mercoledì 5 maggio 2021

Elogio del parlare dicendo quod in buccam venerit. Mario e Socrate.

 Mario  nel Bellum Iugurthinum dice che non può ostentare i ritratti, i trionfi, i consolati degli antenati - imagines neque triumphos aut consulatus maiorum, ma i mezzi e le ricompense del proprio valore personale “praeterea cicatrices advorso corpore” (85), inoltre le cicatrici sul petto.

Haec sunt meae imagines - continua Mario - , haec nobilitas, non hereditate relictae, ut illa illis, sed quae egomet meis plurimis laboribus et periculis quaesivi”, queste sono le mie immagini, questa la nobiltà, non lasciate in eredità, come quelle cose a loro, ma che io ho conquistato personalmente con fatiche e pericoli in grandissimo numero.

Mario arriva a rivendicare la propria rozzezza: “Non sunt composita mea verba, parvi id facio. Ipsa se virtus satis ostendit. Illis artificio opus est, ut turpia facta oratione tegant. Neque litteras Graecas didici: parum placebat eas discere, quippe quae ad virtutem doctoribus nihil profuerant” , non sono ricercate le mie parole e non me ne curo. La virtù si fa vedere abbastanza da se stessa. Sono loro che hanno bisogno di retorica, per coprire i loro misfatti vergognosi con parole adorne. Né ho imparato il greco, non ne ero invogliato dato che non avevano giovato a quegli studiosi per arrivare alla virtù.

 

Socrate nell’Apologia scritta da Platone confuta quanti affermano che lui è deino;" levgein, pericolosamente abile a parlare. L’accusato si difende dicendo che dià pa`san ajlhvqeian, tutta la verità, in maniera semplice e diretta; quindi da lui non ascolteranno discosi abbelliti-kekalliephmevnou" lovgou"- né ornati kekosmemevnou", cosmetizzati- bensì espressioni ejikh`/ legovmena toi`" ejpitucou`sin ojnovmasin- (Apologia di Socrate, 17 a-c) dette senza studio, con i termini che capitano, quelli che vengono in bocca.


giovanni ghiselli

 

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