La Fama (cfr. for, fhmiv) è quanto si dice.
Secondo Seneca la diceria comune è spesso fuorviante:"nulla res nos maioribus malis implicat quam quod ad rumorem componimur " (De vita beata , 1, 3), nessuna cosa ci avviluppa in mali maggiori che il fatto di regolarci secondo il "si dice".
Bisogna cercare di vivere ragionando "ad rationem ", ivece che imitando "ad similitudinem " , come fanno i più.
La dovxa e la fama acquisite con le prime vittorie contribuiscono al successo finale quanto le azioni. Il vincitore assume un’ingannevole aria di invincibilità eterna. Oiu invece arrivano le Idi diu Marzo o Warerloo
Nell’ultimo atto dell’Antonio e Cleopatra di Shakespeare, un Egiziano mandato dalla regina va da Ottaviano a chiedergli quali siano i suoi intendimenti .
Il vincitore promette gentilezza e onore per la regina: “for Caesar cannot live-to be ungentle ( V, 1, 59-60), perché Cesare non può vivere ed essere scortese. In realtà sotto questa maschera c’è l’uomo crudele che ha decretato la morte di Antonio, e ora vuole la totale sottomissione di Cleopatra.
Ottaviano ordina a Proculeio di andare in Egitto a blandire Cleopatra con promesse di benevolenza perché la donna non si uccida sottraendosi al trionfo del vincitore: “for her life in Rome-would be eternal in our triumph (V, 1, 65-66) perché la sua presenza viva in Roma rimarrebbe eterna nel mio trionfo.
Plutarco scrive che Ottaviano mandò Proculeio in Egitto ordinandogli di fare il possibile per impossessarsi di Cleopatra viva-keleuvsa" h]n duvnhtai mavlista th`" Kleopavtra" zwvsh" krath`sai: poiché temeva per i suoi tesori e riteneva che quella avrebbe dato una grande spinta alla gloria-pro;" dovxan- del suo trionfo (Vita di Antonio, 78, 4-5).
La gloria di questi comandanti vincitori dipende in gran parte dall’opinione degli altri, dalla reputazione che acquisiscono.
Anche le vittorie successive al successo iniziale sono dovute almeno in parte dalla fama che questo ha suscitato sul conto del vincitore.
Alessandro Magno dichiara apertamente l’importanza della fama, di quanto si dice, e anche Dario III
Dopo la scoperta della seconda congiura: quella “dei paggi” (primavera 327 a. C in Sogdiana, Uzbekistan) Alessandro afferma che ricevere il nome di figlio di Giove aiuta a vincere le guerre: “Famā enim bella constant, et saepe etiam, quod falso creditum est, veri vicem obtinuit” ( Curzio Rufo, Historiae Alexandri Magni VIII, 8, 15), Le guerre sono fatte di quello che si fa sapere (attraverso la propaganda), e spesso anche quanto si è creduto per sbaglio, ha fatto le veci della verità.
Cfr. III, 8, 7 dove Dario, prima della battaglia di Isso (333 a. C.) dice “famā bella stare”.
Come nelle Eumenidi di Eschilo, le parti in conflitto hanno un pensiero comune.
Dopo la conquista della rupe di Aorno (326) Alessandro magnae victoriae speciem fecit (Curzio, VIII, 11, 24), creò l’apparenza di una grande vittoria con sacrifici e cerimonie in onore degli dèi.
Nelle Storie di Livio il console Claudio Nerone, in rapida marcia contro Asdrubale, che verrà sconfitto poco dopo, sul fiume Metauro (tra Fano e Senigallia, 207 a. C.) arringa brevemente i soldati dicendo: “Famam bella conficere, et parva momenta in spem metumque impellere animos” (27, 45), quanto si dice decide le guerre, e circostanze anche piccole spingono gli animi alla speranza e alla paura.
Si può chiarire il valore pratico, oltre che estetico, della parola attraverso l'espressione di Tucidide ta; e[rga tw'n pracqevntwn (I, 22, 2), le azioni tra i fatti. L'altra componente dei fatti sono le parole dette dai capi della guerra: sul modo di riferirle Tucidide dichiara le intenzioni e il metodo nella prima parte del capitolo metodologico (I, 22, 1).
Bologna 13 maggio ore 16, 34
giovanni ghisellip. s
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