martedì 31 agosto 2021

La Telemachia. seconda parte.

L'ospite dunque viene trattato con tutti i riguardi da Telemaco e ignorato dai proci i quali, una volta sazi, ebbero a cuore musica e danza ("molphv t& ojrchstuv" te") che sono ornamenti del banchetto "ajnaqhvmata daitov"" (Odissea, I, v. 153). Intanto Telemaco parla all'ospite e gli esprime il suo scoraggiamento a proposito del ritorno del padre: considera perduto per Odisseo (I, v.168) quel dì del ritorno (v. 9) di cui noi sappiamo che è stato tolto solo ai compagni per la loro stolta scelleratezza (v. 7). Il figlio di Ulisse dunque è invaso dallo sconforto che gli impedisce di agire. Il compito di Atena è quello di scuoterlo. "Telemaco non è, dapprima, che un giovanetto in balìa dei maneggi insolenti dei pretendenti della madre. Egli vi assiste rassegnato, senza trovar la forza di prendere decisioni sue proprie, mite e incapace di rinnegare, nemmeno di fronte a quel flagello della sua casa, l'innata distinzione dell'indole sua, nonché difendere energicamente i propri diritti. Questo giovanetto passivo, di molle gentilezza, sterilmente lagnantesi, sarebbe un alleato nullo per Odisseo, che rimpatria per affrontare una grave battaglia decisiva e per compier vendetta, costretto ad affrontare i Proci quasi senz'alcun aiuto. Chi ne fa un combattente prode, risoluto, ardito, è Atena" . Infine il giovane domanda all'ospite chi sia e questo dice di essere Mente signore dei Tafi (vv. 180-181) che abitavano un'isola di fronte all'Acarnania. Aggiunge di essere un ospite tradizionale noto a Laerte del quale però ha sentito dire che al momento vive lontano, fra i campi, e soffre dolori (v. 190). Questa assenza di Laerte che si aggiunge a quella di Ulisse fa pensare al caos connesso alla mancanza della figura paterna. Tale carenza è motivo di confusione e squallore, per esempio, nella famiglia Lanucci del primo romanzo di Svevo:"l'umore in famiglia era triste...Quest'umore aveva aumentato la nostalgia in Alfonso, perché è la gente triste che fa tristi i luoghi". Il padre non permetteva al figlio di sedere accanto a lui "dopo che aveva perduto un impiego discreto procuratogli con somma fatica. Era l'unico castigo che sapeva infliggergli, non avendo per altri né energia né testa...Ogni parola nella famigliuola provocava facilmente delle dispute" . Quindi Atena dice a Telemaco altre parole che il ragazzo vuole sentirsi dire: che assomiglia straordinariamente al padre nel capo e negli occhi belli ("aijnw'" me;n kefalhvn te kai; o[mmata kala; e[oika~", v. 208) indicando del corpo umano, la parte più significative e portatrice di spiritualità. Il figlio di Odisseo è sempre più disposto ad ascoltare Mente:"Le parole di lui gli dicono invero le stesse cose che la voce del suo cuore gli suggerisce. Telemaco è il prototipo del giovane docile, cui il consiglio, volonterosamente accolto, d'un amico esperto conduce all'azione e alla fama" . Quindi Atena dà un altro stimolo al giovane, il quale dubita persino di essere prole di Ulisse, dicendo a Telemaco che la loro stirpe non può restare senza rinomanza ("nwvnumon", v. 222) se Penelope ha generato un tal figlio. Il dubbio sull'identità e sulla capacità di essere all'altezza del padre, se questi è un uomo valido, o comunque al livello dei migliori della propria stirpe è probabilmente quello che crea le massime difficoltà ai ragazzi i quali viceversa ricevono una grande spinta se si sentono assimilati ai più capaci della loro razza. Poi Atena cerca di suscitare sdegno nel giovane per la presenza dei proci i quali certo non sono lì per un " e[rano"". Egli allora ha bisogno di un'altra frustata da parte di Atena che prima gli ricorda la gagliardia di Odisseo, poi lo spinge a indire un assemblea per comandare ai proci di tornare a casa, e anche alla madre se vuole sposarsi di nuovo, quindi lo esorta a partire per cercare il padre da Nestore a Pilo, e a Sparta dal biondo Menelao (v. 285) che è tornato per ultimo. Se verrà a sapere che è morto davvero, dovrà alzargli un tumulo e rendergli onori funebri, e infine massacrare i pretendenti. Infatti Telemaco non può continuare le bambinate poiché non ha più l'età per farlo: “nhpiava~ ojcevein, ejpei; oujkevti thlivko~ ejssiv ” (v. 297). Cfr. nhvpioi del v. 8. Confermano questo rimprovero, che adesso si potrebbe estendere a tanti ultratrentenni e passa, con alcune parole di C. Pavese:"C'è qualcosa di più triste che invecchiare, ed è rimanere bambini" . Pesaro 31 agosto 2021 ore 11, 42 giovanni ghiselli

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