Apollo e Dioniso |
Cenammo e bevemmo il solito sangue di toro. Il vino dell’ebbrezza erotica. Scherzammo giovanilmente, da giovani quali eravamo.
Le chiesi di fare lo stesso di Elena nell’Odissea(1): gettare nel vino un farmaco quale antidoto a ogni tristezza e miseria.
“Ci metterò un riverbero del mio sorriso - disse - e un riflesso della mia gioia”.
Parlavamo scegliendo tutti i termini e ascoltavamo con attenzione.
Oggi non so come possano fare l’amore i giovani dopo avere passato una sera seduti a un tavolo in due, guardando e mastricciando un telefonino, ciascuno il suo.
Ci soffermammo sul significato della parola cultura, come contrappeso al pur pregevole scatenamento istintivo del pomeriggio. Comunque attivato dal logos che al pathos è connesso. Parlare fa bene a Eros, parlare con precisione elegante fa benissimo.
Apollo e Dioniso saltano insieme non solo sulle rupi delfiche e sull’altipiano sovrastato dalle due cime del Parnaso(2) ma anche sui letti che sono i santuari dell’amore.
“Cultura per me - dissi - non è il sapere dell’erudito, l’ umbraticus doctor 3 dall’anima gobba, ma è sapienza che sa di vita, ossia è potenziamento della natura. Queste formule le ho imparate da Euripide, da Petronio, da Nietzsche e da altri, ma il fatto l’ho sperimentato nella prassi. L’ho provato con te. Non credo che saresti venuta a letto con me se non ti avessi attirata con alcune frasi belle prese a prestito dai miei autori. Non li ho derubati, poiché la bellezza delle parole per fortuna non è soggetta alle regole della proprietà privata.
Importante è che funzioni nell’ingranaggio complessivo.
Cultura è “conosci chi sei”, poi “diventa chi sei”. Cultura è “niente di troppo”. Cultura è bellezza. Se mi chiedi a che cosa serve, qual è la sua funzione, ti rispondo che serve ad amare, amare l’umanità umanisticamente, come dicesti tu, e anche a fare l’amore magnificamente, come lo stiamo facendo noi due”.
“Cultura è rispetto e amore per la vita”, aggiunse Elena.
“Alta cultura è l’amore nostro, l’amore tra noi due, il farlo tante volte, non esserne mai sazi. Io ti amo per il tuo aspetto che riflette un’anima bella e fine, come le tue parole”, le dissi.
“Io ti amo perché sei buono, Gianni, e non giochi con il cuore delle persone, come fanno tanti buffoni e troppi farabutti.
Ti amo perché fai l’amore con me, per come lo fai. Ti amo perché non ti fai servo di nessuno, non fai lega con i vili e non menti.
Ti amo perché sai ascoltare, osservi con attenzione le persone e la natura, e per questo sei naturale, non artefatto”.
“Osservo soprattutto te, amore mio, con enorme attenzione. La mia naturalezza comunque, se non proprio costruita, certo è stata educata, dai libri e dagli incontri buoni che il mio demone buono mi ha offerto.
Chi non viene corretto e motivato da bravi educatori quali sono stati per me gli auctores, rimane vittima della pubblicità, o dei partiti che vogliono portare le teste all’ammasso, e resta schiavo dei luoghi comuni estranei alla realtà effettuale. Noi due, con il nostro parlare e fare l’amore confutiamo in continuazione i pregiudizi degli imbecilli e le astute menzogne dei mascalzoni e dei profittatori”.
Intanto gli zigàni suonavano musiche popolari ungheresi.
Si mangiava e si beveva bene, e tutta l’atmosfera ci infondeva certezza del nostro amore, sicurezza nei nostri ruoli, insomma felicità.
A un certo punto mi scusai e andai in bagno. Soprattutto per guardarmi allo specchio, osservare la mia faccia giovane, tutt’altro che brutta, e compiacermene. “Ce l’hai fatta Gianni”, mi dissi. “Ce l’hai fatta.
Ricordi come arrivasti qui cinque anni fa, nel 1966?
Questa tua immagine gradevole era ancora fasciata di grasso, di sudiciume, e il tuo il fetore ammorbava la puszta, offendeva la foresta, il tuo buio spirituale oscurava il cielo. Eri come un bastone di legno marcio che avvolga e racchiuda una verga d’oro 4, quella che vedi ora.
Rendi grazia al Creatore, a Elena, alla mamma che ti hanno modellato così bene. E anche al padre tuo, e alle zie, la Rina, la Giulia, la Giorgia che ti hanno aiutato. E a tua sorella Margherita che si è fatta educare da te quando era una bambina, alla nonna Margherita che tante volte ti ha offerto il suo sostegno, e non solo affettivo. Ai suoi genitori, i tuoi bisnonni Scattolari che ci hanno lasciato la terra avita di Tavullia e di Montegridolfo. E al nonno Carlo Martelli dal quale hai ereditato molto più della roba: lo sconfinato amore per le donne, per il sole, e il non comune talento ciclistico.
Hai dentro il loro sangue, e ora pure quello del sole. Osservai una vena della mia mano destra5. “Ho dovuto assecondare il destino conquistando questa donna proibita che mi spettava. Ho dovuto sconfiggere i draghi del mio passato: superstizioni e pregiudizi, ostacoli opposti alla mia felicità. Grecamente problhvmata.
Ce l’hai fatta gianni. Qui ricomincia il vivere tuo e inizia la cultura vera, quella che potenzia la vita scartando i luoghi comuni, scavalcando i divieti che escludono la gioia.
Helena ha trovato e raccolto i tuoi pezzi mentali ancora sparsi e confusi, e li sta riordinando giusto in tempo per rimetterti in gioco, in questo gioco competitivo, terribile e bello che è la vita umana ricca di amore. Anche tu come il dio, sei un fanciullo che gioca, non con il cuore delle persone ma con i dadi del destino, pure se sono truccati.
D’ ora in avanti non voglio perdere più nemmeno una gara. A Elena e ai miei consanguinei sarò grato per sempre.”
Baciai il mio volto, tornai al nostro tavolo e ripresi a parlare con lei, ad ascoltarla, a osservarla e ammirarla.
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1. Odissea, IV, 220-221.
2. Cfr. Euripide, Baccanti 305-306
3. Nel Satyricon, l’io narrante Encolpio mette sotto accusa il tipo dello studioso, estraneo alla vita, lo stesso che Nietzsche definirà "l'eterno affamato, il "critico" senza piacere e senza forza, l'uomo alessandrino, che è in fondo un bibliotecario e un emendatore, e si acceca miseramente sulla polvere dei libri e degli errori di stampa"Nietzsche, La nascita della tragedia capitolo 18. Il protagonista del romanzo di Petronio lo contrappone ai grandi tragici: "nondum iuvenes declamationibus continebantur, cum Sophocles aut Euripides invenerunt verba quibus deberent loqui, nondum umbraticus doctor ingenia deleverat " (2, 3-5) , ancora i giovani non erano chiusi nelle vuote declamazioni, quando Sofocle e Euripide trovarono le parole con le quali dovevano parlare.
4. Livio (I, 56) racconta che Bruto aveva portato in dono ad Apollo una verga d'oro inclusa in un bastone di corniolo con un incavo fatto a questo scopo, recando un’immagine enigmatica del suo carattere: "aureum baculum inclusum cornĕo cavato ad id baculo tulisse donum Apollini dicitur, per ambagem effigiem ingenii sui".
5. Cfr. il faraone Amenhotep (Amenophi IV) nel romanzo di T. Mann Giuseppe e i suoi fratelli: “Guarda qui!” disse a Giuseppe. “Avvicinati e guarda!” E scostando la batista dall’esile braccio gli mostrò le vene azzurre nella parte interna dell’avambraccio. “Questo è il sangue del Sole!” Giuseppe il nutritore (IV volume) , p. 204. Anche Medea ha sangue del sole
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