NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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martedì 2 febbraio 2021

Commento alla “Cara Lettera” del cardinale Matteo Zuppi. Terza parte

La famiglia, la scuola, il lavoro

 

Fondamentale l’art. 2 in cui parli dei diritti inalienabili dell’uomo, di ogni uomo non solo dei cittadini e dei doveri inderogabili di solidarietà.

Questi diritti inalienabili riguardano sia il singolo sia le “formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” (articolo 2).

Credo che tali luoghi sociali formativi della nostra personalità siano la famiglia, la scuola e il lavoro.

La famiglia lascia l’impronta più profonda nel nostro carattere. Nelle tragedie greche abbiamo le stirpi tragiche appunto, davvero tragiche, dei Pelopidi  micenei con assassinii, adulterii, incesti e perfino tecnofagia. Poi quelle dei Labdacidi  tebani con simili orrori.

Non mancano del resto casi pur rari di  sposi che si amano e rispettano come Ettore e Andromaca  o Alcesti e Admeto. La famiglia dunque è la base profonda della nostra educazione,  e pure esposta a terremoti, e può aiutare la crescita, il potenziamento morale ed estetico dei figli ma anche produrre rovine e macerie nelle loro anime.  

Poi c’è la scuola. Questa è il luogo dove impariamo e socializziamo in maniera nuova e diversa rispetto alla famiglia. Luogo dove si può crescere per diversi anni e non deve mai svanire nell’ utopia.

 Grande  è la responsabilità degli insegnanti che devono essere ben più che tecnici della materia. Il loro compito è educare oltre che informare.

Questo lavoro  richiede un grande spirito di sacrificio, una dedizione agli allievi i quali  hanno sempre bisogno di aggiunte rispetto a quanto hanno imparato in famiglia e non poche volte di correzioni in grado di riparare i danni  subiti a casa o per strada.

Infine il lavoro che già nel poema di Esiodo Opere e giorni contribuisce in modo preponderante alla dignità della persona.

Cito un  verso emblematico dell’opera: “e[rgon d  joujde;n o[neido", ajergivh dev t j o[neido"” (311) , l’occupazione operosa non è motivo di vergogna, l’inoperosità è motivo di vergogna.

Vergogna per chi? Per l’ozioso che è simile nel temperamento ai fuchi senza pungiglione (khfhvnessi koqouvrio" ei[kelo" ojrghvn, Opere e giorni, 304), e ancora di più per la città o lo Stato che non garantisce il lavoro a chi ne ha voglia e bisogno, o lo rende precario con articoli anticostituzionali volti a rendere ricattabile il lavoratore.


giovanni ghiselli

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