NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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mercoledì 24 febbraio 2021

Le estati tra 1967 e il 1971. Capitolo VII. L’addio. “L’altro mondo”. Il rimpianto delle due rose che non colsi

Fabrizio de André
Eva mi civilizzò a partire da piccole cose che trascuravo nella rozzezza mia. Per esempio ringraziava il cameriere che ci aveva servito, poi, uscendo dal locale, salutava con gentilezza e grazia non affettate.

Nell’ora dell’addio mi diede una rosa rossa, “in segno riconoscenza - disse - perché sei stato umano con me”. Cantava e sorrideva come un angelo. Di rado in vita mia ho trovato altrettanta delicatezza. Durante quell’estate noi giovani cantavamo canzoni politiche o sentimentali: andava molto Fabrizio de André. Ci piacevano i pensieri e i sentimenti buoni, non le urla rabbiose, insensate, non i rumori assordanti delle discoteche.

In Ungheria ancora non c’erano. Era un altro mondo rispetto a Rimini dove si trovava appunto una discoteca famosa, famigerata al mio pensiero spessi fuori moda. Si chiamava “L’altro mondo” appunto. Il tempio del beat secondo chi ci andava.

Ci andai una volta sola, per curiosità antropologica come si direbbe adesso, ma non resistetti più di dieci minuti  in quel chiasso e in quel buio, rumoroso e affollato. “Perché eri già vecchio allora” penserà qualche giovane che mi legge. Può essere: a ventitré anni avevo già imparato  molto dal dolore e cominciavo a rifletterci sopra, a  capire. Poco ancora, ma procedevo  verso la mia resurrezione metodicamente su quella strada.

 Del resto allora non eravamo pochi noi fortunati che sentivamo solidarietà per gli oppressi, e avevamo volontà di partecipare  impegnarci.

politicàmente, cioè nella polis. Questa era una moda bella, a me congeniale e ho continuato a seguirla anche quando fu abbandonata dal corteo dei più che passarono ad altro: il privato, l’egoismo e così via.

 Misi in atto le mie aspirazioni qualche mese più tardi cominciando a insegnare nella scuola media. Cercavo di dare una preparazione propedeutica al liceo classico, ossia una formazione da classe dirigente, a tutti i miei allievi. Notai che raccontando le Troiane di Euripide riscuotevo maggiore attenzione che quando ero costretto dal programma a leggere e commentare Centomila gavette di ghiaccio. 

La denuncia dei crimini perpetrati durante le guerre è più efficace nel drammaturgo greco che nel libro di Bedeschi vincitore del Bancarella.

La  premura educativa e umana allora era abbastanza diffusa tra i colleghi della mia età, ma io l’avevo anche dentro di me e non l’ho mai rinnegata: mi sono sempre adoperato perché i miei discepoli non venissero risucchiati dal gorgo di ignoranza e volgarità che vorticava trascinando in fondo chi era privo di mezzi per evitarlo. I mezzi li avevo raccolti dall’educazione ricevuta dalle donne e dallo studio.

Pavese poco prima di ammazzarsi scrisse a una ragazza: “ Se mi sono innamorato di te non è soltanto perché, come si dice, ti desiderassi, ma perché tu sei della mia stessa levatura”[1]. Lo erano state Helena, Eeva poi più avanti la seconda Helena quindi Kaisa e Päivi, poi Ifigenia presunta tale per altri nove mesi. Un anno in tutto. Con le successive, non poche grazie a Dio, sommati i giorni buoni passati con loro, altri sei mesi di letizia.

 

Le rosa rossa di Eeva e quella bianca che mi diede Josiane sei anni più tardi chiamandomi magister [2] diventarono prima secche, quindi svanirono in cenere. Non ero stato capace di tenerle in vita ma ho continuato a rimpiangerle e amarle[3].

Ho nostalgia di donne del mio stampo[4].


Bologna 24 febbraio 2021

giovanni ghiselli 

 

p. s

Sempre1094166

Oggi646

Ieri399

Questo mese8863

Il mese scorso12853

 

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[1] A una ragazza. Bocca di Magra, agosto 1050

[2] Cfr. la storia di Päivi.

[3] Cfr. G. Gozzano, Cocotte: “Il mio sogno è nutrito d’abbandono,/di rimpianto. Non amo che le rose/che non colsi. Non amo che le cose/che potevano essere e non sono/ state (…) Vedo la casa, ecco le rose/ del bel giardino di vent’anno or sono! (vv. 67-72)

[4] Cfr. E. Pound, Prigioniero (1917, v.15

2 commenti:

  1. Fai riflettere, caro prof. Mi ritrovo nelle tue osservazioni e nel tuo disprezzo per la folla che segue mode passeggere.

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  2. bellissimo questo blog interessante bravo Gianni

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