Non ci fece caso e aggiunse che le nostre strutture mentali da un lato si assomigliavano, siccome eravamo entrambi cercatori eterni di qualche cosa, però, d’altra parte, differivano, in quanto lei disperava di uscire dal pozzo cupo del suo egocentrismo, mentre io potevo ancora trovare la felicità che mi aspettavo, e, probabilmente, mi spettava: “tu non sei infelice né sfiduciato” fece guardandomi mentre la osservavo attentissimamente “sei nervoso perché non sai bene quello che vuoi: tu hai solo bisogno di tempo. Devi rafforzare l’Io, la tua parte cosciente, renderla autonoma rispetto all’autoritarismo del Super io e metterlo in grado di conquistare e annettersi nuove zone dell’Es. Sei sulla strada giusta, gianni”.
“Fiam Ioannes, diventerò quel gianni che prevedi. Ancora in effetti non lo sono abbastanza”.
Il ricordo di quanto mi ha detto questa donna mi ha motivato a fare quanto devo a me stesso anche a costo di sacrifici grandi. Non ho ancora compiuto questa impresa. Voglio completarla prima di morire. Non troppo presto, spero.
Mentre continuava a parlare, Päivi mi dava sempre più la sensazione che avevo incontrato una creatura della mia specie spirituale, del mio stampo, della mia levatura qualunque essa fosse.
Verso le sei le proposi la gita, per me rituale, a Hortobágy: avrei gradito la presenza di Fulvio, e di un’altra finnica, come nel ’71, quando tutto era filato liscio con Helena, ma l’amico purtroppo non c’era, e dovetti accontentarmi di Bruno e Silvano che stavano invitando due tedesche.
Päivi li definì subito “persone qualunque”, autorizzando la mia radicale diversità dalla gente usuale.
Quella ragazza con la forza della sua intelligenza e cultura, come già Fulvio con la sua saggezza nobile e antica, come poi Ifigenia con la potenza della sua bellezza, hanno incoraggiato la mia difformità dalle persone ordinarie, gli indistinti, gli amorfi che ripetono e praticano i luoghi comuni.
Le righe seguenti possono non essere lette poiché non fanno parte di questa storia.
Faccio qualche esempio di mia difformità, o, secondo i malevoli, deformità. Io comunque ne vado fiero.
Una volta si “doveva” fumare, o ci si “doveva” sposare; ora si “deve” avere il telefonino e ci si “deve” far credere ricchi, importanti, di grande conto e peso.
Io non ho mai fumato uno spinello né una sigaretta, non ho mai voluto e non voglio il telefonino, baso le mie spese sulla pensione di insegnante, pago tutte le tasse dovute e non mi lesino niente. Certo non i libri, i film e il teatro.
Semplicemente non spreco.
"Non esse emacem vectigal est"[2]
Quando un ex boss dell’edilizia pesarese mi offrì molto denaro per della terra che, data in affitto a un coltivatore diretto, mi rende poco ma viene coltivata bene, lo rifiutai.
Mi pregio di nominarmi “il poverello di Pesaro”, il mendicante della bellezza, l’accattone degli affetti e così via.
Mi ripugna la gente che sfoggia il denaro e ancora di più quelli che fingono, risibilmente, di averlo. Mi disgusta ogni forma di affettazione. Trovo disgustoso chi va in televisione o altrove mettendo in mostra i propri libri e dicendo o facendo dire “comprateli!”. Io in passato ne ho prodotti e pure venduti bene con Loffredo, ma ora, da persona matura e meglio cosciente, dico: non comprateli, ho tutto nel computer, li ho resi più belli da allora e ve li mando gratis attraverso la posta elettronica. Mi sembra più elegante, degno di me e del mio comunismo aristocratico.
Anzi, cito un poeta addirittura fascista con il quale condivido l’amore per la cultura e l’odio per l’usura:
For I am homesick after my own kind
And ordinary people touch me not.
And I am homesick
After my own kind that know, and feel
And have some breath for beauty and the arts (Ezra Pound, In Durance, 1907).
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[1] Si tratta, naturalmente, di Fulvio.
[2] Cicerone Paradoxa Stoicorum (VI, 51), non essere consumisti è una rendita.
gianni
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