Mi chiedevo se dovessi andare da lei. Ci pensai qualche minuto poi decisi di risolvere in un modo o in un altro quella situazione da manicomio: in fondo eravamo due amanti che non si erano dichiarata guerra, e tutto sommato, nonostante pochi piccoli screzi, e alcuni urti del braccio ingessato, facendo l’amore ce l’eravamo goduta assai.
Che cosa voleva quella strana creatura mezza nordica, mezza asiatica?
Andai a sedermi accanto a lei. Aveva un gran muso.
Fu lei a domandare: “che cosa vuoi tu da me?”
“Quello che ho sempre voluto e che tu hai avuto la generosità di donarmi fino a ieri sera. Ho forse perduto la tua benevolenza?
“E me lo chiedi? Con che faccia? Sei stato sempre lontano da me, di sicuro per cercartene un’altra”, fece, guardandomi male.
Anche nelle intenzioni ero innocente. Ma donne e uomini, più tradiscono, più sono portati a farlo, più attribuiscono agli altri tale inclinazione.
Questa volta del resto l’equivoco non mi dispiacque, perché significava che Kaisa teneva molto a stare, almeno per tutto quel mese, con me.
Rassicurato sugli intenti suoi, riuscii a farle capire e sentire che si era sbagliata: io avevo aspettato con impazienza prima, poi con dolore e struggimento che lei venisse da me.
Quando si fu convinta disse: “mi sono sentita così desolata senza di te, così desolata!”(1).
“Anche io” le risposi.
Allora mi guardò a lungo con gli occhi azzurri un poco arrossati, bagnati di lacrime e illuminati da un sorriso incipiente: sembravano pezzi di cielo primaverile che, dopo il temporale, al tramonto, ha aperto uno squarcio da dove si affaccia il sole poco prima di sparire dietro le colline fiorite di Pesaro, o tra le rocce del Latemar, riflesse, al pari dell’aria che si rasserena rosseggiando, dall’acqua azzurra striata di porpora del lago di Carezza. Quindi, mentre lo strappo si allarga, le nuvole nemiche si diradano e lasciano il campo allontanandosi verso Fano o verso il Sasso Lungo, gli uomini buoni, abituati a osservare il sole Iperione che tutto vede e tutto ascolta dall’alto [2], gli uomini e tutte le donne inclini ad amare la vita, sentono il sacro presagio di un’estate felice.
Dopo avermi guardato a lungo, Kaisa sorrise e disse: “Rakastaa” [3].
La baciai e mi sembrò che le labbra toccassero il cielo luminoso e la terra fiorita dopo un inverno gelido.
Poco dopo l’amante mi domandò perché l’avessi lasciata sola sul trenino e nella radura.
“Perché là c’erano i Finnici - risposi - e pensavo che tu non volessi che ti vedessero amoreggiare con me”
“Che cosa vuoi che me ne importi dei Finnici? Io ti amo, mina rakastan sinua”, e mi baciò, sebbene fossimo seduti davanti, visibili, e qualche altro finlandese, attirato da una persona, o dall’alcool del caro Danilo, poteva essere entrato nella corriera riservata, in teoria, a Italiani e Francesi i quali dopo qualche chilometro si misero a cantare: “Danilò de la table ronde, dites moi si le vin le bon, dites moi oui oui oui, dites moi no no no, dites moi si le vin le bon”.
L’amico rispose solo, canticchiando con un filo di voce: “xe bon sì! Viva il buon vino! Sostegno e gloria d’umanità”.
Io, tra i baci, gridai: “e le femmine dove le metti?”[4]. Ma l’amico oramai, oppresso dal piacere delle bevute [5], si era addormentato.
Pesaro 25 agosto 2021 ore 18, 39
giovanni ghiselli
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1. Forse Kaisa ricordava le parole di Tess al marito che l’ha abbandonata: “Only come back to me. I am desolate without you, my darling. O, so desolate!” Thomas Hardy, Tess of the D’Ubervilles, Penguin books, p. 417.
2. L'elogio del sole percorre parte della letteratura greca e prosegue oltre in quella europea. Voglio indicarne alcune espressioni. Già Omero, nell' Iliade III, 277, gli attribuisce la facoltà di vedere e ascoltare tutto:" jHevliov" q j, o}~ pant& ejfora'/" kai;
pavnt& ejpakouvei""; una formula che torna un poco variata in Odissea (XI, 109) :" jHelivou, oJ;" pavnt j ejfora'/ kai; pavnt
jejpakouvei".
Nell'inno "omerico" a Demetra, quando Persefone viene rapita, solo Ecate ed Elio, splendido figlio di Iperione (" jHevliov" te a[nax JUperivono" ajglao;"
uiJov"" v.26), udirono la fanciulla che invocava il padre Cronide.
Nel Prometeo incatenato di Eschilo il titano invoca, tra gli altri, "to;n panovpthn kuvklon hJlivou"(v. 91), il disco del sole che tutto vede.
Nella Parodo delleTrachinie di Sofocle il Coro prega Elio, perché annunzi dove si trovi Eracle, invocandolo come "kratisteuvwn kat j o[mma" (v. 102), tu che superi tutti con il tuo sguardo, come interpreta lo scoliaste:" w\ nikw'n pavnta" tou;" qeou;"
kata; to; ojptikovn", tu che vinci tutti gli dèi nel potere visivo.
Se ne ricorderà Ennio nella Medea: "Iuppiter tuque adeo summe Sol qui omnis res inspicis” (fr. 148 Traglia, v. 1), Giove e tu in particolare, sommo sole che vedi tutto.
Nelle Metamorfosi di Ovidio il sole si presenta a Leucotoe, per farla sua, con queste parole: "ille ego sum - dixit - qui longum metior annum,/omnia qui video, per quam videt omnia tellus,/mundi oculus: mihi, crede, places!" (IV, 226-228), io sono quello, disse, che misuro il lungo anno, che vedo tutto, per cui vede tutta la terra, sono l'occhio dell'universo: abbi fiducia, mi piaci!”
L'espressione si ritrova pure in Shakespeare: "the all-seeing sun ne’ er saw her match, since first the world begun", il sole che tutto vede non ha mai visto una sua pari da quando il mondo è cominciato, giura Romeo (Romeo e Giulietta, I, 2)
3 Amore.
4 Cfr. Don Giovanni, Mozart-Da Ponte:
“Vivan le femmine,
Viva il buon vino!
Sostegno e gloria
d’umanità!” (II, 18)
5 Cfr. Ovidio: “Vina parant animum Veneri, nisi plurima sumas-et stupeant multo corda sepulta mero” (Remedia, 807-8).
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