Il giorno dopo, terminate le lezioni di lingua ungherese, la incontrai nel secondo collegio dove, come ogni anno, alloggiavo.
Quando arrivai in fondo alle scale, la vidi nell’atrio solitamente frequentato a quell’ora meridiana da gente che andava e veniva parlando (1), di lingua o di letteratura ungherese, oppure si fermava in attesa del pranzo auspicando un incontro, o quanto meno sperava di trovare una lettera, come avrei fatto io nel 1979 tutti i giorni, invano. Ifigenia mi aveva promesso un espresso che mai mi mandò. Ma questa è storia di sei anni più tardi e dovrò raccontarla in futuro. Se Dio vorrà.
Kaisa dunque aveva in mano una busta piena di fogli: li stava leggendo. Doveva essere la prima lettura. La posta infatti non la portavano nel collegio dei Finnici alloggiati con gli Estoni, ma la lasciavano tutta lì, nell’atrio del nostro, in una cassetta di legno aperta davanti, formata da tanti scompartimenti, uno per nazione, ciascuno con l’ etichetta.
Mentre la ragazza sposata leggeva, attendevo con impazienza che non davo a vedere, ma temevo che quella lunga lettera, probabilmente del marito, forse nemmeno uno scimunito, data la moglie bella fine e colta che aveva trovato, la riconducesse al loro connubio mandando in malora il mio piano condotto con tanta abnegazione.
tiv" ojdw'/, tiv" ojdw'/ ; tiv" ; (2) pensai, pieno di spavento.
Quindi mi dissi.“Ieri sera hai vinto, ma oggi devi lottare ancora perché la fortuna a doppio taglio non ti recida e sottragga il successo finale”.
Aspettavo con un’impazienza che cercavo di non dare a vedere.
Intanto però temevo di morire affogato in quell’ondeggiare dei flutti dell’inondazione che poteva cancellare la strada costruita e percorsa con tanto metodico impegno.
Quando Kaisa alzò gli occhi colore di viola e mi guardò, le domandai a bruciapelo: “Ciao, novità?”.
Intendevo tra noi. Kaisa piegò i fogli adagio adagio, li ripose nella busta che mise dentro la borsa portata a tracolla, quindi rispose : “no, potrei incartarci le noccioline o forse gli sgombri (3 )”.
“Meno male, è carta che finirà nel cestino o nel cesso [4].
Ubi maior minor cessat ”, pensai. Molto presto, oggi stesso, faremo il massimo concesso a questa nostra rapida vita mortale prima di precipitare nel burrone scosceso del nulla”.
Quindi le dissi: “Mi fa molto piacere trovarti qui. Stavo venendo a cercarti”.
“Anche io” fece lei, e andammo a bere l’aperitivo, un quartino di sangue di toro, al “Palma”, un Eszpresszó contiguo alla piscina. Il luminoso fiume dall’acqua gioiosa ci bagnava già i piedi. Ci apprestavamo a versarcela sulle teste per il battesimo che ci avrebbe rigenerati e resi cultori di Eros. Eravamo assai contenti di quel sicuro avvenire che avevamo nella mente e nel cuore, non c’è bisogno di dirlo. Ma la contentezza è un dono di Dio e ricordarla fa bene, fa solo bene. Anche a te che mi leggi, credo, e intanto ti vengono in mente i successi raggiunti e le gioie da te stesso provate in questa vita mortale. Né io né Kaisa siamo sempre vissuti tra la noia e la paura della morte. Nemmeno voi lettori. Perciò facciamo tesoro dei sentimenti cari e soavi provati e vissuti[5].
Baci
gianni
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(1) Cfr. T. S. Eliot: “In the room the women come and go-Talking of Michelangelo” (The love song of J. Alfred Prufrock, vv. 13-14)
(2) Euripide, Baccanti, parodo, 68. Chi è per strada, chi è per strada? Chi?.
In questa triste circostanza di invasione virale, ce lo chiediamo ogni volta che incrociamo un nostro simile spaventato, come siamo tutti.
(3) Cfr. Catullo 95, 8-9: at Volusi Annales Paduam morientur ad ipsam-et laxas scombris saepe dabunt tunicas”, ma gli Annali di Volusio, moriranno proprio lì nel Padovano e daranno spesso voluminosi cartocci per gli sgombri.
(4) Il primo verso del carme 36, un endecasillabo faleceo, qualifica coì gli Annali di Volusio: “ Annales, Volusi, cacata carta”
[5] Cito di nuovo alcune preziose parole di Ugo Foscolo i cui scritti sanno non solo di letture e di cultura ma anche di un’esistenza vissuta amando la grande bellezza della vita a partire da quella delle donne. Così spero delle parole mie: “Facciamo tesoro di sentimenti cari e soavi i quali ci ridestino per tutti gli anni, che ancora forse tristi e perseguitati ci avanzano, la memoria che non siamo sempre vissuti nel dolore” Ultime lettere di Jacopo Ortis, 26 ottobre 1797
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