La mattina seguente mi presentai di buon'ora al preside della scuola media. Mi ricevette nel suo ufficio : una stanza oscurata da una quercia antica che protendeva i rami ancora frondosi davanti all’unica non grande finestra esposta per giunta a nord. Avevo camicia, giacca, calzoni, calze, mocassini e un impermeabile. I capelli erano corti. Voglio dire che non avevo assunto un abbigliamento o alcun atteggiamento povocatorio per un benpensante come immaginavo fosse un preside del Veneto bianco, refrattario alla rivoluzione studentesca dalla quale venivo e avevo fatto parte. Non avevo voluto provocarlo presentandomi come un’icona della nostra primavera, quella del ’ 68.
Mi trattò comunque con una diffidenza vicina all’ostilità.
Mi chiese di dargli la nomina. Appoggiò gli occhiali sul naso, la guardò piuttosto a lungo, mi osservò con aria severa e contrariata, poi disse che ero arrivato in ritardo, che lui aveva già nominato una supplente annuale, una di sicuro affidamento, una brava che a lui andava vene. Mi venne in mente la nomina ad agrimensore del romanzo Il castello di Kafka. “Burocrazia ottusa e intrigante”, pensai.
“ A me no - replicai- a me, con rispetto parlando preside, questo non va bene né punto né poco. Ho ricevuto ieri mattina l’incarico dal Povveditorato di Padova e l’ho accettato subito. Nella nomina che lei ha sotto gli occhi sta scritto che ci sono tre giorni di tempo per presentarsi. Dunque sono arrivato qui per iniziare il mio lavoro in anticipo casomai, non in ritardo.
“Ah si?” fece con incredula, come se non avesse voluto provarci a rimandarmi indietro.
“Sì, è proprio così”, ribattei.
Colui mi rivolse un’occhiata severa, quindi ordinò: “Allora vada subito a spedire un telegramma. Cosa aspetta?”
“Facciamo finta di niente”, pensai
Poi gli domandai: “Dove?”
“ Lo chieda al bidello”, rispose seccato.
“Non dov’è la posta vorrei sapere, ma dove e a chi devo inviarlo e che cosa devo scrivere. Come le ho detto, ho già telegrafato ieri da Pesaro che accetto l’incarico, pur con la riserva che se ne riceverò un altro da Bologna, rinuncerò a questo. Non ci tengo a rimanere qui più del necessario, e meno che mai dopo avere visto di essere poco gradito da lei, preside!”
“Cossa vu to”, fece. Era un idiotismo che usava per chiudere le discussioni, Credo che significhi: “ ma lascia perdere!”
“Dunque a chi devo telegrafare e che cos’altro scrivere?”
“Telegrafi di nuovo al provveditorato di Padova. Scriva che è appena arrivato qui. Ieri pomeriggio ho comunicato che lei non si era presentato: la verità. E che avevo dovuto nominare una supplente. Una non ancora laureata ma con una lunga pratica di insegnamento. Lei ha mai insegnato?”
“Ho fatto solo una breve supplenza in aprile”
“Val più la pratica che la grammatica. Poi che lei sappia la grammatica non è detto, tanto meno che sappia insegnarla. Sarò io a valutarla. Dunque vada subito a telegrafare, che cosa aspetta? La spesa non gliela posso rimborsare ma saranno pochi sghei, cinquecento lire al massimo. Più tardi telefonerò: se l’avranno accettata, le affiderò due classi: una terza e una prima. Diciannove ore che nessuno vuole tra quelli nominati dal Provveditore”
Ho capito, vado-risposi- ma sono io che accetto la nomina a tempo indeterminato dovuta al mio punteggio, non quelli del provveditorato che accettano me. Tanto meno lei”
“Cossa vu to!”
Uscii da quell’ ufficio pensando: “costui ha cercato di intimidimi ma il mio destino di educatore mi incoraggia a resistergli. Non gli permetterò di snaturarmi. I ragazzi di questa scuola hanno bisogno di un maestro che faccia risuonare la memoria della cultura europea contro tanto buio mentale.
giovanni ghiselli
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