mercoledì 25 agosto 2021

Aristofane, le Nuvole, XV parte.

Poi il Coro dà la parola al Discorso Ingiusto. Il quale chiarisce che è stato chiamato il "discorso da meno"(-h[ttwn lovgo"-1038) tra i benpensanti- ejn toi'si frontistai'sin- 1039 perché ha osato essere politicamente scorretto parlando contro le leggi o la giustizia. Vale più di innumerevoli monete il fatto che uno scegliendo gli argomenti più deboli poi vinca. E’ il risultato della potenza persuasiva della parola. Breve excursus. Il discorso "encomiastico" dei nemici Corinzi nella Storia della guerra del Peloponneso di Tucidide. I Corinzi (Tucidide I, 68-71) vedono gli Ateniesi con l'acume dell'odio eppure danno un ritratto del popolo attico non troppo diverso da quello, nobilmente encomiastico, che fornirà Pericle nell'orazione sui caduti durante il primo anno di guerra (II, 35-46). Questo elogio messo in bocca al nemico è, come nota Jaeger, un "capolavoro letterario anche secondo la retorica del tempo" . Tucidide ha fatto lodare gli Ateniesi da Pericle in patria, e a Sparta dai nemici Corinzi. Questo procedimento fa parte dell'obiettività e dell'abilità dell'autore; "infatti", afferma Socrate nel Menesseno di Platone (235d):"se si dovesse parlare bene di Ateniesi tra i Peloponnesiaci o di Peloponnesiaci tra gli Ateniesi ci vorrebbe un buon oratore per persuadere e fare bella figura; quando invece uno scende in campo tra coloro che pure elogia, non ci vuole molto a dare l'impressione di parlare bene". Vediamo dunque cosa dicono questi Corinzi. Essi analizzano la psicologia degli Ateniesi contrapponendole quella degli Spartani cui rinfacciano lentezza, indolenza e chiusura mentale: voi, o Lacedemoni, soli tra i Greci, rimanete inattivi ("hJsucavzete") e vi difendete non con la forza ma con il temporeggiare ("th'/ mellhvsei", I, 69, 4 ), e soli vi disponete ad abbattere la crescente potenza dei nemici, non appena inizia, ma quando è raddoppiata. Viceversa gli Ateniesi sono acuti, attivi, veloci : essi sono innovatori, rapidi nel concepire disegni e nel portare a compimento ciò che hanno deciso ("newteropoioi; kai; ejpinoh'sai ojxei'" kai; ejpitelevsai e[rgw/ o} a]n gnw'sin", I, 70, 2); poi sono audaci oltre le loro forze, amanti del pericolo al di là della ragione, e nelle avversità non perdono la speranza ("para; duvnamin tolmhtai; kai;; para; gnwvmhn kinduneutai; kai; ejn toi'" deinoi'" eujevlpide"", I, 70, 3); inoltre sono risoluti di fronte a voi che indugiate, e sono capaci di stare lontano dal loro paese mentre voi siete attaccatissimi al vostro territorio ("a[oknoi pro;" uJma'" mellhta;" kai; ajpodhmhtai; pro;" ejndhmotavtou"", I, 70, 4); pensano infatti di acquistare sempre qualche cosa con l'allontanarsi, mentre voi con l'andare via temete di rovinare quello che avete. Gli Ateniesi sono i soli per i quali speranza di possesso e possesso sono la medesima cosa grazie alla rapidità con cui si mettono a fare ciò che hanno deciso. E questo conseguono con fatica adoperandosi fra travagli e pericoli per tutta la vita, e godono pochissimo di quanto possiedono per il fatto di volere acquistare sempre, e di considerare una festa nient'altro che fare il proprio dovere e una disgrazia non meno una tranquillità inattiva che un impegno penoso . Insomma, sintetizzano i Corinzi, se uno, riassumendo, dicesse che sono nati per non avere pace loro e non lasciare in pace gli altri uomini, direbbe la verità:"w{ste ei[ ti" aujtou;" xunelw;n faivh pefukevnai ejpi; tw'/ mhvte aujtou;" e[cein hJsucivan mhvte tou;" a[llou" ajnqrwvpou" eja'n, ojrqw'" aj;n ei[poi", I, 70, 9). Questo dinamismo psicologico degli Ateniesi dunque ne spiega i successi:"In contrasto con lo sfondo della lentezza e indolenza, dell'onestà di antico stampo e della ristretta perseveranza di Sparta, risalta la descrizione della vivacità ateniese, in cui si mescolano l'invidia, l'odio e l'ammirazione dei Corinzi: perpetua intraprendenza, grande slancio nel concepir disegni come nell' osare, una flessibilità che fronteggia ogni situazione e non viene meno neanche nell'insuccesso, anzi ne è spronata a più alte imprese", commenta Jaeger . Sarebbe come se facessi un elogio di Salvini e della Meloni che non mi piacciono per spingere Speranza che mi piace a opporsi con maggior decisione alla parte destroversa ossia retroversa di questo governo. Fine excursus . Quindi l’Ingiusto si appiglia a un particolare di quanto ha ascoltato (cfr. v. 991) per porre una domanda: "con quale ragione tu biasimi i bagni caldi?"( tivna gnwvmhn e[cwn yevgei" ta; qerma; loutrav; 1045). Per il fatto che "sono quanto di peggio e rammoliscono l'uomo" risponde il Giusto ( 1046). Budicca, regina degli Iceni dirà lo stesso a poposito dell’acqua calda usata dai Romani. I Romani sono uomini sì e no: si lavano con acqua calda, si profumano, giacciono con i ragazzini e sono schiavi di un suonatore di cetra, per giunta malvagio (Cassio Dione, 62, 6) Allora l'Ingiusto pone una domanda capziosa: "dimmi, tra i figli di Zeus, quale ritieni l'eroe più grande per coraggio e che ha compiuto le fatiche più egregie? (1048-1049). La risposta è obbligata: non può essere che Eracle. Ebbene i bagni di Eracle non sono mai stati freddi (1050). L'Ingiusto dunque segna un punto a suo vantaggio con l'uso sofistico e spregiudicato della mitologia. Altra confutazione al Giusto che biasima il passare del tempo nella piazza- ejn ajgora`/ th;n diatribh;n yevgei" (1055). Ma se fosse stata una cosa da mascalzoni Omero non avrebbe chiamato ajgorhrhthvn Nestore e tutti gli altri saggi ; allora cosa c'è di male se un giovane frequenta la piazza? C’è però un equivoco: il Giusto biasima l'andare a chiacchierare in piazza, mentre Omero approva Nestore quale bravo parlatore nell'assemblea: l'Ingiusto dunque gioca sul doppio senso per fare un altro punto. Insiste però l’Ingiusto dicendo che non esercitare la lingua glw`ttan ouj ajskei`n e praticare la temperanza to; swfronei`n (1061) sono due mali gravissimi-duvw kakw; megivstw (1060) Il Giusto ricorda che Peleo grazie alla sua castità ebbe in moglie Tetide. Kai; th;n Qevtin g j e[ghme dia; to; swfronei`n oJ Phleuv" (1067) Ma anche l'elogio della castità viene confutato con la mitologia: il casto Peleo venne piantato da Tetide: "infatti non era sfrenato-ouj ga;r h\n ujbristhv"- 1068 né era piacevole passarci tutta la notte sotto le coperte- oujd j hjdu;" ejn toi'" strwvmasin th;n nuvkta pannucivzein- 1069 . La donna invece gode di essere sbattuta- gunh; de; sunamwroumevnh caivrei-; e tu sei un vecchio ronzino- suv d j ei\ krovnippo" "(1068-1070). Un'eco seria e moderna di questa buffoneria antica si trova in Otto Weininger: la donna "non pretende dall'uomo bellezza ma pieno desiderio sessuale. Su di essa non fa mai impressione l'elemento apollineo nell'uomo (e perciò neppure quello dionisiaco), ma quello faunesco nella sua massima estensione; mai l'uomo, ma sempre il maschio" . L'Ingiusto quindi si volge a Fidippide e lo invita a non pregiare la temperanza- to; swfronei'n- 1071 che priva di tutti i piaceri ( fanciulli, donne, giochi, leccornie, bevute, risate) senza i quali non vale la pena vivere ( kaivtoi tiv soi zh'n a[xion, touvtwn eja;n stereqh'" ; 1074). Possiamo ricordarci di Mimnermo che presenta un campo del piacere della vita più ristretto quando domanda, retoricamente: “quale vita, quale piacere senza l'aurea Afrodite?” (fr. 1D). Il Socrate di Platone, che qui fa da padrino al discorso dell'ingiustizia e della dissolutezza, nel Gorgia viceversa raccomanda la giustizia e la temperanza:"chi vuole essere felice-eujdaivmona ei\nai- evidentemente deve seguire ed esercitare la temperanza-swfrosuvnhn me;n diwktevon kai; ajskhtevon- e ciascuno di noi scappare a gambe levate davanti alla sfrenatezza (ajkolasivan de; feuktevon wJ" e[cei podw'n e{kasto" hJmw'n (507d) Insomma chi vuole acquisire la felicità non deve lasciare che le sue passioni siano sfrenate - oujk ejpiqumiva" ejw'nta ajkolavstou" ei\nai- né mettere mano a soddisfarle -plhrou'n-, male immedicabile, vivendo una vita da predone"(507 e). Pesaro 25 agosto 2021 ore 9, 50 giovanni ghiselli p. s. Statistiche del blog Sempre1161263 Oggi52 Ieri195 Questo mese4250 Il mese scorso6174

5 commenti:

Ifigenia CLVIII. Preghiera al dio Sole. Saluti alla signora e alla signorinella magiare.

  Pregai il sole già molto vicino al margine occidentale della grande pianura. “Aiutami Sole, a trovare dentro questo lungo travagli...