NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica

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lunedì 23 agosto 2021

Aristofane le Nuvole XII parte.

Il ragazzo impreca contro il cattivo maestro: gli augura di essere impiccato- krevmaiov ge- ottativo medio p. di kremavnnumi Socrate trova da ridire sulla pronuncia della parola krevmai con le labbra molli j ceivlesin dierruhkovsin (873).-diarrevw. Con tale mollezza come si può imparare a schivare una condanna ajpovfuxin divkh" (874) o a fare una citazione klh'sin oppure a esprimere la vuota enfasi persuasiva?- cauvnwsin ajnapeisthrivan 875- Iperbolo per un talento ha imparato. Una spesa non piccola: un talento equivale a 500 dracme e una dracma a sei oboli. Il padre cerca di riabilitare il figlio presentandolo come qumovsofo" fuvsei (877), ingegnoso di natura. Fin da bambino costruiva casette barchettine e carrettini e con la buccia delle melagrane faceva dei ranocchi. Quindi Strepsiade chiede al maestro che insegni al figlio ejkeivnw tw; lovgw quei due discorsi famosi (882): to;n kreivtton j o{sti" ejstiv kai; to;n h{ttona -883- il più forte , quale esso sia, e il più debole, quello da meno che tuttavia dicendo cose ingiuste rovescia il più forte o]" ta[dika levgwn ajnatrevpei to;n kreivttona (882-884). Nella Apologia di se stesso davanti ai giudici durante il processo del 399, Socrate menziona Aristofane e ricorda questa commedia dove voi vedevate un certo Socrate portato in giro perifevromenon mentre sostiene di camminare per l’aria- ajerobatei'n- e blatera dicendo molte altre scemenze di cui non mi intendo né molto né poco ( Platone, Apologia di Socrate, 19b-c). Se non riesce a impararli entrambi il ragazzo impari almeno quello ingiusto, con ogni mezzo (Nuvole, 885) Che "diventi capace di confutare qualsiasi argomento giusto ( o{pw" ta; divkai j ajntilevgein dunhvsetai- 888) chiede il padre al maestro. Quindi Aristofane personifica i due discorsi e li fa parlare in un agone oratorio. Il Discorso Giusto dà dello sfrontato qrasuv" (890) all’Ingiusto, e questo assicura che lo distruggerà. L’Ingiusto ammette di essere quello h{ttwn, da meno, eppure prevarrà sul kreivttwn. Lo farà inventando nuove sentenze- gnwvma" kaina;" ejxeurivskwn (895). Il Giusto ribatte che roba del genere fiorisce ajnqei' per via di questi sciocchi dia; tou;" ajnohvtou" e indica gli spettatori. L’Ingiusto li lusinga chiamandolo sofouv". Anche il Kreivttwn prevede la vittoria per sé ta; divkaia levgwn, dicendo il giusto. Ma il discorso da meno replica che "la Giustizia non esiste affatto"( oujde; ga;r ei\nai pavnu fhmi, Divkhn 902). Il Giusto ribatte che invece esiste e si trova"presso gli dèi"(903). "Come mai-domanda allora l'Ingiusto-, se c'è la Giustizia, Zeus che ha messo in catene suo padre non è andato in rovina?"(oJ Zeu;" oujk ajpovlwlen to;n patevr j auJtou' dhvsa" ; 904-905). Cfr. Eumenidi di Eschilo: durante il processo nell’Areopago la Corifèa fa un'obiezione che sembra un gioco sofistico : secondo il tuo discorso Zeus si prende tanta cura della sorte del padre, invece fu lui che mise in ceppi il vecchio padre Crono"-auvto;" d j e[dhse patevra presbuvthn krovnon- 640-641). Vediamo che il paradigma mitico viene utilizzato per avallare l'ingiustizia. Al Giusto viene da vomitare e chiede un catino- dovte moi lekavnhn- 907. Segue una serie di improperi reciproci: vecchio pazzo gli fa l’Ingiusto (908).. rotto in culo- katapuvgwn- e svergognato- replica il Giusto (909) L’Ingiusto ribatte che addosso a lui sono ornamenti: rose gigli. Allora il Giusto gli dà del buffone bwmolovco" e parricida kai; patraloiva" ( 910- 911) “Non vedi che mi copri d’oro?” domanda l’Ingiusto 912 Il Giusto ribatte che una volta si trattava di piombo (moluvbdw/) -nu'n dev ge kovsmo" tou't j ejsti;n moi (914), ma ora questo per me è un ornamento gli fa, l’Ingiusto. Sfacciato davvero ribatte il Giusto ( 915). “su; dev g j ajrcai'o"” e tu antiquato risponde l’Ingiusto ( 915) Il Giusto accusa il rivale dicendogli che per causa sua i ragazzi non andranno più a scuola e gli Ateniesi si renderanno conto oi|a didavskei" tou;" ajnohvtou" (918) della pessima qualità dei suoi insegnamenti a quegli sciocchi. Pensate a quanta attenzione non solo alla scuola ma alla stessa vita perdono adesso i ragazzi dedicandola ai cellulari. L’Ingiusto risponde tu sei vergognosamente squallido: aujcmei`" aijscrw`"- 923 : “tu sì che stai bene davvero!”- su; de; g j eu\ pravttei"- Il Giusto risponde con ironia: tu invece te la passi davvero bene- su, de; gj, eu\ pravttei" (923). Eppure un tempo facevi l’accattone dicendo di essere Telefo mentre dalla bisaccia rosicchiavi massime di Pandeleto. Telefo è uno dei personaggi pezzenti di Euripide, come si è già detto, l’altro è un delatore di professione. biasima la città che nutre l’Ingiusto mentre guasta i ragazzi lumainovmenon toi'" meirakivoi" (927) L’Ingiusto dà all’avversario del vecchio Krovno" (929), un sorpassato. Il Giusto rbatte che la gioventù farà bene ad ascoltarlo se deve salvarsi e non praticare solo la chiacchiera-kai; mh; lalia;n movnon ajskh'sai (931) Infine interviene il corifeo e impone la fine della rissa con insulti (pavusasqe mavch" kai; loidoriva", 934). Segue l’imposizione dei dissoi; lovgoi: il Giusto dovrà mostrare in che cosa consiste la sua educazione tradizionale e l'Ingiusto di che cosa è fatta la nuova; il ragazzo, udito il contraddittorio, sceglierà da chi andare a scuola (938). Stiamo per assistere a uno di quei dibattiti fatti di discorsi contrapposti che si trovavano nelle Antilogie di Protagora il cui annuncio programmatico era appunto:"rendere più forte il discorso più debole". Insomma Aristofane fa il verso ai sofisti che erano combattenti con l’arma della parola. “L’idea di “ discorso giusto” stravolto in discorso ingiusto si ricollega al principio protagoreo di “fare forte il discorso debole” (to;n h{ttw lovgon kreivttw poiei`n, fr. A 21 Diels-Kranz)” . L’Ingiusto lascia l’inizio al Giusto: poi, dice, lo trafiggerò-katatoxeuvsw- con paroline e concetti nuovi- Morrà punzecchiato-kentouvmeno"- in tutta la faccia e gli occhi come da calabroni. Il coro annuncia un kivnduno" sofiva", un certame di sapienza, un ajgw;n mevgisto", una gara massima. Quindi dà la parola al discorso Giusto Comincia dunque a parlare il Discorso Giusto spiegando "com'era l'educazione antica"(ajrcaiva paideiva-961). Allora io fiorivo dicendo il giusto-ejgw, ta; divkaia levgwn h[nqoun- "Il ritegno (swfrosuvnh) era tenuto di conto. In primo luogo non si doveva sentire il ragazzo bisbigliare-gruxavnto" -gruvzw- anche una sola parola/ poi dovevano marciare in ordine- eujtavktw"- nelle vie verso la casa del maestro di cetra/ tutti quelli del quartiere insieme nudi- tou;" kwmhvta"-kwvmh- gumnou;" ajqrovou"- anche se veniva giù la neve come farina setacciata"(963-965). Sembra che Aristofane sia nostalgico di un'educazione di tipo militaresco, spartano, che inculcava nei giovani la disciplina e il sacrificio, valori caduti in disuso e destinati a non risollevarsi, visto che Demostene li rimpiangerà ancora diversi decenni più tardi quando, cercherà di spingere gli Ateniesi a difendere la libertà da Filippo di Macedonia. Demostene invocava la disciplina e lo spirito di sacrificio degli Ateniesi. Nella I Filippica (del 351) Demostene contrappone la serietà dell’organizzazione delle feste Dionisie e Panatenee al disordine, alla confusione e all’improvvisazione delle spedizioni militari. Le feste infatti sono rigorosamente disciplinate: nulla in queste viene trascuratamente lasciato privo di esame e non ben definito: “oujde;n ajnexevtaston oujd j ajovriston ejn touvtoi~ hjmevlhtai ( 36). Nella III Filippica (del 341) Demostene riprovera ai Greci di rimanere inattivi, come di fronte a un uragano che l'uomo osserva passivamente. Noi, dice, stiamo a guardare come si fa con la grandine: ciascuno prega che non gli venga addosso, ma nessuno tenta di impedirlo (33). Le quattro Filippiche chr vanno dal 351 al 340 (344, 341). Sono unificate dall'idea grandiosa di educare il popolo. Ma le sue fatiche umanamente spese non hanno ottenuto l’effetto che sperava Leopardi considera Demostene, come Cicerone, un il predicatore di illusioni (Zibaldone, 22). Come il discorso giusto delle Nuvole cercavano di persuadere i Romani a operare illusamente seguendo l'esempio dei maggiori. Ma predicavano invano contro i tiranni. La ragione aveva eliminato le illusioni. “Non importava un fico la patria, la gloria, il vantaggio degli altri dei posteri ec.. erano fatti egoisti, pensavano il proprio utile (…) non più ardore, non impeto, non grandezza d’animo, l’esempio de’ maggiori era una frivolezza (…) crebbe la lussuria e l’ignavia (…) E la ragione facendo naturalmente amici dell’utile proprio, e togliendo le illusioni che ci legano gli uni agli altr, scioglie assolutamente la società e inferocisce le persone” (23). Senza illusioni non ci sarà mai grandezza di pensieri né forza e impeto e ardore d'animo né grandi azioni che per lo più sono pazzie. Quando uno è illuminato invece di cercare diletti e beni vani, come la gloria, l'amore della patria e la libertà, cerca i solidi, cioè i piaceri carnali osceni, insomma terrestri, diventa egoista né si vuole sacrificare per sostanze immaginarie. Un popolo oltremodo illuminato non diventa mica civilissimo come sognano i filosofi del nostro tempo (la Staël), ma barbaro. La natura nemica della barbarie ci somministra le illusioni. Nessuno chiamerà barbari i Romani combattenti i Cartaginesi, né i Greci alle Termopile, quantunque quel tempo fosse pieno di ardentissime illusioni e pochissimo filosofico. Le illusioni sono in natura, e senza illusioni l'uomo è snaturato. La ragione è un lume e la natura vuole essere illuminata dalla ragione, non incendiata (22). La gioventù del buon tempo antico dunque come “Fiorenza dentro dalla cerchia antica- ond’ella toglie ancora e terza e nona- si stava in pace, sobria e pudica" per usare parole di Dante (Paradiso , XV, 97-99) che esprime una nostalgia del genere per la Firenze dell'avo Cacciaguida. Torniamo alla nostra commedia. Il maestro insegnava un canto che loro imparavano senza accavallare le cosce (966), I canti erano inni agli dèi, a Pallade in particolare, e canti di battaglia. Pesaro 23 agosto 2021 ore 17, 29 giovanni ghiselli

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