martedì 31 agosto 2021

A che cosa serve studiare il latino e il greco?

“L'uomo che non conosce il latino somiglia a colui che si trova in un bel posto, mentre il tempo è nebbioso: il suo orizzonte è assai limitato; egli vede con chiarezza solamente quello che gli sta vicino, alcuni passi più in là tutto diventa indistinto. Invece l'orizzonte del latinista si stende assai lontano, attraverso i secoli più recenti, il Medioevo e l'antichità.-Il greco o addirittura il sanscrito allargano certamente ancor più l'orizzonte.-Chi non conosce affatto il latino, appartiene al volgo, anche se fosse un grande virtuoso nel campo dell'elettricità e avesse nel crogiuolo il radicale dell'acido di spato di fluoro" . Premetto queste parole di Schopehauer al commento di a un articolo intitolato Ridiamo vita al povero latino e firmato da Corrado Augias (“la Repubblica di oggi 31 agosto 2021, p. 29). Il pezzo non è implausibile né spegevole. Tuttavia non va a fondo nella questione. Augias propone giustamente di non fermarsi ai tecnicismi della lingua. Non pochi dei miei insegnanti del liceo classico e dell’Università dove continuavo a studiare il greco e il latino non andavano oltre una presunta filologia senza dare una visione d’insieme non solo di una civiltà o di una cultura, ma nemmeno di un autore e neanche di un’opera. I testi degli ottimi autori greci e latini abituano a pensare e non possono essere ridotti a raccolte di formule o di ricette:“ ‘Qua leggiamo Omero’ riprese, in tono beffardo, ‘come se l’Odissea fosse un libro di cucina. Due versi all’ora, che vengono sminuzzati e rimasticati parola per parola, fino alla nausea. Ma alla fine di ogni lezione ci dicono: vedete come il poeta ha saputo esprimere questo? Avete potuto intuire il mistero della creazione poetica! Così ci inzuccherano prefissi e aoristi, tanto per farceli ingoiare senza restare strozzati. In questo modo mi rubano tutto Omero’ ” La domanda di fondo è: “a che cosa servono il greco e il latino?” Gli ignoranti rispondono che non servono a niente, i cretini che non sono servi di nessuno. Io che studio il latino dal 1955 e il greco dal 1958 rispondo che queste due lingue, letterature e culture sono belle e sono utili in tutti i campi di questo grande agone che è la nostra vita Se è vero che le culture classiche non si asserviscono alla volgarità delle mode, infatti non passano mai di moda, è pure certo che la loro forza è impiegabile in qualsiasi campo. La conoscenza del classico potenzia la natura peculiare dell'uomo che è animale linguistico. Il greco e il latino servono all'umanità: accrescono le capacità comunicative che sono la base di ogni studio e di ogni lavoro non esclusivamente meccanico. Chi conosce il greco e il latino sa parlare la lingua italiana più e meglio di chi non li conosce . Sa anche pensare più e meglio di chi non li conosce. Parlare male fa male all’anima. Tanto più è necessario ripristinare la potenza della parola oggi, in presenza di questa vera e propria entropia linguistica. Il parlare male, fa male all'anima. Lo fa dire Platone a Socrate nel Fedone :" euj ga;r i[sqi…a[riste Krivtwn, to; mh; kalw'" levgein ouj movnon eij" aujto; tou'to plhmmelev", ajlla; kai; kakovn ti ejmpoiei' tai'" yucai'"" (115 e), sappi bene…ottimo Critone che il non parlare bene non è solo una stonatura in sé, ma mette anche del male nelle anime. Don Milani insegnava che "bisogna sfiorare tutte le materie un po' alla meglio per arricchire la parola. Essere dilettanti in tutto e specialisti nell'arte della parola". Il sicuro possesso della parola è utile in tutti i campi, da quello liturgico a quello erotico : "Non formosus erat, sed erat facundus Ulixes/et tamen aequoreas torsit amore deas ", bello non era, ma era bravo a parlare Ulisse, e pure fece struggere d'amore le dee del mare, scrive Ovidio nell'Ars amatoria. Sono versi non per caso citati da Kierkegaard nel Diario del seduttore. Ebbene, non si può essere veramente bravi a usare la parola, utilizzabile sempre e per molti fini, tutti sperabilmente buoni, se non si conoscono le lingue e le civiltà classiche, ossia quelle dei primi della classe. Noi vorremmo che le conoscessero tutti attraverso una scuola che fosse nello stesso tempo popolare e di alta qualità. Il greco e il latino, come lingue e come culture, sono utili non solo a scuola e il loro impiego non è confinato nei licei e nella Accademie. Si può pensare a una sceneggiatura cinematografica, o alla redazione di un articolo di giornale, o a una recensione, a qualunque attività insomma che richieda un impiego non banale, non volgare della parola: la civiltà classica dota chi la conosce di una miniera di topoi, frasi, metafore, immagini, idèe preziose che valorizzano il tessuto verbale è la visione d’insieme Questo per quanto riguarda il campo dell’efficacia e della bellezza. Ma c’è pure, e anche prima, la categoria dell’etica. Non si può essere del tutto morali se non si conoscono a fondo i princìpi e i valori dell’etica classica. Questa intanto non penalizza la felicità, che anzi deve essere associata alla moralità. Concludo tornando all’articolo di Augias il quale cita i primi versi della prima Bucolica di Virgilio poi li traduce passabilmente. Quindi suggerisce delle domande come queste da porre al testo: “da dove vengono amarezza e rimpianto? Perché Melibeo deve fuggire, mentre Titiro se ne sta sdraiato all’ombra a zufolare?” Non vengono date risposte. Io ne voglio dare una per significare che il latino non solo insegna solo a parlare e a scrivere retoricamente ma anche a pensare e ad esprimersi politicamente. Dunque Melibeo deve fuggire perché non è stato raccomandato, mentre Titiro-Virgilio “se ne sta sdraiato a zufolare nell’ombra” siccome è raccomandato. Virgilio era poeta protetto e gratificato dal potere continuamente celebrato da lui nella persona di Ottaviano poi Augusto. Il rapporto clientelare era già codificato nelle XII tavole, la raccolta di leggi del 450 a. c. e prosegue nell’Italia di oggi. La mafia è parte di esso. Il greco e il latino ci danno anche un sapere politico e la coscienza della logica dei poteri. Non per caso Machiavelli ricorda continuamente personaggi e testi dell’antichità classica per svelare di che lacrime grondi il potere e di che sangue. giovanni ghiselli

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