profuma il luogo.
Sotto il platano scorre una fonte gradevolissima phgh; cariestavth ujpo; th`" platavnou- dall’acqua fresca come si può sentire con il piede.
Amabile e veramente piacevole è il venticello del luogo. L’ armonioso suono dell’estate risponde al coro delle cicale. L’erba di questo dolce declivio sembra cresciuta perché vi si possa appoggiare la testa.Quindi Socrate ringrazia Fedro per la scelta del luogo.
Ma Fedro gli risponde che è lui è ajtopwvtato", del tutto strano, fuori posto, come se non fosse mai uscito dalle mura
Allora Socrate chiede scusa - suggivgnwkev moi, w\ a[riste, ma io sono
di filomaqhv~, uno che ama imparare: “ ta; me;n ou\n cwriva kai; ta; devndra oujde;n m j ejqevlei didavskein, oiJ d j ejn tw`/ a[stei a[nqrwpoi” (230d), e i luoghi di campagna dunque e gli alberi, non vogliono insegnarmi niente, gli uomini della città, invece sì.
La sofiva di Socrate infatti è ajnqrwpivnh sofiva, sapienza relativa all’uomo. Tw'/ o{nti ga;r kinduneuvw tauvthn ei\nai sofov~ (Apologia, 20d) in questa infatti io sono probabilmente saggio davvero.
 
Ma conclude Socrate, tu mi hai portato fuori dalla città tendendomi davanti discorsi scritti nei libri come si fa con gli animali affamati quando viene agitato davanti a loro un ramoscello verde o un frutto. Si tratta di un discorso di Lisia sull’amore
Le cicale che sono spesso presenti nelle descrizioni della natura estiva tornano più avanti (259 b) con un mito che le riguarda.
 
Il mito delle cicale
Si dice che una una volta le cicale erano uomini - “levgetai d’ w{" pot’ h\san o|utoi a[nqrwpoi”. Era il tempo precedente la nascita delle Muse. Ma quando giunsero queste portando il canto, alcuni di quegli uomini furono colpiti dal piacere al punto che cantando trascuravano cibo e bevande, quindi morivano senza accorgersene - ejxeplavghsan uJf j hjdonh`" w{ste a[/donte" hjmevlhsan sivtwn te kai; potw`n, kai; e[laqon teleuthvsante" aujrouv" (Fedro, 259c). Da questi derivò in seguito la stirpe delle cicale to; tettivgwn gevno" che dalle Muse ricevettero il dono di non avere bisogno di cibo fin dalla nascita in modo che cominciassero subito a cantare senza cibo né bevanda e così fino alla morte. Dopo la morte le cicale vanno dalle Muse a riferire chi tra gli uomini sulla terra li onori e quale di loro ciascuno onori. Le Muse che hanno maggior cura del cielo e dei discorsi divini e umani sono Tersicore, Erato, Calliope e Urania. Queste mandano bellissimi suoni di voce e le cicale sono le loro profetesse. 

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