martedì 17 agosto 2021

Aristofane le Nuvole quarta parte.

Strepsiade dunque va a bussare al pensatoio di Socrate. Risponde un discepolo-maqhthv"-che accoglie male il vecchio contadino: lo apostrofa con “ajmaqhv" ge nh; Div j ”(134), un ignorante di sicuro per Zeus, hai preso a calci la porta th;n quvran lelavktika"-laktivzw- e hai fatto abortire una pensata appena trovata kai; frontivd j ejxhvmblwka"-ejxambvlovw- ejxhurhmevnhn 136. Questo di Strepsiade è il “prendere a calci” della cattiva educazione; nell’Orestea di Eschilo troviamo i calci dell’empietà. Eschilo è uno dei profeti della Giustizia. "infatti non c'è difesa di ricchezza per l'uomo che con arroganza ha preso a calci il grande altare di Giustizia, con il proposito di annientarla" (Agamennone, primo stasimo, vv. 381-384). Le Erinni, sulla via di diventare Eumenidi, prescrivono: "Rispetta l'altare di Giustizia, e non disprezzarlo calciandolo con piede ateo in vista del guadagno: infatti poi segue il castigo"(Eumenidi, vv.539-541). Strepsiade dice di essere giunto al pensatoio come nuovo discepolo- h{kw maqhth;" eij" to; frontisthvrion (142) h[kw-“sono giunto” è la prima parola del dio che entra in scena: Poseidone nelle Troiane, Dioniso nelle Baccanti di Euripide. Il discepolo sulla porta fa il misterioso e dice che parlerà ma avverte il nuovo aspirante scolaro che sta per rivelargli dei musthvria (142) come se si trattasse di un tiaso orfico pitagorico e la scuola avesse una valenza religiosa. Il socratico dunque rivela un paio di musthvria, segreti da iniziati. Racconta che Socrate poco prima domandava a Cherefonte quanti dei propri piedi potesse saltare una pulce che aveva morso un suo sopracciglio poi gli era balzata sulla testa. Per misurare il salto avevano impresso il piede dell’insetto sulla cera e quando questa si fu raffreddata erano spuntate attorno due babbucce persiane. Socrate gliele tolse e misurò lo spazio percorso dalla pulce (yuvlla) Nel pensatoio dunque questi scolari e il loro maestro si occupano di assurdità e quisquilie. Seneca attribuisce tale attitudine agli studi che non si occupano della vita. Disapprova un approccio devitalizzante ai testi classici: nel De brevitate vitae il filosofo sconsiglia di accorciare la vita perdendo tempo in occupazioni che non giovano allo spirito: "Graecorum iste morbus fuit quaerere quem numerum Ulixes remigum habuisset, prior scripta esset Ilias an Odyssia, praeterea an eiusdem esset auctoris, alia deinceps huius notae, quae sive contineas nihil tacitam conscientiam iuvant, sive proferas non doctior videaris sed molestior" (13) questa fu una malattia dei Greci, cercare quale numero di rematori avesse avuto Ulisse, se sia stata scritta prima l'Iliade o l'Odissea, inoltre se siano del medesimo autore, e successivamente altre notizie di questo tipo, nozioni che se le tieni per te non giovano per niente al puro fatto di saperle, se le tiri fuori, non sembri più dotto ma più pedante. Quintiliano vuole escludere l'ombra, la solitudine e la muffa dall'educazione del ragazzo che deve diventare un buon oratore:"Ante omnia futurus orator, cui in maxima celebritate et in media rei publicae luce vivendum est, adsuescat iam a tenero non reformidare homines neque illa solitaria et velut umbratica vita pallescere. Excitanda mens est et adtollenda semper est, quae in eiusmodi secretis aut languescit et quendam velut in opaco situm ducit, aut contra tumescit inani persuasione; necesse est enim nimium tribuat sibi, qui se nemini comparat " , prima di tutto il futuro oratore che deve vivere frequentando moltissime persone, e in mezzo alla luce della politica, si abitui fin da ragazzo a non temere gli uomini e a non impallidire in quella vita solitaria e come umbratile. Va tenuta sveglia e sempre innalzata la mente che in solitudini di tal fatta o si infiacchisce, e nella tenebra prende un certo puzzo di muffa, o al contrario si gonfia di vuoti convincimenti: è infatti inevitabile che attribuisca troppo a se stesso chi non si confronta con nessuno. Quanto al umbratica vita pallescere, ricordo che Fidippide, il figlio di Strepsiade, aveva rifiutato i cattivi educatori, i maestri lazzaroni della scuola di Socrate anche per il loro colore giallastro, malsano:"aijboi', ponhroiv g' oi\da. tou;" ajlazovna"-tou;" wjcriw'nta" tou;" ajnupodhvtou" levgei" ( Nuvole, vv. 102-103), puah!, quei furfanti, ho capito. Tu dici quei ciarlatani, quelle facce pallide, gli scalzi. Un’altra pensata Socrate la ebbe quando Cherefonte gli domandò quale opinione avesse sul canto delle zanzare: esce dalla bocca o dal deretano? (- ojpovtera th;n gnwvmhn e[coi, ta;" ejmpivda" kata; to; stovm j a/[dein h] kata; toujrropuvgion 157-158). La risposta a tanto dilemma è che il budello della zanzara è stretto e l’aria ci passa con forza fino allo sfintere anale che a quel punto fa rumore per la violenza del soffio"( to;n prwkto;n hjcei'n ujpo; biva" tou' pneuvmato" (164). Strepsaide ne inferisce che allora è una tromba il culo delle zanzare-savlpigx oJ prwktov" ejstin a[ra tw'n ejmpivdwn (165) Segue un’esclamazione dello stesso che proclama Socrate tre volte beato per questa ispezione degli intestini w\ trismakavrio" tou' dientereuvmato" (166). Uno che sa tutto sul budello della zanzara fa presto a essere assolto in tribunale, gioisce il contadino pensando di avere trovato chi gli insegnerà a non pagare i debiti. Come si vede sono questioni di nessuna importanza, almeno per l'uomo comune il quale infatti deve rimanere ingannato dall'astruseria che serve a nascondere i grandi problemi reali: la guerra o la pace, l'educazione o la corruzione dei giovani ad opera di maestri e poeti, il rapporto tra i sessi, il lavoro, la libertà e così via. Simili a questi pensatori sbeffeggiati da Aristofane sono molti tra i nostri presunti intellettuali, uomini politici e uomini di spettacolo. Con il sopracciglio alzato dicono ovvietà o fanfaronate, oppure ridono di stupidaggini dette da loro stessi mentre il pubblico televisivo applaude a comando. Chi studia seriamente sa quanto impegno richiede una buona conferenza interessante per il pubblico che non è tenuto ad applaudire ma può andare via quando vuole o anche disapprovare fischiando. Una notte, continua il discepolo, mentre osservavo le vie della luna e le sue circonvoluzioni th'" selhvnh" ta;" ojdouv" guardavo in su stando a bocca aperta e dal tetto una tarantola cacò-ajpo; th'" ojrofh'" nuvktwr galewvth" katevcesen (173)-katacevzw- Strepsiade se ne compiace h[sqhn-h{domai- Comunque è affascinato e dice maqhtiw'- desiderativo di manqanvw mi scappa da imparare 183 cfr. cezhtiavw, mi scappa da cacare. Quindi il vecchio si fa aprire la porta- Vede altri discepoli e domanda che bestie siano.-podapa; ta; qhriva; (184) Il portinaio domanda a chi gli sembra che assomiglino “agli Spartani catturati a Pilo” risponde Strepsiade-toi'" ejk Puvlou lhfqei'si, toi'" Lakwnikoi'" (186). Quindi domanda perché guardino per terra. I discepoli con lo sguardo fisso al suolo risponde l’iniziato:"investigano le cose di sotterra"(zhtou`sin ou|toi ta; kata; gh`"- 188). Strepsiade capisce male " allora cercano cipolle" (bolbou;" a[ra zhtou'si189) e offre il suo aiuto:"non preoccupatevi per questo: io infatti so dove ce ne sono di grandi e belle" (190). Quelli aggiunge lo scolaro "scrutano i misteri della tenebra sotto il Tartaro"(192). Strepsiade domanda: “perché allora il culo guarda verso il cielo? Tiv dh`q j oJ prwktov" eij" to;n oujrano;n blevpei; 193). Il discepolo spiega che il culo "impara l'astronomia per conto suo"(194). Il ribaltamento delle posizioni del corpo è il correlativo oggettivo dello stravolgimento delle anime. Tutto va a rovescio acta retro cuncta. Appendice già pubblicata. I “grandi” commentatori geopolitici e il relativismo culturale di Erodoto. Ieri sera i “grandi” commentatori come la Annunziata, Rampini, Di Bella volevano spiegare quanto è successo a Kabul e hanno detto diverse cose, ma non cose diverse bensì tutti più o meno le stesse, senza dire l’essenziale: che c’è un relativismo delle culture, dei costumi, degli usi, e che rimane spesso frustrata la volontà di introdurre per forza in un paese un modus vivendi del tutto differente da quello del popolo della terra occupata. L’aveva capito già Erodoto nel V secolo a. C. Nel terzo libro dello storiografo di Alicarnasso troviamo un episodio che afferma il valore della tolleranza e costituisce uno dei più alti insegnamenti della cultura antica. Il re Dario domandò ad alcuni Greci se sarebbero stati disposti a cibarsi dei loro padri morti, ed essi risposero che non l'avrebbero fatto per niente al mondo. Quindi il re dei Persiani chiese agli Indiani chiamati Callati" oi{ tou;" goneva" katesqivousi"( 3, 38, 4) i quali mangiano i genitori, a quale prezzo avrebbero accettato di bruciarli nel fuoco, e quelli, gridando forte, lo invitarono a non dire tali empietà. Così, conclude Erodoto, queste usanze sono diventate tradizionali, e a me sembra che giustamente Pindaro abbia affermato che la consuetudine è regina di tutte le cose ("novmon pavntwn basileva fhvsa" ei\nai"). L’approvazione del relativismo si associa alla condanna dell’intolleranza. Erodoto ha iniziato questo capitolo affermando:" in ogni caso secondo me è evidente che molto matto era Cambise (" ejmavnh megavlw" oJ Kambuvsh"" ); altrimenti non si sarebbe messo a schernire religioni e costumi (3, 38, 1). Infatti se uno invitasse gli uomini a scegliere le usanze migliori, ciascuno sceglierebbe le proprie, poiché ciascuno è convinto che le proprie siano di gran lunga le più belle. Egli era necessariamente un pazzo (mainovmenon a[ndra, 3, 38, 2) poiché solo un folle mette in ridicolo le tradizioni locali. Tempo fa Papa Francesco ha menzionato il “relativismo religioso” come una possibile accusa nei suoi confronti. Se ne è difeso preventivamente dicendo che la devozione varia nei popoli secondo la cultura e le abitudini di ciascuna nazione. Credo che il relativismo sia una cosa buona in quanto negazione dell’assolutismo latore di intolleranza. giovanni ghiselli

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