Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica
Ciclo di incontri alla biblioteca «Ginzburg». Protagonisti della storia antica
LE NUOVE DATE! Protagonisti della Storia Antica | Biblioteche Bologna - Tutte le date link per partecipare da casa: meet.google.com/yj...
venerdì 27 agosto 2021
Aristofane le Nuvole XXI .
La scena torna in diretta, il ragazzo interviene e pretende pure di avere ragione dal momento che il padre non elogia il sapientissimo Euripide- oujk Eujripivdhn ejpainei'" sofwvtaton (1376)
Su Euripide sapientissimo Strepsiade avrebbe da ridire ma non ribatte per paura di prendere altre botte.
E il figlio replica: “ejn divkh/ 1379- giustamente.
Nella Repubblica di Platone Trasimaco sostiene che il giusto non è altro che l’utile del più forte: “fhmi; ga;r ejgw; ei\nai to; divkaion oujk a[llo h] to; tou` kreivttono~ sumfevron ”, 338c.
Il padre gli obietta che è un ingrato:
"io ti ho allevato
e capivo tutto quello che volevi quando ancora balbettavi.
Ogni volta che dicevi bru, io capivo e ti davo da bere;
se chiedevi da mangiare- mamma'n- io correvo e ti portavo il pane
e ancora prima che dicessi cacca-kakka'n- ti portavo fuori dalla porta
e ti reggevo; tu invece poco fa mentre mi strangolavi
ed io gridavo e strillavo che
me la facevo sotto, hai osato
non portarmi fuori dalla porta,
mascalzone, ma l'ho fatta lì
la cacca aujtou' jpoivhsa kakka'n- è un infinito latino cacare, mezzo strozzato"(1380-1390).
Il peccato capitale dunque, quello per il quale non c'è remissione ma si è dannati per sempre nel fango e nello sterco secondo lo stesso Aristofane nelle Rane (149) o tormentati dalle Furie secondo Virgilio (Eneide, VI, 608 pulsatus pater ), picchiare il padre insomma, è un gesto di moda tra i giovani che hanno avuto cattivi maestri come Euripide e Socrate.
A questo punto interviene il coro e chiede al ragazzo di giustificare la sua iniquità cercando qualche argomento persuasivo che abbia almeno l'apparenza del giusto (1397). Fidippide esulta poiché ha imparato la capacità di "disprezzare le leggi stabilite"(1400).
Strano che ad insegnarla sia stato proprio il maestro di Platone il quale nel Critone rappresenta Socrate mentre preferisce morire obbedendo alle leggi, pure se usate male dai giudici, che salvarsi con la fuga, rifiutando la giurisdizione sotto la quale è nato, è cresciuto ed ha accettato durante l'intero corso della sua vita. Eppure questo suo presunto discepolo è tutto contento poiché Socrate gli ha insegnato ogni trasgressione, cominciando da quella ritenuta tra le più gravi:
"sono certo di dimostrare che è giusto punire il padre"(1405).
In realtà Socrate analizzava e criticava i luoghi comuni contrari alla ragione e alla morale, come il vizio diffuso di trascurare l'anima per cercare solo il benessere materiale.
Socrate nell’Apologia scritta da Platone dice che è stato messo da un dio accanto alla polis come presso un cavallo grande e di razza ma piuttosto pigro a causa della sua mole e bisognoso di essere stimolato da un tafàno-deomenw/ ejgeivresqai uJpo; muwpov" tino"- Così, mi pare, il dio ha messo ai fianchi della città un uomo del mio stampo e io non smetto mai di stimolarvi e persuadervi e rampognarvi uno per uno, standovi accanto tutto il giorno e dovunque (30e-31a).
Un altro dramma dove possiamo trovare un figlio che castiga il padre, ma con il consenso dell'autore, è la commedia successiva dello stesso Aristofane: le Vespe (del 422) nella quale il vecchio Filocleone, ossia amico del demagogo più noto di Atene, è un giudice che desidera solo recarsi nel tribunale popolare per fare un poco di male e prendere i tre oboli di paga ; mentre il giovane figlio Schifacleone lo chiude in casa a giudicare il cane che ha rubato un pezzo di cacio.
Fidippide dunque è contento di essere passato dall’equitazione al pensatoio di Socrate dove il Maestro in persona lo ha educato. Ora, dice, frequento sentenze sottili e parole e pensieri, e credo di
poter dimostrare che è giusto punire il padre.
Strepsiade replica: allora ritorna a cavallo-i{ppeue toivnun- 1406- per me era meglio mantenere un tiro a quattro che essere massacrato dalle botte
Fidippide quindi dà inizio alla dimostrazione e domanda al padre:
"quando ero bambino mi picchiavi?"(pai'da m j o[nt j e[tupte"; Nuvole, v.1409).
Strepsiade risponde:
"Io sì perché ti volevo bene e avevo cura di te"(1409).
Il giovane allora replica che lui pure vuole bene al babbo nello stesso modo, e logicamente lo picchia poiché
"evidentemente volere bene significa picchiare"(ejpeidhvper ge tou't e[st j eujnoei'n, to; tuvptein (1412)
1412), quindi estende il ragionamento avvalendosi anche della letteratura, naturalmente quella dell'altro cattivo maestro, Euripide, con l'uso di un verso parodiato dell'Alcesti :
"piangono i figli; non pensi che debba piangere il padre?" che è il travestimento derisorio di: "Tu godi nel vedere la luce: credi che il padre non ne goda?" che Ferete dice al figlio Admeto (v. 691), un egoista il quale pretende il sacrificio della vita dei genitori per conservare la propria.
Se il padre replicasse che c’è l’uso di sgridare i bambini, Fidippide replicherebbe- di;" pai'de" gevronte"- 1417, i vecchi sono due volte bambini.
I vecchi è giusto che piangano più dei giovani poiché è meno giusto che sbaglino
Strepsiade replica che da nessuna parte è in uso che il padre subisca bastonate- ajll j oujdamou' nomivzetai to;n patevra tou'to pavscein- 1420-
Seguono altre argomentazioni sofistiche per coonestare la bastonatura del padre. Il ragazzo utilizza altri argomenti sofistici.
Fidippide dice che le antiche usanze sono state stabilite da uomini e anche lui è un uomo, perciò può stabilire un uso nuovo per i figli: picchiare a loro volta i padri: kaino;n qei'nai novmon toi'" uijevsin, tou;" patevra" ajntituvptein 1424.
Quindi è pure generoso: vi condoniamo tutte le botte prese prima di questo nuovo uso. Poi Fidippide passa a un altro argomento: l'agire istintivo degli animali:
"osserva i galli ed altri animali del genere
come puniscono i padri: ebbene in che cosa sono diversi
da noi quelli, a parte il fatto che non scrivono decreti?"(1426-1428).
Allora il padre risponde con l'argomentazione che si trova nella favola dello sparviero e dell'usignolo di Esiodo (Opere , 202 e sgg.): per le bestie è naturale la violenza e la legge del più forte; ma noi uomini siamo diversi dagli animali:
"allora, siccome imiti in tutto i galli, perché
non mangi anche sterco- oujk ejsqivei" kai; to;n kovpron- e non dormi su un asse?"(Nuvole, 1430-1431).
Fidippide elude la risposta invocando l'autorità di Socrate.
Strepsiade alla fine riconosce: è sensato che noi si pianga se commettiamo ingiustizie
Ma questo al figlio non basta:
"io ho intenzione di picchiare la madre come ho fatto con te"( th;n metevr j w{sper kai; se; tupthvsw- 1443). Il vecchio inorridisce: “tou'q j e{teron au\ mei'zon kakovn- 1444-, questo è un male ancora più grande.
Ma l'allievo di Socrate preannuncia buoni argomenti tratti dal discorso debole per dimostrare la necessità di picchiare la madre.
Strepsiade minaccia di gettare nel baratro il figlio, Socrate e il discorso da meno. Biasima anche le Nuvole delle quale si era malaccortamente fidato.
Nelle Supplici di Eschilo il codice tripartito prescrive il rispetto di genitori, ospiti e la venerazione degli dèi.
Nelle Eumenidi le Erinni che incalzano il matricida, lo minacciano di trascinarlo tra i grandi peccatori: quanti si sono resi colpevoli verso un dio, o un ospite o hanno mancato di rispetto ai genitori (vv. 269-271).
Nell’Eneide, tra i peccatori che si trovano nel Tartaro si trovano questi
Hic quibus invisi fratres, dum vita manebat
pulsatusve parens, et fraus innexa clienti
aut qui divitiis soli incubuere repertis
nec partem postere suis (quae maxima turba est)
Quique ob adulterium caesi quique arma secuti
Impia nec veriti dominorum fallere dextras
Inclusi poenam expectant (VI, 608- 613)
qui coloro dai quali furono odiati i fratelli, per tutta la vita,
o fu maltrattato un genitore e frode fu ordita al cliente,
o quelli che da soli si stesero sulle ricchezze trovate
e non ne fecero parte ai loro (e questa è la folla più grande)
e quelli ammazzati per adulterio e quelli che armi seguirono
empie e non esitarono a ingannare dei padroni le destre,
qui chiusi aspettano la pena.
Pesaro 27 agosto 2021 ore 17, 25
giovanni ghiselli
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento