mercoledì 18 agosto 2021

Aristofane le Nuvole ottava parte.

Scene episodiche 364-509 Aristofane suggerisce che Socrate è foriero di sovversione religiosa e ideologica. au|tai ga;r toi movnai eisiv qeaiv solo le Nuvole sono divinità riprende a dire Socrate, tutto il resto è chiacchiera- ta[lla de; pavnt j ejstiv fluvaro" (365) Allora Strepsiade gli domanda: "ma Zeus, quello dell'Olimpo, per voi non è dio?", e il filosofo risponde:"quale Zeus? non vaneggiare! Zeus non esiste!"(- oujd j e[sti Zeuv" 367). Il vecchio però non è ancora così "illuminato", Forse ha sentito cantare e ha preso alla lettera le parole di Alceo :"Fa piovere Zeus (u[ei me;n oJ Zeuv", fr. 90D.) Sicché domanda:"chi fa piovere allora?"(- ajlla; tiv" u{ei; 369). Così offre una facile risposta a Socrate che indicando le nuvole dice :"queste senza dubbio"- au|tai dhvpou-. Infatti, sillogizza, quando mai si è visto piovere senza le nuvole? Se fosse Zeus, farebbe piovere anche a cielo sereno. A questo punto Strepsiade crede di vedere la luce e ringrazia il maestro: " e io che prima credevo davvero che fosse Zeus a pisciare in un setaccio!"( dia; koskivnou oujrei'n-372). Quindi il vecchio discepolo scopre che sono sempre le nuvole, muovendosi, a produrre i tuoni rivoltandosi- kulindovmenai (374), come gli spiega Socrate. Cozzano l’una con l’altra e fanno fracasso a causa della densità-fhmiv-ejmpivptousa" eij" ajllhvla" patagei'n dia; th;n puknovthta (383-384). Non del tutto diversa è la spiegazione di Lucrezio, un esempio di empietà secondo i cristiani: Il tuono- tonitrus- dipende da un cozzare di nubi- concurrunt volantes aetheriae nubes ( De rerum natura, V, 97) spinte dai venti. Fanno rumore come un velario steso sui grandi teatri-carbăsus ut quondam magnis intenta theatris- (109) quando è agitato dal vento. A volte le nubi rumoreggiano sfregandosi a vicenda. Talora la nuvola viene squarciata dai venti tum perterricrepo sonitu dat scissa fragorem (129)-perterreo e crepo, strido, allora squarciata esplode con terribile fragore A Strepsiade rimane comunque la forza di fare l'obiezione di fondo dell'uomo religioso: " ma chi le costringe a muoversi, non è Zeus?"(379). Socrate lo contraddice ancora e ricorre a un'altra divinità che sembra suprema:" no, per niente ma è il vortice d'aria"(h[kist j, ajll j aijqevrio" di'no" 379). Qui c’è un ricordo di Anassagora che considerava il cosmo come il prodotto di un vortice infinitamente forte, tanto da non essere intralciato dall'infinito. “Ma il più grande dei seguaci d'Anassagora è Pericle; il più poderoso e ragguardevole uomo del mondo; e precisamente a lui si riferisce la testimonianza di Platone secondo la quale soltanto la filosofia di Anassagora avrebbe dato al suo genio la sublimità del volo (...) l'effetto dell'orazione periclea appariva spesso, all'orecchio di Anassagora, come un'immagine metaforica di quell'originario movimento circolare; anche qui, infatti, avvertiva un vortice di pensieri dalla forza terribile, pur tuttavia ordinato nel suo movimento, che in cerchi concentrici afferrava e trascinava poco a poco i più vicini e i più lontani e che una volta giunto al suo termine aveva plasmato, a forza di ordinare e sceverare, il popolo tutto in una forma nuova" . Bowra aggiunge che la concezione tucididea "dell'espansione della potenza era forse desunta dalle scienze naturali. Il filosofo e teologo Anassagora, amico di Pericle, aveva presentato una teoria della Mente come causa prima e attiva, che però, a quanto egli sosteneva, andava continuamente espandendo il suo dominio sui fenomeni. E' possibile che Pericle abbia applicato questa idea alla politica e l'abbia usata per giustificare la sua concezione dell'imperialismo ateniese" . Anassagora introduce una Mente (Nou`~) separata dalla materia (u{lh) che è formata da particelle (spevrmata, semi) distinte per qualità. Più tardi verranno chiamate oJmoiomevreiai, particelle simili. Il Nou`~ distingue le cose e le pone in ordine. Secondo Diogene Laerzio, Euripide era discepolo di Anassagora, tanto che nel Fetonte chiamò il sole “massa d’oro”. Infatti il filosofo di Clazomene aveva affermato che il sole è una massa incandescente e rovente. A causa di questa opinione Anassagora fu processato peri; ajsebeiva~, per empietà, e condannato a una multa di cinque talenti. Platone nel Fedone (97c sgg.) fa dire a Socrate che abbandonò Anassagora quando si accorse che di fatto era un naturalista tutto intero: aveva sentito dire che secondo Anassagora la mente (Nou'") è la causa e l'ordinatrice di tutto; ma dovette ricredersi : in realtà adduceva come causa l'aria, l'etere, l'acqua e diverse altre cose strane. Insomma secondo Socrate, Anassagora si occupava solo di cose materiali Il Socrate di Platone, al contrario di quello di Aristofane. Una volta sentì uno che leggeva un libro dicendo che era di Anassagora e dov’era scritto c’è una mente nou'" quale ordinatore e causa di tutte le cose- oj diakosmw'n te kai; pavntwn ai[tio"-. Socrate dunque aggiunge : “credevo con gioia –a[smeno"- di avere trovato un maestro-huJjrhkevnai didavskalon- della causa delle cose che sono secondo le esigenze del mio intelletto mi avrebbe chiarito se la terra è piatta o tonda povteron hj gh' platei'av ejstin h] strogguvlh, poi mi avrebbe spiegato la causa e la necessità di questo, dicendo perché è meglio per essa essere così. Poi la causa della centralità della terra, della velocità dei movimenti del sole e della luna. Doveva spiegarmi qual è il meglio per ciascun elemento del cielo e quale il bene comune per tutti. Non potevo credere che Anassagora favskonntav ge ujpo; nou' aujta; kekosmh'sqai, dal momento che diceva che queste cose sono ordinate da una mente, potesse allegare una causa diversa da questa: che il meglio per loro è essere così come sono o{ti bevltiston aujta; ou{tw" e[cein ejsti;n w{sper e[cei (Platone, Fedone, 98 a) Ma mi allontanai come vidi che l’uomo non impiegava affatto la mente-oJrw' a[ndra tw'/ me;n nw/' oujde;n crwvmenon e non gli attribuiva le cause che invece attribuiva all’aria, all’etere, all’acqua e ad altre cose fuori luogo-ajevra" de; kai; aijqevra" kai; u{data aijtiwvmenon kai; a[lla polla; kai; a[topa (Fedone, 98b). Plutarco nella Vita di Pericle (6) racconta che l’indovino Lampone vide un ariete con un solo corno portato dalle campagne del capo politico e disse che quell’unico kevra" ijscuro;n kai; stereovn, solido e dritto, significava che dei due capipartito di Atene, Pericle e Tucidide di Melesia, il primo sarebbe rimasto solo al potere. Allora Anassagora fece rompere il cranio dell’ariete e mostrò la causa fisica di quella anomalia: il cervello a punta dell’animale. Plutarco dunque disse che potevano avere ragione tanto lo scienziato quanto l’indovino kai; to;n fusiko;n ejpitugcavnein kai; to;n mavntin- siccome uno lo scienziato aveva capito la causa-th;n aijtivan- (quella fisica, fisiologicamente), l’altro il fine, lo scopo to; tevlo". Lo scopo era dare un segno Quelli i quali sostengono che la scoperta della causa- th'" aijtiva" th;n eu{resin- comporta l’eliminazione del segno- ajnaivresin ei\nai tou' shmeivou-non si accorgono che con i segni divini eliminano anche quelli artificiali, ossia fatti dagli uomini- tra i segni a[ma toi'" qevioi" kai; ta; tecnhta; tw'n sumbovlwn ajqetou'nte", come il suono dei timpani o le ombre degli orologi solare, prodotti tutti da una causa e pure come segno significativo di qualche cosa. Nelle Nuvole invece a Socrate l'eliminazione di una mente dell'universo va bene; in fondo, se si elimina dio dal cielo:"tutte le vecchie concezioni e specialmente la vecchia morale cadranno da sé (...) e nascerà una vita nuova", come insegna Satana a Ivan Karamazov. Ivan dice allo stariez: “se non c’è l’immortalità non c’è nemmeno la moralità” (I fratelli Karamazov, parte I, 2, 7, p. 114) E più avanti: (parte IV, 10, 2, p. 771): “Secondo me, non c’è nulla da distruggere, basta distruggere nell’uomo l’idea di Dio, e proprio da questo occorrerebbe cominciare! Dal momento che l’uomo rinnegherà Dio (…) tutte le vecchie concezioni e specialmente la vecchia morale cadranno da sé, senza l’intervento dell’antropofagia, e nascerà una vita nuova. Lo spirito dell’uomo si innalzweà in un divino e titanico orgoglio, e apparirà l’uomo dio (…) “Tutto è permesso” e basta!” Le nuvole, segue Socrate, fanno rumore come il tuo ventre quando alle Panatenee, rimpinzato di zuppa-zwmou' ejmplhsqeiv" (386 lo zwmov" mevla" degli Spartani-lat ius), rimani sconvolto nelle viscere. Strepsiade riconosce che la zuppa, il brodetto rimbomba come tuono-w{[sper bronth; to; zwmivdion patagei' (389) prima fa pappavx 2 volte poi papapappax. Pensa, gli dice Socrate, quali scorregge fai- oi|a pevporda"-392 pevrdw- da uno stomachino- ajpo; gastridivou-, e non è verosimile che l’aria infinita tuoni così in grande? Strepsiade è convinto sul tuono, e ora vuole l’opinione di Socrate sul fulmine oJ keraunov" (395) che splende di fuoco e incenerisce, oppure scotta chi prende. Il vecchio ignorante crede sia chiaro che è Zeus a scagliarlo contro gli spergiuri-: “tou'ton ga;r dh; fanerw'" oJ Zeu;" i{hs j ejpi; tou;" ejpiovrkou"” (397) Socrate gli dà dello scemo “w\ mw're” , antiquato e grullo. E nomina tre famigerati spergiuri che non sono mai stati colpiti dal fulmine. Invece i fulmini colpiscono i templi, anche quello di Zeus, e il Souvnion a[kron jAqhnevwn, promontorio di Atene e le grandi querce-kai; ta;" dru'" ta;" megavla" e pure la quercia non spergiura ( oj ga;r dh; dru`" g j ejpiorkei` 402). Strepsiade gli dà ragione. Quindi domanda al suo maestro che cosa è allora il fulmine. Socrate spiega che il vento secco-a[nemo" xhrov" (404) entra nelle nuvole e le gonfia come una vescica-w{sper kuvstin fusa'/ , poi ne esce impetuoso schiantandole e si incendia da solo- eJauto;n katakaivwn- 407 rumorosamente Strepsiade trova che questo assomigli a quanto gli accadde una volta ojptw'n gastevra-409- arrostendo una trippa che aveva dimenticato di bucare: anche questa si gonfiò e scoppiò schizzandogli merda negli occhi e scottandogli la faccia. Il coro delle Nuvole proclama eujdaivmwn felice Strepsiade purché abbia memoria e riflessione e sia resistente alle fatiche, al freddo, alla fame e consideri bene supremo nika'n pravttwn kai; bouleuvwn kai; th'/ glwvtth/ polemivzwn (419) vincere, agendo e dando consigli e con la lingua polemizzando. Strepsiade risponde che l’allenamento a una vita dura e parca non gli manca. Quindi Socrate gli ordina di non credere più ad alcun dio tranne "tranne i nostri: il Caos e le Nuvole e la lingua. Solo questa trinità"(to; Cavo" touti; kai;ta;" Nefevla" kai, th;n glw`ttan, triva tautiv 424). Il Caos porta alla sapienza silenica siccome è l’antonimo, la negazione del cosmo. Nega dunque la vita. Le Nuvole sono le divinità di chi non vuole vedere il Sole che porta significazione di Dio. La lingua può trarre la sua fiamma dalla Gehenna come si legge nell’Epistola di Giacomo (3, 6) La lingua è un fuoco-lingua ignis est, è il mondo dell’iniquità, universitas iniquitatis. Lingua constituitur in membris nostris, è inserita nelle nostre membra, quae maculat (hJ spilou'sa) totum corpus, contamina tutto il corpo et inflammat rotam nativitatis nostrae , inflammata a gehenna , e incendia la ruota della nostra nascita flogizomevnh ujpo; th'" geevnnh" traendo fiamma dalla Gehenna. Strepsiade promette, e in cambio fa una sola richiesta: "che io tra i Greci sia il più bravo a parlare-levgein a[riston- con cento stadi di vantaggio "(430). Lo scopo del vecchio non è politico ma disonesto in favore del proprio utile "voglio stravolgere il diritto a mio vantaggio. ejpiqumw' ejmautw'/ streyodikh'sai e scivolare dalle mani dei creditori tou;" crhsta;" diolisqei'n -diolisqavnw"(434). Strepsiade è disposto a dare retta alle Nuvole e subire anche la tortura pur di schivare i debiti e farsi una fama di mascalzone scaltro (440-450). E' lo stravolgimento della morale dell'Atene arcaica. Cfr. la tranvalutazione lessicale in Tucidide. Nei conflitti interni molti valori si capovolgono: lo afferma Tucidide a proposito della stavsi" di Corcira , quando ci fu una tranvalutazione generale e le stesse parole cambiarono il loro significato originario:"Kai; th;n eijwqui'an ajxivwsin tw`n ojnomavtwn ej" ta; e[rga ajnthvllaxan th'/ dikaiwvsei. Tovlma me;n ga;r ajlovgisto" ajndreiva filevtairo" ejnomivsqh" (III, 82, 4), e cambiarono arbitrariamente l'usuale valore delle parole in rapporto ai fatti. Infatti l'audacia irrazionale fu considerata coraggio devoto ai compagni di partito. Più avanti, nelle Nuvole , il Discorso ingiusto (Lovgo" a[diko" ) sostiene che Tetide lasciò Peleo perché non era impetuoso (uJbristhv" , v. 1067) e non era piacevole passare la notte con lui, mentre la donna gode a essere sbattuta. Qui è notevole il capovolgimento del significato di u{bri", la prepotenza, che, applicata alla libidine della donna, diviene un valore. Cfr. l’ Elegia alle Muse di Solone, chiedeva agli dèi beati benessere accompagnato dalla buona reputazione e desiderava le ricchezze solo se acquistate con giustizia. Ma quell'etica è oramai roba vecchia e superata: le Nuvole approvano "l'anima l'ardita e pronta" di Strepsiade (lh'ma (…) oujk a[tolmon ajll j e[toimon 458). Inoltre promettono klevo" oujranovmhke" (460) una gloria alta fino al cielo al vecchio idiota. E anche una folla di gente alla porta. Sono lusinghe che attirano il poveraccio senza nessuna identità. E’ il metodo della pubblicità. Socrate dunque continua a istruire l'anziano allievo. Gli domanda se abbia memoria: puqevsqai bouvlomai eij mnhmonilo;" ei\ (482-483). Chi non ha forte identità non conosce nemmeno se stesso e non può avere buona memoria siccome conoscere è ricordare (cfr. Platone, Menone). Infatti Strepsiade risponde duvo trovpw: in due modi (483): ricordo i crediti e scordo i debiti. La memoria ha sempre una componente emotiva. Socrate domanda poi a Strepsiade se sia portato per natura a parlare: e[nesti dh'tav soi levgein ejn th'/ fuvsei; (486). A parlare (levgein) no, a frodare (ajposterei'n) sì. Allora Socrate vuole proporgli una dotta questione sui fenomeni celesi (peri; tw`n metewvrwn-, gettarglelo davanti (o{tan ti probavlwmai) peri; tw'n metewvrwn e Strepsiade deve afferrarla al volo. Ma il vecchio quasi si adonta: e che mai, mangerò la sapienza come un cane? –tiv daiv; kunhdovn-avverbio- th;n sofivan sithvsomai; (491) Il mangiare e l’essere mangiato è ossessivamente presente nella testa di questo contadino: la malattia equina del figlio-novso" ijppikhv è deinh; fagei'n (243) un mostro vorace aveva detto a Socrate. Il vecchio equivoca spesso passando dall’astratto al concreto. Socrate biasima l’ a[nqrwpo" ajmaqh;" kai; bavrbaro" (492), l’uomo ignorante e grossolano. Temo che per te ci sia bisogno di bastonate-devdoikav s j, w\ presbu'ta, mh; plhgw'n devei -493. Nella scuola allora probabilmente c’erano maestri plagosi come Orbilio. Cfr il plagosus Orbilius di Orazio, Epistulae,. II, 1, 70-71. Anche io ne trovai uno in quinta elementare nelle Carducci di Pesaro. Strepsiade dice che prima prenderebbe le botte-tuvptomai-poi aspetterebbe un poco, chiamerebbe testimoni ejpimartuvromai e sporgerebbe denuncia-dikavzomai (495-496). Aristofane irride spesso l’amore degli Ateniesi per i tribunali. Socrate chiede a Strepsiade di togliesi il mantello katavqou qoijmavtion (497) prima di entrare nel nucleo nel nucleo pensatoio: c’è l’uso di entrarvi nudi. Il vecchio protesta dicendo che non è andato là fwravswn (fwravw-499) per una ispezione che si doveva fare senza mantello per evitare furti da parte di chi ispezionava. Strepsiade ha paura di entrare: gli sembra l’antro di Trofonio un eroe beota nella cui grotta oracolare si trovavano serpenti sacri ai quali bisognava offrire focaccine di miele. Strepsiade ne chiede una- dov" moi melitou'ttan provteron (507) prima di entrare. I due entrano nel pensatoio. Pesaro 18 agosto 2021, ore 17, 19 giovanni ghiselli

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