Camminavamo per la Bártok Béla út, in salita e
piuttosto in fretta siccome il nostro collegio si trovava a Buda, alquanto
lontano dal fiume e volevamo arrivarci prima che ci chiudessero fuori. Per
rispamiare la lena tacevamo. Sicché meditavo sul passato e sul futuro della mia
vita mortale. Pensavo che mi sarebbe piaciuto avere una compagna riservata,
gentile e affidabile come Isabella, capace di parlare politicamente come Silvia
e pure bella come Ifigenia. La mia amante non era una donna politica, né
riservata, né affidabile, nemmeno abbastanza gentile, però era una femmina
umana splendida di bellezza. Tanto venusta e fulgida che era più emozionante e
accrescitivo fare l’amore con lei, osservarla pur quando era muta che parlare
con donne non altrettanto illuminate dall’idea del bello incarnata nel suo
corpo snello e formoso, flessuoso come un ramo di salice e compatto come una
susina appena matura. Con lei potevo creare nel bello secondo l’anima e secondo
il corpo come mi aveva insegnato la professoressa dell’amore Diotima del Simposio platonico.Budapest, XI., Bartók Béla út
Prima di salire in camera bevemmo un’altra birra nel bar ancora aperto, parlammo un altro poco, quindi andammo a dormire. Ognuno nel letto assegnato.
Il 21 agosto, di mattina, andai a telefonare. Le dissi che sarei arrivato a Bologna la sera del giorno seguente.
“A che ora?” domandò con voce impostata da attrice che deve apparire commossa. Poi, senza aspettare che rispondessi, aggiunse: “vieni prima che puoi, non ne posso più di stare senza di te, tesoro mio, mia vita, mio tutto!”.
Se avessi potuto accogliere questa dichiarazione d’amore con animo non ulcerato e prevenuto, sarei stato felice.
Invece “tuo un corno!” pensai. La ferita della promessa tradita doveva essere molto profonda: le sue parole mi sapevano di infingimento, di recita da mima volgare, avvezza a palcoscenici sordidi, mal frequentati.
Ero irritato e risposi: “Ancora no so dirti a che ora arriverò. Questa sera scade la mia borsa di studio e domani anche il visto, sicché partirò di mattina, ma il tempo che ci vuole per arrivare a Bologna non so prevederlo con precisione: il viaggio è lungo circa mille chilometri e ci sono due frontiere da attraversare”.
“Però la frontiera più chiusa - pensai - sarà la barriera mentale frapposta tra noi due. Che commediante! Mi tiene in ansia per un mese promettendomi un espresso, mi manda un telegramma chiedendomi di aspettarlo, io soffro ogni giorno per tre settimane non vedendolo arrivare, inseguo ogni postino che vedo, e oggi vuole farmi fretta su una questione di ore. Oltre che falsa è pure cretina! Se mi avesse detto: “ho voluto provare un’avventura con un ganzo qualsiasi, ma non mi è piaciuta e ora possibilmente voglio tornare con te”, avrei potuto accettare il tradimento in nome della sincerità. Magari sarei tornato in collegio per corteggiare la tedesca bendisposta e pareggiare i conti. Ora non mi va nemmeno questo perché dopo dovrei simulare anche io”. Insomma ero pieno di risentimento.
Ma non glielo dissi. Invece dissimulai il rancore dicendo: “ basta che tu stia in casa dalle sette di sera. Quando sarò arrivato a Trieste, ti telefonerò”.
Bologna 1 febbraio ore 19, 52
giovanni ghiselli
p. s
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