Ora che abbiamo un governo pragmatico con grande disponibilità di denaro dobbiamo guardarci da quello "sviluppo" quale "fatto pragmatico ed economico" senza "progresso" come "nozione ideale" di cui parla P. P. Pasolini negli Scritti corsari (p.220).
Un ingrassamento senza grandezza, anzi esposto alle peggiori malattie, denunciato già da Platone nel Gorgia dove Socrate mette in guardia i cittadini ateniesi nei confronti dei politici al potere, pure quelli dai grandi nomi molto elogiati come Temistocle, Cimone e Pericle, i quali “hanno gonfiato di marciume la città: infatti senza preoccuparsi della temperanza e della giustizia (a[neu ga;r swfrosuvnh" kai; dikaiosuvnh") l’ hanno riempita di porti, di arsenali, di mura, di contributi e di altre sciocchezze del genere (toiouvtwn fluariw'n ejmpeplhvkasi th;n povlin, 519a).
Torno a citare Pasolini: "L'interpretazione puramente pragmatica (senza Carità) delle azione umane deriva in conclusione da questa assenza di cultura: o perlomeno da questa cultura puramente formale e pratica"[1].
In conclusione: il pragmatismo, ora quello dei banchieri al governo, deve associarsi alla cultura. Del resto alcuni di loro hanno studiato nei licei classici e immagino che almeni i più accorti e meglio preparati sappiano che la cultura contribuisce all’economia in modo deteminante.
giovanni ghiselli
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