lunedì 17 maggio 2021

Shakespeare, "Riccardo III". Seconda parte

Cielo d’Alcamo
I corteggiamenti di Riccardo e di Cielo d’Alcamo

Nell’ appendice sfacciata un corteggiamento di chi scrive. Potete saltarlo: non farà parte del corso di giugno-luglio
 
Lady Anne si rivolge a Riccardo il quale le ha ucciso il suocero Enrico VI Lancaster  (1471) e il marito Edoardo principe di Galles: “Foul devil, for God’s sake hence, and trouble -tuvrbh - turba us not , diavolo immondo, vattene e non ci disturbare for thou hast made the happy earth- greco e[ra, terra- thy hell, (I, 2, 50-51) tu che hai fatto della terra felice il tuo inferno.
Cfr. :"Fecimus coelum nocens" ( Seneca, Oedipus, v. 36),  io ho reso colpevole il cielo[1]. Un'eco di questa autodenuncia si trova nell'Amleto quando il re Claudio assassino del fratello dice:"Oh, my offence is rank, it smells to heaven" (III, 3), oh il mio delitto è marcio, e manda fetore fino al cielo.
Poco dopo Amleto[2], parlando con la madre, paragona lo zio a una spiga ammuffita che infetta l'aria salubre (III, 4).
 
Riccardo ha fermato il funerale di Enrico VI per corteggiare lady Anne che segue il feretro in lutto.
Pima la chiama sweet saint, dolce santa poi le rinfaccia l’ignoranza delle regole della carità  che rende bene per il male e benedizioni -lady, you know no rules -latin. regula- of charity- latino caritas, carus-- which renders -Lat. reddere to give back- good for bad , blessings for curses (I, 2, 68-69).
 
Segue uno scambio di battute a contrastive tra i due.
 Riccardo  trova meravigliosa pure la collera di quella donna-angelo   more  wonderful when angels are so angry” (I, 2, 74) e la definisce -divine perfection of woman (I, 2, 75) divina perfezione di donna,  e Anne che  lo maledice chiamandolo –diffus’d infection—L. infectus incompiuto inficio- of man-(78) uomo totalmente infetto.
 
Vengono in mente i contrasti presenti nella poesia provenzale e nella scuola siciliana con Rosa fresca aulentissima di Cielo d’Alcamo (databile ta il 1231 e il 1250)
Riccardo chiede a lady Anne di accordargli con pazienza qualche agio per scusarsi: “let me have-some patient leisure to excuse myself (81-82).
 La donna  risponde che l’unica giustificazione accettabile da parte sua, uomo turpe, è impiccarsi: “thou canst  make-no excuse current but to hang thyself (83-84).
 
Sentiamo la risposta meno dura ma altrettanto decisa della rosa aulentissima di Cielo  al suo corteggiatore:
“Se di meve trabàgliti , follia lo ti fa fare
lo mar potresti arompere (arare), e venti asemenare
l’abère d’esto secolo tutto quanto asembrare (radunare, provenzale asembrar)
Avere me non pòteri a esto monno;
avanti li capelli m’aritonno (mi taglio i capelli e mi faccio monica)
 
Eppure Riccardo riesce a sedurre la donna che ha reso vedova. Lady Anne gli dice “thou are unfit for any place but hell” (I, 2, 111), tu non sei adatto ad altro luogo che all’inferno, e lui le risponde di essere invece adatto for your bed-chamber (114) per la vostra camera da letto
Seguono diverse altre battute di un contrasto che via via si attenua
Vediamone alcune utilizzabili anche nelle nostre vite.
Riccardo dice che è stata Anne a spingerlo a uccidere il marito, con la bellezza di lei : it is my day, my life (134) essa è la mia luce, la mia vita.
Riccardo aggiunge che l’ha privata di un marito per dargliene uno migliore-to a better husband-143.
Quante volte l’abbiamo detto a mogli non del tutto contente!. Mi viene in mente quando Helena mi disse che ero intelligente e io le domandai, provocatoriamente,  se lo era anche il suo compagno, e lei rispose quanto speravo: “lui crede di esserlo”. Compresi che c’era verso.
Ma questo l’ho già raccontato
Anne sputa addosso a Riccardo e lui le domanda perché l’abbia fatto: “Why dost thou spit at me?” (148)
E lei: “would it were mortal poison for thy sake, vorrei che fosse veleno al tuo gusto (149)
E lui: “never came poison from so sweet a place” (150), mai è scaturito del veleno da una fonte tanto dolce.
E lei: “never hung poison on a fouler toad” 151, mai è colato veleno da un rospo più immondo.
Riccardo insiste con i complimenti e lei continua a rilancarglieli rovesciati in ingiuie . Il corteggiatore non si lascia smontare e torna a dire che ha ucciso istigato dalla bellezza di lei.
Poi la mossa estrema di consegnarle la sua spada dicendo alla bella  di ucciderlo e inginocchiandosi davanti a lei. Anne non lo fa, anzi lascia cadere la spada e lo fa rialzare, quindi gli dice di mettere via la spada e infine quando Riccardo le porge un anello non lo rifiuta e per non cedere subito del tutto, gli fa dice: “to take is not to give” (I, 2, 205), prendere non è dare. Ma ormai è solo ritrosetta e per Riccardo è fatta.
Sentiamo il corteggiamento di Cielo che convince la rosa profumatissima
“Cercat’ajo Calabria, Toscana e Lombardia,
Puglia, Costantinopoli, Genoa, Pisa e Soria,
Lamagna e Babilonia e tutta Barberia:
donna non ci trovai tanto cortese
per che sovrana di meve te prese”
 
Anche la rosa viene a patti con l’indefesso corteggiatore
“ Poi tanto trabagliàsti, faccioti meo pregheri
Che tu vada adomànnimi a mia mare e a mon peri
Se dare mi ti degnano , menami a lo mosteri,
e sposami davanti de la jente
e poi farò le tuo comannamente”.
giovanni ghiselli 17 maggio
 
p. s.
Appendice dove ricordo un mio corteggiamento felice,  forse non esente dal ricordo di questa bella letteratura..
Il corteggiamento è cosa  santa.E’ una delle gioie della vita.
 
 
Dal capitolo VII della storia di Kaisa
 
Poi continuai: “Kaisa volentieri (1) morirei, piuttosto che rinunciare a te”.
Intanto stavo seduto con il braccio destro che pendeva, ingessato, verso il pavimento. Con quel gesto di resa volevo mimare il topos gestuale della desolazione ricorrente nelle arti figurative: risale a un sarcofago romano con la morte di Meleagro e viene riusato da Raffaello nella Deposizione dove si vede il braccio destro del Cristo esanime, abbandonato nell’impotenza della morte, e il tenero atto pietoso della Maddalena che tiene nelle proprie mani la sinistra di Gesù (2).
Ero deciso a recitare un’altra volta la commedia  di credere che la bella sposa immacolata non potesse essere disposta a commettere  la trasgressione della fedeltà coniugale. Dovevo  dissimulare il fatto che ero convinto del contrario, senza farle escludere del tutto, però, che  speravo ardentemente di indurla a trasgredire con me.
Sicché dissi queste parole quasi ridicole;
“Ti parlerò in modo ardimentoso ma sempre pieno del rispetto dovuto alla tua persona. Ho riflettuto mentre scendevo poi risalivo le scale. Una catabasi non proprio infernale e un’anabasi per tornare alla luce, ossia a te, amore mio. 
Ho elaborato con il pensiero le percezioni impresse sui sensi.
Tu, come un angelo mandato da Dio, hai risuscitato la mia vita mortificata, e ora quest’anima appena risorta alla luce non può procedere senza di te, ma rischia di tornare ad aggirarsi confusa, svigorita, esangue, in un labirinto buio come il Tartaro, compiendo, per il tempo che mi resta da vivere, nient’altro che una sinistra, inconcludente confusa congerie di gesti insensati. 
 Eppure credo sia meglio soffocare nel petto questo sentimento d’amore, povero amore mio chiuso nell’animo senza speranza, piuttosto che fare torto alla tua immagine, senza dubbio sacra, di madre e sposa buona, premurosa, fedele, cara al marito, al figlio, al padre, a chiunque ti veda e ti conosca. A me più di tutti”.
 Così la adulavo senza decenza. E data la sua attenzione, non smettevo, anzi rincaravo la dose fino al ridicolo.
La provocavo per vedere se a un certo punto si sarebbe messa a ridere o se mi avrebbe chiesto di non canzonarla più. Ma Kaisa mi guardava con gli occhi spalancati, un lieve sorriso enigmatico, e non parlava . Finché lei stava zitta, e le sue orecchie offrivano un facile accesso alla mia voce, alle parole mie, io non dovevo smettere. 
“Sì, preferisco fare del male a me stesso: soffocare la felicità immaginata solo guardando i tuoi occhi azzurri pieni di vita, pieni di voli come questa sera d’estate, inebriandomi con i profumi esalati dai tuoi capelli luminosamente neri, piuttosto che fare torto alla tua purissima immagine di donna maritata cui devo non solo ogni rispetto umano, ma una venerazione speciale, religiosa, quella riservata alle spose sante. Io santo purtroppo non sono: prima di incontrarti sono stato piuttosto un satiro veneratore di Priapo e di Dioniso, ho gridato evoè più spesso di quanto abbia sussurrato amen, insomma ho menato una vita da briccone coribantico, ma, da quando ti ho vista, sono diventato un pentito, un penitente, un convertito dalla carne allo spirito, dal naturale al soprannaturale del quale vedo un riflesso chiaro, meraviglioso nella tua icona veneranda”.
Quasi credevo a quanto dicevo recitando forse neanche male. E quasi piangevo. O per lo meno gli occhi mi si velavano di un liquido equivoco tra il sentimentale, rossa umidità di cuore, e l’umidità fremente della libidine che, dentro di me, nera, pelosa e massiccia, scalpitava davvero con furia impudica(3) e tirava forte verso la pelle bianchissima, liscia di lei.
Certo è che Kaisa lo capiva e la cosa non le dispiaceva, anche perché celebrando la sua fedeltà, le toglievo comunque ogni timore di essere importunata: se avesse risposto che il marito faceva bene a fidarsi di lei, poiché la amava del tutto riamato, la preda agognata e mancata mi avrebbe fatto fuggire con la coda tra le gambe e le orecchie abbassate. Sì come cane pieno di zecche, bastonato e sciancato.
Invece disse: “Tu non mi fai torto, Gianni, non mi fai torto per niente”.
E mi accarezzò la mano destra. “Forse - aggiunse - mi fai complimenti così sperticati perché fino ad ora non hai trovato una donna del tuo stampo, della tua levatura, capace di respirare cultura e bellezza, come sei solito fare tu”.
“Ce l’ho fatta”, pensai, “l’esito non è più incerto: la bilancia inclina verso la realtà dell’amore, verso la sua verità”.
Quindi le dissi:
“Infatti sentivo questa mancanza prima di incontrarti. Un deficit che solo tu potresti colmare. Tu respiri il bello e me lo ispiri”. E aggiunsi: “se solo guardo te, tutto il resto del mondo che vedo diviene più ricco di significato e mi riempio di gioia”.
 
Bologna 17 gigno 2021 ore 17, 33
giovanni ghiselli
p. s.
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[1] In La tragedia spagnola ( 1592) di Thomas Kyd  il nobile portoghese Alexandro, con pessimismo meno assoluto, dice:"Il cielo è la mia speranza: quanto alla terra, essa è troppo infetta per darmi speranza di cosa alcuna della sua matrice" (III, 1). 
[2] 1601

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