martedì 18 maggio 2021

Shakespeare, "Riccardo III". Quarta parte

I Luoghi del goticoLa Torre di Londra
Nella torre di Londra dove Riccardo ha mandato due servi prezzolati perché ammazzino suo fratello duca di Clarence, questo prega il secondo sicario che ha qualche scrupolo: “
a begging prince, what beggar pities not?” (I, 4, 258) quale mendicante non ha compassione di un principe mendico?
Questo sicario dubitoso prima dice che la sua coscienza si trova nella borsa del duca di Gloucester, cioè di Riccardo che lo paga (I, 4, 122),  poi dopo l’assassinio si pente e lascia tutto il compenso all’altro sicario il quale pugnala Clarence poi lo finisce annegandolo nella botte di malvasia che era nella torre
E il pentito:
take you the fee - pecus - and tell him (a Riccardo) what I say
For I repent me-me poenitet- that the duke is slain (I, 4, 267-268), prendi tu il compenso e riferiscigli quello che dico, perché mi pento dell’uccisione del duca.
  
 Rodolphe il seduttore  di Emma Bovary  a un certo punto“Giudicò fuori luogo ogni pudore. Trattò l’amante senza il minimo riguardo. La ridusse alla più assoluta docilità, alla èiù convinta corruzione. Emma aveva per lui un attaccamento idiota, ribollente d’ammirazione: ne ricavava una gran voluttà, una beatitudine paralizzante: la sua anima si sprofondava in quell’ebbrezza, vi si annegava, vi si annullava, come il duca di Clarence nella botte di Malvasia”[1].
 
La madre come nodo di dolore
La duchessa di York , madre di Riccardo, di Edoardo IV e di Clarence, quando viene a sapere della morte di Edoardo lamenta che gli è rimasto solo one false glass (II, 2, 53-54) ) uno specchio menzognero that grieves me when I see my shame in him, che mi addolora quando vedo la mia vergogna in lui. Parla di Riccardo del quale conosce i crimini e la perfidia
 
Quindi replica al lamento dei figli di Clarence e della vedova del re dicendo: “Alas, I am the mother of these griefes - gravis - Their woes are parcell’d - particula - late latin particella - mine is general” (Riccardo III, II, 2), ahimé, io sono la madre di questi lutti: i loro dolori sono suddivisi, il mio li comprende tutti. 
 
Simile nodo di dolore è Ecuba che  nelle Troiane di Seneca dice al nuntius il quale è incerto se debba dare le orrende notizie delle uccisioni di Polissena e Astianatte prima alla vecchia regina o alla vedova di Ettore: "quoscumque luctus fleveris, flebis meos:/ sua quemque tantum, me omnium clades premit;/mihi cuncta pereunt: quisquis est Hecubae est miser " (vv. 1061-1062), qualunque lutto piangerai, piangerai il mio: la propria rovina schiaccia ciascuno soltanto, me quella di tutti; tutti gli affetti miei sono morti; chiunque è un caro di Ecuba è infelice! 
 
La complicità di Buckingham con Riccardo. L’amicizia che rende identici.
Ricccardo chiama il complice duca di Buckingham my other self, un altro me stesso (II, 3, 151-152) concistoro dei miei segreti, mio oracolo, mio profeta, mio caro cugino
Cfr. Cicerone, De amicitia: Vero amico  infatti è chi è come un altro se stesso (verus amicus…est enim is, qui est tamquam alter idem (80).
Cfr. Sallustio, Bellum Catilinae, XX, 4: “Nam idem velle atque idem nolle, ea demum firma amicitia est ”, infatti volere e non volere le medesime cose costituisce precisamente la solida amicizia.

Curzio Rufo racconta che Alessandro Magno, dopo la battaglia di Isso (novembre 333) scusò le donne del re sconfitto Dario III le quali avevano scambiato il suo più caro amico Efestione con lui dicendo alla regina madre: “Non errasti… mater; nam et hic Alexander est” (Historiae Alexandri Magni, III, 12),  non hai sbagliato, made; difatti anche questo è Alessandro.
 
Il capo malato ammorba la terra e perfino il cielo
Un cittadino dice che il Duca di Gloucester è pericolosissimo come i figli e i fratelli della regina Elisabetta e se costoro non governassero ma fossero governati "this sickly land might solace-solacium-solor- as before " (II, 3), questa terra malata potrebbe trovare ristoro come prima.
 
Non solo la terra ma pure il cielo viene ammorbato dal capo malato che è il mivasma,  la contaminazione, la  fonte dell’inquinamento
Cfr. quanto dice Tiresia a Edipo: “  Io ti ingiungo di attenerti /al bando che hai proclamato e dal giorno/d'oggi non devi rivolgere la parola né a questi né a me/poiché sei tu l'empio contaminatore di questa terra- wJ" o[nti gh`" th`sd  j  ajnosivw/ miavstori- (Sofocle, Edipo re, vv. 350-353).
 
Come tale si riconosce da subitol’Edipo di Seneca: “fecimus caelum nocens” (Oedipus, 36).
Altrettanto pensa il re di Danimarca Claudio lo zio di Amleto che ha assassinato il fratello: “Oh, my offence is rank, it smells to heaven” (Hamlet, III, 3), oh, il mio crimine è fetido, manda il puzzo fino al cielo.
La terra contaminata e desolata diventa tutta una tomba come la Scozia nel Macbeth :"poor country…it cannot be called our mother, but our grave; where nothing, but who knows nothing, is once seen to smile; where sighs, and groans, and shrieks that rend the air, are made, not marked " ( Macbeth, IV, 3), povera terra!…non può essere chiamata nostra madre ma nostra tomba; dove niente, se non chi niente conosce, si vede sorridere, dove sospiri e gemiti e grida che lacerano l'aria, sono emessi, ma nessuno ci fa caso. E'  il nobile Ross che parla.
La connessione organica tra il re o la regina e la sua terra viene messa in rilievo già da Omero e da Esiodo.
 
La bestialità del re efferato o comunque non rectus 
Riccardo è chiamato the boar da Hastings, il ciambellano che dice: to fly the boar before the boar pursues lat sequor-, prosequor-were to incense the boar to follow us,  fuggire il cinghiale prima che il cinghiale insegua sarebbe aizzare il cinghiale a inseguirci (III, 2, 27-28).
 
Nel Primo Stasimo dell’ Edipo re di Sofocle, il colpevole ricercato, cioè Edipo viene identificato con l'animale del sacrificio
Il Parnaso, sulla cui pendice occidentale sorge Delfi, ha inviato la parola profetica di scovare l'uomo oscuro il quale, imbestiatosi in toro tra rupi antri e selve, cerca di tenere lontani i vaticini che provengono dall'ombelico del mondo e lo seguono dappertutto incalzandolo come assilli implacabili.
Infatti va e viene sotto foresta/selvaggia e su per le grotte, proprio/il toro delle rupi (petrai'oς oJ tau'roς) inutile con inutile piede (mevleoς melevw/ podiv) bandito in solitudine (vv. 477-479).  
Quello di cui la profetica ripe di Delfi disse: Ha compiuto infamie su infamie con mani sporche di strage (Edipo re, vv.463-466); ovvero l'animale del sacrificio, "il toro delle rupi"(v.478) destinato a divenire la "vittima massima" (cfr. Virgilio, Georgiche, II,146-147: et maxima taurus/victima ).
Aristofane nella Parabasi delle Vespe (422) si pregia di non essersela presa con gente dappoco ma con i potenti e da subito  proprio con la bestia dalle  zanne aguzze (xusta;ς tw̃/  karcarovdonti, 1031).
E’ Cleone che ha la voce di un torrente rovinoso e fetore di foca e coglioni immondi di Lamia[2] e culo di cammello (prwkto;n de; kamhvlou, 1035)

Bologna 18 maggio 2021ore 18, 25
giovanni ghiselli

p. s.
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[1] Flaubert, Madame Bovary, parte seconda capitolo XII (p. 156)
[2] Mostro che si ciba di carne umana.

2 commenti:

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