Agone II 756-941
Il coro mette in guardia Salsicciaio contro Paflagone che è poikivlo" ajnhvr (758), variopinto, quindi camaleontico, capace di adeguarsi alle situazioni
Nella parodo dell’Ecuba di Euripide il coro delle prigioniere troiane presenta Odisseo come «lo scaltro (oJ poikilovfrwn[1])/ furfante dal dolce eloquio, adulatore del popolo» (vv. 131-132) che convince l'esercito a mettere a morte Polissena. In questa tragedia Ulisse è un freddo politico per cui vale solo la ragion di stato che calpesta tante vite innocenti.
Nel primo episodio la vecchia regina esautorata, la madre dolente, scaglia un’invettiva contro la genìa dannata dei demagoghi:
«Razza di ingrati è la vostra, di quanti cercate il favore popolare: non voglio che vi facciate conoscere da me: non vi curate di danneggiare gli amici, pur di dire qualche cosa per piacere alla folla. Ma quale trovata pensano di avere fatto con il votare la morte di questa ragazza? Forse il dovere li spinse a immolare un essere umano presso una tomba, dove sarebbe più giusto ammazzare un bue?» (Ecuba, vv. 254-261).
Poco più avanti Ecuba supplica Odisseo di non ammazzare la figlia con un verso che è un'alta espressione di umanesimo in favore della vita:"mhde; ktavnhte: tw'n teqnhkovtwn a{li" " (v. 278), non ammazzatela: ce ne sono stati abbastanza di morti.
Paflagone, continua salsicciaio, siccome poikivlo" ajnhvr è eujmhvcano" porvou" porivzein, capace di trovare vie di uscita kajk tw`n ajmhvcanwn, anche da dove non c’è verso di evadere.
Viene in mente l’Odisseo di Omero
Nel primo canto dell’Odissea Mente-Atena preconizza a Telemaco il ritorno del padre suo: afferma di saperlo senza essere un profeta ("mavnti"") né un esperto di uccelli (" ou[t& oijwnw'n savfa eijdwv"", v. 203) ma congetturandolo con l'intelligenza, ispirata del resto dai numi: Odisseo saprà tornare " ejpei; polumhvcanov" ejstin" (v. 205), poiché ha molte risorse.
Dunque Salsicciaio deve stare in guardia fulavttou (761)
“Ulisse è l'eroe polùmetis (scaltro) come è polùtropos (versatile) e poluméchanos nel senso che non manca mai di espediento, di pòroi , per trarsi d'impaccio in ogni genere di difficoltà, aporìa ...La varietà, il cambiamento della metis, sottolineano la sua parentela con il mondo multiplo, diviso, ondeggiante dove essa è immersa per esercitare la sua azione. E' questa complicità con il reale che assicura la sua efficacia"[2].
Nell’Odissea il protagonista eponimo è ricco di espedienti ma non è un farabutto: usa le tante risorse che ha per salvare la propria vita e quelle dei compagni.
Invece è un mascalzone nell’Ecuba di Euripide, come abbiamo visto, nelle Troiane, nell’ Ifigenia in Aulide del medesimo autore e nel Filottete di Sofocle. Durante le lezioni del corso che terrà alla Primo Levi in ottobre e novembre, vi parlerò anche di queste care tragedie.
Pessimo uomo è Ulixes nella letteratura latina
Nell' Eneide Ulisse è malfamato:"sic notus Ulixes?" (II, 44) non conoscete Ulisse? domanda Laocoonte, e più avanti Sinone, per convincere i Troiani, ne denuncia la trama criminale contro Palamede morto "invidia pellacis Ulixi " (II, 90) per l'invidia del perfido Ulisse e lo definisce "scelerum inventor" (II, 164) ideatore di crimini.
Durante il viaggio dei Troiani profughi verso l’Italia, racconta Enea: “Effugimus scopulos Itacae, Laërtia regna,-et terram altricem saevi exsecramur Ulixi ” [47], evitiamo gli scogli di Itaca, regno di Laerte, e malediciamo la terra del crudele Ulisse.
Nel VI canto Deifobo raccontando la sua fine definisce Ulisse , l’Eolide [48], hortator scelerum (v. 529), istigatore di scelleratezze.
Nelle Troiane di Seneca, Andromaca annuncia l'arrivo di Ulisse con queste parole: " Adest Ulixes, et quidem dubio gradu vultuque/: nectit pectore astus callidos" (vv. 521-522), ecco qua Ulisse e certamente con un incedere e un'espressione equivoca: intreccia nel petto astuzie scaltre.
Più avanti la vedova di Ettore lo apostrofa in questo modo:"O machinator fraudis et scelerum artifex,/virtute cuius bellicā nemo occĭdit,/dolis et astu maleficae mentis iacent/etiam Pelasgi, vatem et insontes deos praetendis? Hoc est pectoris facinus tui " (vv. 750-754) o tessitore di frodi e artefice di inganni, per il cui valore in battaglia nessuno è morto, mentre per i tuoi inganni e l'astuzia della mente malefica giacciono morti anche i Pelasgi, ora metti avanti l'indovino e gli dèi incolpevoli? Questo è un delitto dell'animo tuo.
Ulisse vuole la morte del piccolo Astianatte pensando ai lutti che il bambino procurerebbe alle madri greche se divenisse grande e forte come il padre.
Nella I delle Heroides di Ovidio, Penelope scrive a Ulisse, qualificandolo come ferreus (v. 58), e immaginando che peregrino captus amore (76), sia preso dall’amore per una straniera cui “Forsitan et narres quam sit tibi rustica coniunx,/quae tantum lanas non sinat esse rudes” (77-78), forse racconti quanto sia rozza tua moglie, che sa soltanto cardare la lana.
“Al Dante che voleva narrare di Ulisse, si presentavano tre tradizioni mitiche e letterarie di grande autorevolezza. Nella prima, l’eroe greco è un imbroglione, un ingannatore, un inventore di storie false, un oratore illusionista. Tale appare a Virgilio nell’Eneide, a Ovidio nelle Metamorfosi, a Stazio nell’Achilleide, e a tutta una serie di scrittori posteriori come Ditti, Benoît de Sainte Maure, Guido delle Colonne e così via. E non c’è alcun dubbio sul fatto che Dante condanni Ulisse all’inferno per le sue frodi: come chiarisce Virgilio nella sua presentazione della fiamma cornuta, per “l’agguato del caval”, e per gli stratagemmi con cui riuscì, assieme a Diomede, a strappare Achille a Deidamia e a rubare il Palladio…D’altro canto, le ali della fazione avversa, come i remi di Ulisse, sorvolano la proibizione mitico-ontologica (antica e medievale) delle Colonne d’Ercole e, in spirito ultra-umanistico e romantico, usano una seconda tradizione. In essa, Ulisse rappresenta il modello della virtù e della saggezza, il vincitore del vizio, il nobile ricercatore della conoscenza: in una parola, l’ideale dell’uomo ‘classico’…Cicerone, Orazio, Seneca, ma anche Fulgenzio e, nel Medioevo stesso, Bernardo Silvestre e Giovanni del Virgilio, contemporaneo e amico di Dante, parlano di Ulisse in questi termini” [49].
Secondo Aristofane invece Paflagone-Cleone è solo e sempre un farabutto. Non mancano però quelli che lo riabilitano e rivalutano come strenuo difensoli della democrazia.
Pesaro 8 agosto 2021 ore 11, 01
giovanni ghiselli
[1] Aggettivo formato da poikivlo~ (variopinto) e frhvn (mente). L'azione di "colorare" "rendere variegato" qualcosa, coincide dunque, di fatto, con il renderlo enigmatico, di difficile comprensione. Si comprende bene, perciò, che uno degli epiteti di Odisse sia proprio poikilomhvvvth" (Il 11, 482; Od. 3, 163; 13, 293.) "dai pensieri variegati". Si potrebbe dunque concludere che per i Greci ciò che è variegato, poikivlo" , si presenta automaticamente come enigmatico, di difficile interpretazione ". (M. Bettini, L'arcobaleno, l'incesto e l'enigma a proposito dell'Oedipus di Seneca, p. 142.).
Poikivlo" è etimologicamente connesso al latino pingo, pictor, pictura e significa qualche cosa di non semplice (cfr. Platone, Teeteto, 146d. dove poikivlo" è opposto a monoeidhv", "semplice"), di macchiato come la pelle di pantera, (Iliade X, 29-30), e di oscuro: cfr Euripide, Elena 711-712 dove l'aggettivo è riferito dal nunzio all'oscurità del divino difficile da congetturare:" oJ qeov" wJ" e[fu ti poikivlon-kai; dustevkmarton" (cfr. tekmaivrw).
[2]M. Detienne-J. P. Vernant, Le astuzie dell'intelligenza nell'antica Grecia , p. 3 e sgg.
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