Il quattro marzo era un giorno ventoso, con un freddo che scorticava.
Era penoso salire con la seggiovia esposta ai soffi agghiaccianti di Borea e non era piacevole nemmeno scendere con gli sci sempre intirizzito dal vento che lanciava sbuffi di gelo sulla mia povera faccia e sui visi cagnazzi degli altri sciatori lividi come le pietre dei monti.
Ero pieno di ribrezzo, tuttavia mi sforzavo di non cedere alle trafitture impietose di quel gelo maligno né all’angoscia dei pensieri cattivi che, alleati del freddo, mi tormentavano. Ma quelli, sempre vivi, continuavano a pungermi, senza concedere tregua. Per contrastarli e scaldarmi mi domandavo: “cosa starà facendo adesso la mia splendidissima amante? Starà camminando, divaricando un poco le cosce sode o sarà seduta nel tinello? Beata la seggiola dove posano cosce e natiche della mia callipigia!”. Mi sforzavo di evocare sentimenti caldi attingendo frasi dal mio repertorio di letterato e corteggiatore incallito. Tuttavia i pensieri maligni non smettevano di brulicare nel mio cervello come germi patogeni su una ferita infetta, una piaga piena di pus.
“Ifigenia non è la donna per me - pensavo anche - Né io sono fatto per lei. Non sono luce per lei. Non ha fatto progressi in due anni e mezzo con me.
Bella di corpo è bella, ma di faccia è poco espressiva come notò la zia Rina, ipercritica con le mie donne, eppure acuta. Quando manca l’intensità dello sguardo, la stupefazione amorosa cade, lasciando entrare nel cervello gli sciami dei pensieri penosi, tafani molesti quanto questo freddo da Caina dove la mal creata plebe dei traditori è fitta nei guazzi gelati[1].
I pungiglioni di quelle bestie sanguinarie e le trafitture del freddo spietato superavano l’opposizione delle parole belle che ricordavo dalle mie letture e scendevano a fondo nella carne viva dell’anima mia traforandola senza pietà.
Il pomeriggio si fece vedere il sole, la Mente dell’Universo, la faccia di Dio, che colorì il cielo, la terra e il mio viso, dandomi grande conforto.
Pensai pensieri migliori: “Ifigenia è viva e composita come questa natura. L’una e l’atra sono fatte di colori caldi, vivaci e di nuvole fosche, di vento aspro e di sorridente bonaccia dove si immillano i sorrisi del sole e della luna. Del resto la pena e la gioia girano nell’anima di ogni creatura vivente come circolano gli astri nel cielo. Non rimane fissa sopra le teste mortali la notte costellata, né la sorte cattiva, né la buona salute. Inest quidam velut orbis e questa circolazione ci porta di tutto prima di portarci via del tutto, chissà dove. La donna compendia in sé la mutevolezza della vita, il pincipio e la fine. Rimaniamo sempre dentro di lei.
La sera le telefonai riferendole solo la parte buona di questi pensieri.
Ifigenia apprezzò dicendo: “tu sei intelligente e sensibile. Io ti amo”
“Io pure” conclusi senza dirle tutto ciò che pensavo –“pur non essendo tu la mia donna ideale”. Finché facevamo l’amore era comunque la mia donna reale. Mentre uscivo per la passeggiata notturna mi dissi: “fino a quando sarà capace di apprezzare la mia intelligenza, farà l’amore con me”.
Bologna 28 maggio 2021 ore 9, 24
giovanni ghiselli
p. s.
Statistiche del blog
Sempre1138624
Oggi131
Ieri891
Questo mese16242
Il mese scorso13471
Nessun commento:
Posta un commento