NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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mercoledì 5 maggio 2021

Introduzione a Plutarco. Parte VI

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In un'altra prefazione, quella a Demetrio-Antonio,  Plutarco afferma che forse non è male inserire tra gli esempi le vite  di uomini che hanno fatto uso del loro ingegno in modo troppo sconsiderato, e sono divenuti celebri nel potere e nelle grandi imprese per i loro vizi("
eij" kakivan").
Nell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare, Antonio è colpevole di avere sottoposto la ragione al piacere: dopo la vittoria di Ottaviano, Cleopatra domanda a Enobarbo : “Is Antony or we in fault for this?”, la colpa è di Antonio o mia? E il collaboratore di Antonio, in procinto di abbandonarlo risponde: “Antony only, that would make his will-Lord of is reason” (III, 13), solo di Antonio che ha sottoposto la sua ragione al suo piacere.
Antonio era amato dai suoi soldati poiché amava gozzovigliare con loro. Fondamentale per lui era la figura di Ercole. Tendeva a indossare abiti che ricordavano Ercole e anche la barba a tutto viso. Il suo comportamento, cameratesco, generoso, passionale, era visto come Erculeo. 
Antonio ed Ercole godevano di una popolarità che Ottaviano/Augusto e Apollo non avrebbero mai raggiunto. Il loro comune discendente, Nerone, univa in sé i due opposti. Non a caso le due divinità con cui si identificava erano Apollo/Sole ed Ercole.
Nella tragedia Antonio e Cleopatra di Shakespeare si sente una musica in aria, o sotto terra, davanti al palazzo di Cleopatra; un soldato chiede: “It signs well, does it not?E un altro “No”.  Allora “What should this mean?” E il pessimista: “’Tis the god Hercules, whom Antony loved, Now leaves him” (Shakespeare, Antonio e Cleopatra, 4, 3). Sentiamo T. S. Eliot: “the God Hercules/Had left him, that had loved him well” (Burbank with a Baedeker, Bleistein with a cigar (1920). Antonio, al pari di Alessandro, si vantava di discendere da Eracle e di essere parente di Dioniso poiché ne imitava il modo di vita (Plutarco, Vita di Antonio, 60, 4-5).
 
La difesa dell'identità
 La  tragedia di Seneca gronda pessimismo nei confronti della storia e della società. Tale visione comporta il rifugiarsi e il chiudersi nel proprio spazio intimo. 
Tuttavia Antonio si tiene aggrappato alla sua identità.
Eliot trova delle analogie tra i personaggi di Seneca e quelli di Shakespeare  precisamente in questo loro arroccarsi  nella proprio individualità:"Nell'Inghilterra elisabettiana si hanno condizioni in apparenza affatto diverse da quelle di Roma imperiale. Ma era un'epoca di dissoluzione e di caos; e in tale epoca, qualsiasi attitudine emotiva che sembri dare all'uomo alcunché di stabile, anche se è soltanto l'attitudine di "io sono solo me stesso", è avidamente assunta. Ho appena bisogno di segnalare...quanto prontamente, in un'epoca come l'elisabettiana, l'attitudine senechiana dell'orgoglio, l'attitudine montaigniana dello scetticismo, e l'attitudine machiavellica del cinismo giunsero a una specie di fusione nell'individualismo elisabettiano. Questo individualismo, questo vizio d'orgoglio, fu, necessariamente, sfruttato molto a causa delle sue possibilità drammatiche...Antonio dice "Sono ancora Antonio [1]" e la Duchessa "Sono ancora Duchessa di Amalfi "[2]; avrebbe sia l'uno che l'altro detto questo se Medea non avesse detto Medea superest ?"[3].
Questa battuta di Medea ha un’eco anche in Il rosso e il nero di Stendhal: la giovinetta Mathilde de La Mole, innamorata di Julien Sorel è combattuta da dubbi atroci , come la Medea delle Argonautiche, e pensa: “ Quali non saranno le sue pretese, se un giorno avrà il diritto di esercitare intero il suo potere su di me? Ebbene, dirò come Medea: in mezzo a tanti pericoli, mi resto Io!.
Subito dopo c’è anche il “darsi animo” di Medea: “In quegli ultimi momenti di dubbio atroce scesero in campo dei sentimenti di orgoglio femminile. “Tutto deve essere straordinario nel destino di una ragazza come me” esclamò Matilde, snervata dal suo ragionare. L’orgoglio, che le avevano instillato fin dalla nascita, si mise in lotta contro la virtù”[4].
 
E questo, precisa Plutarco, non lo faccio per offrire diversivi al piacere dei lettori ma per procedere didatticamente, come il flautista tebano Ismenia, facendo ascoltare ai discepoli quelli che suonavano bene e quelli che suonavano male il flauto, era solito dire:"ou{tw" aujlei'n dei',- kai; pavlin- ou{tw" aujlei'n ouj dei'", così bisogna suonare, e viceversa, così non bisogna suonare il flauto. Perciò, conclude Plutarco, a me sembra che anche noi saremo maggiormente desiderosi di essere osservatori e imitatori di uomini migliori se non rimarremo nell'ignoranza della storia di quelli viziosi e biasimati: "ou{tw" moi dokou'men hJmei'" proqumovteroi tw'n beltiovnwn e[sesqai kai; qeatai; kai; mimhtai; bivwn, eij mhde; tw'n fauvlwn kai; yegomevnwn ajnistorhvtw" e[coimen".
 




[1] "I am Antony yet ", Antonio e Cleopatra (del 1606-1607) , III, 13.
[2]Da La duchessa di Amalfi (del 1614) , di J. Webster  (1580-1625).
[3]Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot Opere , p. 800.
[4] Stendhal, Il rosso e il nero (del  1830) in Stendhal  Romanzi e racconti, vol. I, , trad. it. Sansoni, Firenze, 1956,   p. 594

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