Il Motel Palace era grande,
pulito e confortevole. Il portiere educato. Mi assegnò una camera del sesto
piano, la 64. Pensavo che ci sarei rimasto poche notti, e non perché volessi
andare a vivere nell’albergo ristorante Centrale posto davanti alla scuola
media Ugo Foscolo, ma per il fatto che speravo di ricevere un incarico di
insegnamento anche da Bologna. Quell’anno si era potuto fare domanda in due province e Padova era arrivata prima, ma
credevo che sarebbe giunta presto anche l’altra. Avevo bisogno di quella
speranza. La prima sera mi avrebbe sconfortato l’idea di passare quindici mesi
in quel motel fuori dalle umide mura di
Cittadella e cinque anni a Carmignano di Brenta. Invece era il mio destino. E
non era un cattivo destino, anzi. Comunque a poco a poco mi ci abituai, e verso
la fine dell’anno scolastico, nel giugno del 1970, ne ero contento siccome
sentivo che quel mio esilio non era vuoto di significato: avevo instaurato un
ottimo rapporto, da educatore, con i miei ragazzini. Educatore e fratello
maggiore.Scuola di Carmignano di Brenta
Ne ho tuttora i riscontri indubitabili: con diversi di loro ho conservato rapporti di stima e affetto. Alcuni li ho frequentati anche dopo il mio ritorno a Bologna. Una sera mi invitarono a cena con il collega di Matematica Giuseppe Graziani e ci dissero: “Gianni e Peppino: siete la nostra storia”. Avevano oramai sessanta anni. Ieri un’allieva della terza media di allora ha scritto nel mio facebook, dopo avere letto il capitolo precedente: “La tua venuta a Carmignano è stato un regalo immenso!!!”.
E’ stato un munus reciproco, carissima e ottima alunna di quando eravamo entrambi molto più giovani, un dono e un compito che voi scolari mi avete contraccambiato accresciuto.
L’inverno 69-70 fu tetro, difficile, duro, però potei superarlo bene perché gli allievi mi piacquero subito e mi piaceva imparare ad aiutarli mentre loro aiutavano me apprendendo da me e con me. Io li invitavo a crescere, a maturare con l’aiuto dei libri raccontati, e loro, ascoltandomi con attenzione, mi motivavano a diventare meno superficiale, ignorante, egoista di quanto ero stato prima di quell’esperienza, educativa innanzi tutto per me.
La solitudine delle tenebrose giornate d’inverno dopo la scuola non fece scemare le mie energie spirituali, anzi le rafforzò e proprio per il fatto che insegnare educando quei ragazzini mi piacque subito molto.
Tiravo fuori da loro e valorizzavo la parte migliore, mentre gli allievi facevano lo stesso con me. Per avere qualcosa di bello, piacevole e utile da raccontare ai miei giovanissimi compagni di scuola, passavo i pomeriggi a studiare, scolaro io stesso a Carmignano di Brenta.
Così mi salvavo dall’ozio, dalla noia, dalla degradazione. Ancora non avevo letto nulla di Dostoevkij ma già allora con ottimo istinto sentivo e capivo che i bambini mi curavano l’anima[1].
giovanni ghiselli
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[1] Cfr. L’idiota I, 6.
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