Agoracrito distrae il rivale, gli sottrae il piatto con la lepre e lo offre a Demo, poi domanda w\ Dhmivdion, oJra'/" ta; lagw'/ j a[ soi ferw ; -1199, o Populuccio, vedi la lepre che ti porto?
Paflagone si lamenta: l’ho cucinata io! ejgw; d j w[pthsa (1204)-ojptavw-
Lo accusa di furto e Salsicciaio gli rinfaccia i prigionieri di Pilo rubati a Demostene.
I ladri cadono quando non si sostengono più a vicenda. Come i vari raccomandati, profittatori che abbiamo qui in Italia.
Demo ringrazia solo chi ha servito il piatto
Paflagone teme di venire superato nel campo dell’impudenza. uJperanaideuqhvsomai (1206).
L’impudenza- ajnaivdeia- è una delle armi con le quali chi tiene il potere rivendica meriti che non ha o non hanno i suoi protetti. La vediamo praticata ogni giorno da cosiddetti scienziati che hanno fatto analisi e previsioni sbagliate sul virus e ancora non chiudono le bocche dei loro infiniti vaniloqui.
Credo che in pochi oramai diano retta a costoro.
Agoracrito propone uns gara di benemerenza verso il popolo che al potere gli apra la via. Basterà controllare il contenuto delle sporte. Mostra al pappivdion- nonnino- la sua kivsthn vuota kenhvn (1215). Lui ha consegnato tutto.
Il vecchio elogia quella sporta che ta; tou` dhvmou fronei` (1216) pensa agli affari del popolo
Quindi Demo guarda quella di Paflagone e la trova tw'n ajgaqw'n pleva (1218) piena di cose buone. Cleone si è tenuto il pezzo più grosso della torta e a Demo ha dato solo una fettina.
E’ il banchetto di chi sta al potere e getta gli avanzi ai suoi sostenitori, gli idioti utili.
Agoracrito svela questo arcanum imperii dall’eterna presenza.
Paflagone si è sempre comportato in questa maniera: “ di quanto prendeva riservava a Popolo una piccola parte- mikro;n w|n ejlavmbanen (1222) mentre a se stesso imbandiva una parte più grossa- aujto;" d j eJautw`/ paretivqei ta; meivzona 1223, denuncia Agoracrito.
Nelle Vespe Bdelicleone, che odia il demagogo, esorta il padre Filocleone, che invece lo ama, a calcolare qual è il tributo (to;n fovron) che Atene riceve dalle città alleate poi tutte le altre rendite (tevlh, imposte indirette miniere mevtall j, mercati, porti, confische 649). Sono duemila talenti.
Gli stipendi dei 6000 eliasti arrivano a 150 talenti (un talento equivalgono a 6000 dracme a 36 mila oboli)
Il vecchio ci rimane male: nemmeno la decima parte?
E gli altri quattrini?
Il figlio risponde che vanno ai demagoghi i quali adulano la folla e prendono cinquanta talenti alla volta dagli alleati terrorizzandoli prima, poi vendendo ad altro prezzo una riduzione delle pene minacciate.
Tu ti accontenti di rosicchiare i rimasugli del tuo potere (672) dice il giovane al suo vecchio genitor.
A questo proposito sentiamo P. P. Pasolini: “Il lettore non abituato a queste discussioni per intendere il rapporto società-cultura, immagini una specie di banchetto, in cui la borghesia mangia a quattro palmenti, invitando al suo tavolo i cuochi (gli intellettuali) e gettando qualche osso ai cani ed ai mendicanti (i proletari); quell’osso sarebbe poi, per dare un esempio, l’anticomunismo ed il clericalismo. Finché durerà questo banchetto, i proletari dovranno accontentarsi dei rimasugli delle pietanze, e gli intellettuali, per mangiare le loro pietanze, dovranno essere i cuochi dei capitalisti. L’esempio è un po’ strambo, ma dà all’incirca l’idea di come stanno le cose”[1].
Demo dunque accusa Paflagone di essere un ladro, e lui risponde: “ejgw; d j e[klepton ejp j ajgaqw'/ ge th'/ povlei ” (1226), ma io rubavo per il bene della città.
Questa scusa è stata usata diverse volte nel mattatoio della storia anche per giustificare genocidi, bombe – atomiche comprese-sui civili e tanti altri crimini.
Da bambino credevo a queste menzogne. Chi è rimasto bambino o simula di esserlo ci crede ancora o finge di crederci.
giovanni ghiselli
p. s.
Una nota personale. Potete saltarla lettori miei se non vi interessa.
Ieri verso il tramonto sono arrivato in bicicletta a Montegridolfo sulla tomba dei nonni e bisnonni di mia nonna Margherita che mi ha lasciato la terra.
Ero stato invitato a cena da mia sorella che ha fatto ristrutturare la villa padronale dove da bambino andavo con le zie a seguire battiture e vendemmie dei mezzadri. Ho fatto il ritorno dopo le 23, sempre in bicicletta, con un buio pesto. Non ho accettato l’invito a dormire dove passai diverse notti da fanciullo affacciandomi alle finestre e contemplando le stelle che scintillavano sopra di me.
Ho sentito il dovere di correre il rischio della pedalata notturna di 23 chilometri per onorare tutti in miei morti, i maggior miei consanguinei e gli amici, sopra tutti Antonia e Fulvio che mi hanno rivelato a me stesso e incoraggiato a essere me stesso.
Ero sicuro che i miei cari che hanno giù compiuto la vita mi avrebbero protetto dal cielo nel ritorno periglioso. Poco dopo mezzanotte ero a Pesaro sul molo, a contemplare di nuovo le stelle e a ringraziare i miei angeli.
Non ne ho vsta cadere nessun astro. Perché i miei desideri di quando ero bambino si sono realizzati. Tutti quelli che era bene si realizzassero. Soprattutto amori, affetti e lavoro. Ora devo concepirne déi nuovi.
Nella giornata di ieri ho pecorso 101 chilometri con tante salite pedalando. Oggi studierò e scriverò di più. Lo devo a voi che mi leggete assidui.
Baci gianni
[1] P. P. Pasolini, Un intervento rimandato (marzo 1949), in Pasolini Saggi sulla politica e sulla società, p. 83.
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