Il corteggiamento pretenzioso e un poco pedante nella csárda di Hortobágyi.
Oggi sono più bravo e, quindi, più semplice, diretto e meno maestrino arricchito intellettuale
Mi domandò: “Tu sei un uomo in cerca di segni?”
“No, Päivi, non li cerco, sono loro che trovano me, nel senso che attirano la mia attenzione”.
“Quali sono i segni che ti colpiscono?”
Da persona educata e ben disposta nei miei confronti, tendeva a rilanciare i miei argomenti facendomi domande sui miei iteressi.
Questo comportamento nel dialogo è, in generale, un ottimo segno, quasi un richiamo erotico.
“Il sole prima di tutti, il sole, che è l’immagine della mente divina e dà indicazioni di cui tengo conto. Quando compare tra le nuvole mi conforta e mi sprona. “It is the best omen, aggiunsi.
“Very nice. You are nice “, fece.
“And you are wonderful, qaumasto;n ti crh'ma” risposi.
E continuai: “Le belle facce intelligenti, come la tua, mi spingono a dare il meglio di me, ad aprire l’anima. Tu sei il “rimedio dal bel volto” che, ricordando l’Edipo re di Sofocle, chiedo ad Atena, figlia di Zeus nei momenti difficili della mia vita: eujw`pa pevmyon ajlkavn[1] . Come vedi, ce la sto mettendo tutta con te: voglio piacerti”.
“Ci stai riuscendo”, mi incoraggiò.
Poi domandò: “e io cosa devo fare per piacere a te?”
“Essere te stessa. Di te mi piace il fatto che non assumi pose, non ripeti luoghi comuni, non hai pregiudizi, anche se hai gusti precisi e, grazie al cielo, simili ai miei. Continua a essere così priva di affettazione, così come sei: elegante con semplicità”.
“Non mi costa fatica. Parlami ancora dei segni”
“I segni possono venire dagli uccelli. Non che i volatili conoscano il futuro, ma il loro volo è diretto da dio, volatus avium dirigit deus [2], scrive Ammiano Marcellino, uno storiografo del paganesimo morente, lo storico di Giuliano Augusto calunniato quale “Apostata” da Gregorio Nazianzeno, suo compagno di scuola ad Atene.
Poi ci sono i segni vocali che si possono cogliere al volo dalle parole dei vicini, come ho fatto ora da Bruno e Silvano.
Ti racconto una storia per farti capire meglio:
Crasso, un duce romano del tempo di Giulio Cesare, non riuscì a comprendere che un venditore di fichi Cari, il quale gridava ripetutamente “Cauneas!” sulla banchina del porto di Brindisi, non stava solo cercando di vendere la propria merce, dicendo “fichi di Cauno!”, ma, nel suo grido, un qualche dio aveva messo pure un secondo senso più profondo che diffidava quel proconsole dal prendere il mare verso la morte. Le parole urlate dal fruttivendolo infatti, interpretate nel senso giusto per Crasso dovevano significargli cau’ n(e) eas! “non andare!”, secondo la pronunzia apocopata dell’imperativo caue (cave) che si usava nel latino parlato[3].
Ma Crasso, in preda alla smania di combattere, uccidere, vincere, acquistare potere, non se ne accorse. Il fatto era che non faceva attenzione ai segni. Quindi quel comandante militare Assyrias Latio maculavit sanguine Carrhas [4], macchiò di sangue latino Carre di Assiria.
Costui, come la generazione malvagia e adultera biasimata da Cristo[5], notava cose insignificanti ed era cieco e sordo ai moniti che lo riguardavano e lo mettevano in guardia.
Crasso si stava imbarcando per portare guerra ai Parti, in Oriente: si metteva in movimento per conquistare terre, per massacrare popoli interi e un dio cercò di trattenerlo. Anche per il suo bene.
Il Romano che non lo capì infatti finì sconfitto e ucciso.
Gli tagliarono la testa, e un attore, Giasone di Tralle, si avvalse di quel trofeo macabro per recitare realisticamente i versi delle Baccanti di Euripide nei quali Agave impazzita palleggia la testa del proprio figliolo Penteo, ucciso e decapitato da lei stessa e dalle sorelle sue.
Tutto questo tra gli applausi feroci dei Parti. Che ne dici?”
“Che dobbiamo fare grande attenzione ai segni vocali”, rispose Päivi con un sorriso forse non privo di ironia rivolta al mio sfoggio piuttosto pretenzioso e pure pedante.
“C’è poco da scherzare, proseguii” - stando al gioco - il segno che abbiamo sentito noi due poco fa equivale a hodie amet qui numquam amavit, quique amavit hodie amet [6].
Voglio andare presto a Delfi per interrogare l’oracolo. Mi piacerebbe che tu venissi con me. Ci sei mai stata?”
“No, ma ho letto che i Greci lo consideravano nientemeno che l’ombelico del mondo”.
“Infatti. Senti questa di Eraclito, un presocratico”.
“Grazie, so chi è Eraclito. Lo conosco attraverso Nietzsche. Ma citami il frammento che riguarda i segni”
“Il signore, di cui c’è l’oracolo a Delfi, non dice e non nasconde ma dà segni”
“Dimmelo in greco, se ce la fai”, mi chiese, credo per compiacermi. “Altrimenti, posso vincere la curiosità” aggiunse, con ironia e anche per giustificarmi nel caso che non ce l’avessi fatta a ricordare le parole greche.
“Ou[te levgei ou[te kruvptei ajlla; shmaivnei”.
“Suona bene. Dunque?”
“Dunque torniamo all’ottimo segno colto qui, poco fa. I miei amici hanno notato un’intesa grande e profonda tra noi, e non lo hanno fatto per assumere il ruolo di paraninfi: nemmeno sapevano che avrei sentito le loro parole. Ma un dio me le ha fatte ascoltare, e io, assecondandolo, le ho riferite a te. Ora ti puoi immaginare, non c’è bisogno che te lo dica, a che cosa ci incoraggiano gli dèi buoni e giusti. Dante era completamente pazzo quando li squalificava come falsi e bugiardi[7]”.
[1] Edipo re, v. 189. Manda un rimedio dal bel volto.
[2] Storie, XXI, 1, 9. Questa nota è per te, lettore.
[3] Questo celebre caso di omen è riportato da Cicerone, De divinatione, 2, 84. Anche questa nota è per il lettore cui possa interessare.
[4] Lucano, Pharsalia, I, 105
[5] " Generatio mala et adultera signum requirit, et signum non dabitur ei nisi signum Ionae prophetae " ( Vangelo di Matteo, 12, 39), la generazione malvagia e adultera reclama un segno, e non le sarà dato un segno se non quello di Giona profeta. Così nel Gerontion di Eliot leggiamo:"Signs are taken for wonders. 'We would see a sign!'/The word within a word, unable to speak a word,/Swaddled with darkness. In the juvescence of the year/Came Christ the Tiger " (vv. 17 - 20), i segni sono presi per miracoli. 'Vogliamo vedere un segno!'/La parola dentro una parola, incapace di dire una parola,/fasciata di tenebre. Nella giovinezza dell'anno/ venne Cristo la tigre.
Ma gli uomini non lo riconobbero.
[6] Cfr. Pervigilium Veneris
[7] In Inferno, I, 72. Né è rinsavito quando arrivò a scrivere il Paradiso dove si legge un’altra bestemmia:
“Solea creder lo mondo in suo periclo
che la bella Ciprigna il folle amore
raggiasse, volta nel terzo epiciclo;
per che non pur a lei facevano onore
di sacrificio e di votivo grido
le genti antiche nell’antico errore,
ma Dione onoravano e Cupido,
questa per madre sua, questo per figlio;
e dicean ch’ei sedette in grembo a Dido” (VIII, I, 9).
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