Moena e la valle di Fassamassiccio del Boè
Sono grato ai monti della valle di Fassa perché sono stati tra gli amici e gli educatori della mia infanzia.
Due zie che non avevano figli mi portavano a Moena tutti i mesi di agosto dal 1948 al 1959. Quelle trasferte dal mare di Pesaro, dove vivevo negli altri 11 mesi, alle Dolomiti nelle quali vedevo forme umane hanno contribuito a formarmi, a diventare non chissà chi, ma quel gianni che sono e non un’altra persona.
Allora non c’erano funivie né l’obbligo di andare in vacanza per farlo sapere. I turisti erano pochi, assai meno dei Moenesi. Quando ci torno, ultimamente entro nel bar dove vanno i vecchi di Moena e come li sento raccontare storie dell’ archeologia moenese mi pregio di essere arrivato lassù quando loro non erano ancora nati. Era l’agosto del 1848: avevo tre anni e otto mesi. Il cielo di Moena, il Catinaccio, il Sass da Ciamp, il Piz Meda, il Piz Mesdì, i monti Pallidi sono rimasti dentro di me pieni di mito e di poesia.
Rispetto a Pesaro dove vivevo e andavo a scuola, tra quei monti osservavo con interesse e conoscevo un altro mondo, diverso da quello marino.
Vedevo e conoscevo bambini dai colori diversi dal mio,
dai capelli biondi o rossi, dalla pelle più chiara. Parlavano in modo
differente: più piano e soave del nostro, alquanto aggressivo e becero. Le
fanciulle montanine per lo più rubiconde erano ritrosette eppure gentili.
Alcuni ragazzi poco meno piccini di me facevano già i pastorelli e la sera
riportavano le capre in paese. Andavo ad accoglierle allungando la mano aperta
con sopra del sale. A volte seguivo a
piedi un carro tirato da buoi che andava a raccogliere il fieno sul passo
Lusia. Volevo sentirmi anche io montanino e pastorello. Le automobili erano
poche: il primo anno le zie mi portarono sul passo Pordoi in corriera. Come
vidi il massiccio del Boè non mi trattenni e gridai: “che macello di rocce!”
Una signora
seduta vicino disse alle zie: "che stellina!”.
Dopo i sei anni facevo lunghe passeggiate anche da solo. I boschi offrivano fragole, mirtilli, lamponi, le malghe dove mi portavano le zie servivano panna. Sono tornato a Moena ogni volta che il tempo atmosferico e gli impegni lavorativi me lo hanno consentito.
Tutte le volte recupero i cieli della mia infanzia e acquisto energia da quei prati, dai fiori, dai boschi dai passi che scalo in bicicletta: il Pordoi dove allora trionfava il mio idolo Fausto Coppi, il San Pellegrino, il Sella, il Falzarego, il Costalunga, il Fedaia. Ogni viaggio e soggiorno a Moena mi inietta benessere.
Dunque non disertiamo la montagna nonostante la sciagura del cavo spezzato e dei tanti poveri morti. Magari facciamo a meno delle funivie, soprattutto d’estate quando una passeggiata sui sentieri costeggiati dai prati fioriti è molto più salutare e sicura.
Bologna 25 maggio 2021 ore 19, 18
giovanni ghiselli
p. s.
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