domenica 30 maggio 2021

La vacanza sciistica a Moena nel marzo del 1981. 8. La telefonata angosciante

Il giorno seguente il cielo si mantenne sereno, sicché mi affidai alla cosmesi offerta dal Sole, il primo fra tutti gli dèi che mi rese più bello, più sicuro di me.

Quando il dio andò a coricarsi dietro il Sass da ciamp alle cinque e tre quarti lasciando nell’ombra prima Sorte, poi il cimitero con la chiesa, quindi l’intera Moena, gli chiesi la forza di amare Ifigenia.

Le telefonai alla solita ora con i gettoni. Dopo il tramonto avevo anche studiato per un paio di ore. Ero contento. Mi sentivo in ottima forma: snello, abbronzato, senza debiti con cicchessia L’eremitaggio di Moena era quasi finito: la sera seguente lei sarebbe arrivata alla stazione di Trento. Sarei andato a prenderla là con la bianca Volkswagen. Durante il viaggio avrei preparato un’accoglienza degna e avrei immaginato una conversazione adeguata alla levatura delle nostre intelligenze, del nostro amore. La sua presenza luninosa avrebbe messo in fuga le malinconie residue e gli ultimi freddi con il buio del mio scontento. Il sole della mattina seguente avrebbe celebrato feste di luce entrando nella nostra camera esposta a oriente.

Feci il numero. Rispose lei stessa.

“Ciao amore, Sono gianni. Mi sei mancata tanto. A che ora arriverai domani?”

“Anche tu mi manchi” fece lei, senza ripetere “tanto” però. Quell’”anche” poi poteva significare che pure un altro le era mancato, ma questo secondo appunto è certamente un’esagerazione. La reticenza invece voleva dire qualcosa: mancanza di entusiasmo, del fuoco sacro e divino dentro l’anima sua.

Infatti, subito dopo, come se avesse deciso di darmi pena, o fosse costretta da un fato ineludibile a rendere brutto e cattivo, addirittura schifoso il nostro rapporto, un fato magari provvido di scopi più alti, disse: “Tra poco arriva da Erba la mia cugina preferita. Così ci troveremo tutte e tre in casa mia. Parleremo a lungo: abbiamo tanto da dirci”.

Sentii una stretta nel petto, forte e dolorosa. Mi irrigidii e con voce turbata forse già sepolcrale, domandai. “Significa forse che non vieni più qui a Moena? Che cosa vuoi dirmi?”

“No, gianni, non voglio dire questo”, rispose allarmata, avendo compreso che quella novella non era buona per me. Le sue cugine non mi erano gradite, né io a loro, e lei lo sapeva. Cosa del tutto inopportuna era stata l’esordio con quella brutta notizia. Una persona sensibile soffre pene tartarèe davanti a tali errori.

Non potevo tenere a bada la mia sofferenza e le domandai direttamente con il tono adeguato a tanta insensibilità: “Allora che cosa vuoi dire? Perché inizi una telefonata che io avevo aperto con disposizione ottima, parlando delle tue parenti che a me sono ostili, e delle quali a me, bene che vada non importa un fico secco? Sarebbe come se io, avessi esordito dicendoti; “sai, domani andrò a paranzo e mi berrò fino a ubriacarmi con lo scemo del paese. Poi andremo a zonzo e  sai le risate!”

Ifigenia cercò di rimediare l’errore con parole dolciastre che rinfocolarono la mia ira già fervida e ribollente.

“Dai, non fare così: non rovinare ogni cosa! Io ho una grandissima voglia di vederti, di riempirti di baci! Hai capito tesoro?”

“Sì, ho sentito e, nonostante il mio essere ritardato, ho capito che per te  l’evento più grande e importante di domani  è rivedere le tue cugine e che quando verrai qua mi rinfaccerai di averti fatto rinunciare alla delizia di frequentarle e chiacchierare più a lungo con loro per raggiungere me, uomo da strapazzo, in questo paese freddo e lontano, come facesti la notte di capodanno tra i monti di Bratto. Questa volta però pensaci bene: se devi venire quassù a tenermi il muso, resta pure a Bologna! Ti richiamerò tra un’ora per chiederti di farmi sapere  se davvero vuoi  venire da me o preferisci rimanere lì dove sei”

A questo punto Ifigenia si risentì a sua volta e passò al contrattacco: “Ho capito - fece - ci penserò e te lo dirò. Tu  telefona pure, se vuoi, ma non qui a casa mia. Sto per uscire. Vado a trovare un’amica. Se vuoi, ti do il numero.”

“Sì’, grazie,  dammelo. Ti richiamerò più tardi, verso le dieci”

“fai come ti pare” disse e, dettato il numero telefonico, riattaccò.

Uscìi per cercare dbonforto nel cielo stellato. Inveve mi sembrò gremito di faci maligne, accese dal re dell’inferno. Avevo di nuovo l’inferno nel cuore. “L’unica salvezza - pensai - è non avere bisogno di nessuno.”


Bologna 30 maggio 2021 ore 18, 31

giovanni ghiselli


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