In quella non sacra oscurità ronzavano ubique zanzare assetate, sifoni abietti, che miravano a riempirsi di sangue. Scorpioni raccapriccianti riempivano il mio scalzo cammino drizzando minacciosi le chele letali.
Il lucus della gioia radiosa e della speranza si era mutato in un bosco sconsacrato, divenuto il luogo nebbioso dello sconforto e della disperazione. L’orrida selva fremeva presagi esiziali. Dai suoi stagni di acqua marcita, coperta di schiuma schifosa, provenivano aliti fetidi e soffocanti.
Lugubri gufi facevano lunghi, paurosi lamenti da quegli alberi strani.
Upupe immonde con luttuoso singulto annunciavano la fine dell’amore che avrebbe potuto rafforzare la mia vita per sempre. Civette obese e ripugnanti lanciavano annunci di un’apocalisse vicina.
Altri suoni malaugurosi venivano da orribili sistri rugginosi, agitati da mani sinistre. L’inferno doveva essere rimasto vuoto poiché tutti i suoi demoni avevano riempito il grande bosco di Debrecen.
Provai ad alzare il viso al cielo scomparso, ma brutte forme di sogno volteggiavano opache davanti ai miei occhi atterriti.
Il mondo, colpito da infezione diffusa, si presentava sconciato e degradato in uno squallore abominevole, trasformato in un guazzabuglio che negava l’amore e la vita.
Il cosmo mi chiudeva le porte. Si aprivano quelle infernali del caos cieco che stava compiendo il suo capolavoro sottraendomi Elena.
Dalla ianua inferni che si apriva con un cigolio spaventoso appariva l’antimondo della morte da dove negano che alcuno ritorni.
Vedevo l’interno della mia tomba con il mio cadavere già decomposto.
Gli occhi erano buchi neri, le ossa rami secchi e fratturati: la mia persona, ben tenuta con cura durante gli ultimi anni di mia vita mortale, non si era mutata in nulla di prezioso e raro.
Apparve draco ille magnus , serpens anticuus, qui vocatur Diabolus et Satanas - oj kalouvmeno" Diavbolo" kai; oJ Satanav"[1]. Il calunniatore si mise a fischiare, poi , fuori di sé cercava di fendermi il collo sotto l’orecchio gridando “bestiaccia, bestiaccia!”. Infine sogghignò e disse: “buon giorno!”
Corsì ai gabinetti per guardarmi allo specchio e vidi l’immagine più orrenda di tutte: me stesso scuoiato con un coltello nella mano sinistra e la pelle, la vagina delle membra mie, nella destra, come il San Bartolomeo del Giudizio Universale dove Michelangelo ha raffigurato se stesso per significare la repulsa della propria identità terrena. Ma lo spellato deforme che vedevo nello specchio ero io.
Stavo per svenire, ma cercai di reagire. Non dovevo darla vinta a Satana.
giovanni ghiselli
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[1] Cfr. Giovanni, Apocalisse, 12, 9.
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