“Sollèvati dal suolo, infelice - mi dicevo - alza da terra la testa desolata e drizza la schiena curva: non è la fine del mondo questa e tu devi smettere di essere l’arcinfelice ragazzo che sei divenuto finito il liceo. Dai Gianni, coraggio, puoi farcela. Devi arrivare a Debrecen presto e cercare l’amore e trovarlo. Questo viaggio è il simbolo, la metà della tessera, della tua stessa esistenza: sei solo, sei coperto di nebbia, sei disgraziato e gravido di lacrime, ma ce la farai, poiché non sei stupido, né falso, né ostile alla vita. Ricordati come eri bravo e primeggiavi in tutte le scuole di Pesaro. Con la bicicletta in salita eri sempre il più egregio di tutti i competitori. Alumnus optimus e pure ajgwnisthv" a[risto". Allora non hai trovato l’amore perché impiegavi ogni tua energia per essere il primo nell’agonismo scolastico e ciclistico. In salita a dieci anni battevi i ventenni. In seconda liceo hai vinto un viaggio premio assegnato ai trenta studenti migliori d’Italia. O grandi vanti umiliati! Presto però ti rifarai! Nessuno deve riferire a te il lamento di Ofelia per Amleto: “ O, what a noble mind is here o’erthrown !”[1].
“A Bologna finora hai dovuto cercare di adattarti a un mondo esterno sconosciuto e imprevedibile finché stavi in quel mortorio di Pesaro[2] e in quell’ambiente domestico pieno di pregiudizi, infelicità e frustrazioni. La fortuna è mutevole: cambierà ancora! Soffrire in questi ultimi anni è stato destino, ma vedrai che splendore avrà la vittoria!”
Sceso dai monti, a un tratto, sulla sinistra, vidi una luce.
Per un momento credetti e sperai che fosse il sole sbucato di nuovo dalle nuvole occidentali. Invece era un lampione giallognolo, acceso contro il buio precoce. Saranno state sì e no le sette: in quel tempo la provvida ora legale non c’era. Certamente dal sole, che ho sempre adorato come l’immagine visibile della mente divina e del Bene, avrei tratto maggiore conforto. Quel fioco bagliore non era un segno del tutto propizio. Nemmeno sinistramente ominoso era, però. Era una luce triste, ma pur sempre una luce.
“Avanti-mi dissi-avanti, ché ce la puoi fare. Non volgere la prua della tua navicella contro la corrente del destino! Procedi con lei! Fatti portare sulla riva della rinascita! Devi armonizzare i movimenti del tuo cervello con quelli del cielo, mentre prima hai dato di cozzo nel fato che è il volere, la parola di Dio!”.
Verso le otto arrivai a Graz sotto un’acquazzone violento e il cielo più buio che mai.
Le lampade elettriche illuminavano l’asfalto bagnato della circonvallazione dove scura dai campi colava la terra disciolta e trascinata dalla forza dell’acqua che si infangava e rendeva scivolosa la strada. Mi sembrò di vedere trascinati nel fango anche scoiattoli spelacchiati, dalla coda mozza, e pesci debosciati, privi di guizzi. Infine intravvidi un un pesce salato del Ponto appeso a un amo. Allora, nel dormiveglia compresi che si trattava di visioni oniriche pullulate da ricordi di cose viste o di parole lette. Difatti mi ero assopito.
Tanto che in una curva sbandai e finìi fuori strada. E mi svegliai del tutto.
Passato il terrore mi dissi:“Tutta la vita così”.
Avevo assunto una posa e un’espressione da attore tragico. La tragedia greca mi è sempre piaciuta assai. Mi ci immergevo, ne traevo modelli e contromodelli.
“Sarà dura arrivare in fondo, quando dirò ‘non doveva finire così’ ”.
Giocavo anche un poco con la sfortuna e con il dolore.
Cercavo di reagire alla stanchezza e alla paura. Quindi ricorsi al modello epico e mi sovvenni di Achille che, incalzato dallo Scamandro temeva di fare la stessa misera morte di un bambino porcaio travolto da un torrente in piena[3]. Poi invece se l’era cavata.
Volevo dunque trovare una camera dove passare la notte già cominciata.
Immerso nel buio e nella solitudine profonda, guardavo le case lungo la strada, ma l’oscurità e la grande miopia mal corretta dagli occhiali appannati mi rendevano difficile la ricerca dell’asilo notturno. Ero ancora lontano dalle lenti a contatto che avrebbero contribuito a migliorare il mio aspetto. Mi ero allontanato da tutto ciò che poteva giovarmi. Tranne lo studio che non ho mai abbandonato del tutto. L’ho sempre visto come la mia stella polare.
Gli animali e pure gli umani potevano anche schifarmi e io provare disgusto per coloro, ma gli auctores, i miei accrescitori non li ho traditi mai, nemmeno per dedicarmi del tutto a una donna desiderosa di un figlio.
Bologna 10 febbraio 2021 ore 19,42
giovanni ghiselli
p. s
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[1] Shakespeare, Amleto, III, 1, o quale nobile spirito è qui distrutto! Avevo dato un esame di letteratura inglese ricevendo la lode. Ricordo con affetto il professor Carlo Izzo che mi elogiò non solo con la lode aggiunta al trenta. Era un bravo professore e un prezioso educatore. Uno dei pochi, davvero pochi.
[2] Cfr. Catullo, Carmina 81, 3 moribunda ab sede Pisauri
[3] Cfr. Iliade,
XXI, 281-282
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