L’affitto del ventre materno
La
duchessa di York pone a Riccardo una domanda che per lo meno dal punto di vista biologico è
retorica: “Art thou my son?” (IV, 4,
155), sei tu mio figlio?
Sembra
preludere a una richiesta di rispetto. Vedremo da questo dialogo che la propria
madre è la persona più rispettata da Riccardo. Questo fatto lo fa assomigliare
un poco a Coriolano.
Riccardo
in effetti risponde: “Ay, I thank God, my father, and yourself”
(156), sì grazie a Dio, a mio padre e a voi stessa.
Il
ringraziamento a Dio e ai genitori per la propria vita viene fatto quando la
vita pare arridere.
La
madre chiede al figlio di ascoltare con pazienza la sua impazienza. Non prende
la mano che il figlio le ha teso.
Riccardo
cerca ancora una conciliazione con sua madre facendole notare che è simile a
lei: “Madam, I have a touch of your
condition,-that cannot brook the accent of reproof” (158-159), Signora, ho un tratto del vostro carattere,
che non può sopportare il tono del rimprovero.
Ma
la madre è dura quanto lui, ancora di
più, e vuole, appunto, rimproverarlo
“O let me speak”, oh, lasciami parlare.
Riccardo
capisce che sta per dirgli non bona dicta
e ribatte “parlate allora, ma non vi ascolterò” (160)
La
duchessa promette: “I will be mild and
gentle in my words” (161), sarò mite e gentile nelle mie parole. L’attrice
dovrà fare questa battuta con il tono del sarcasmo, lasciando intendere “per
quanto è possibile con il demonio”. Lo ricavo dalle parole successive della duchessa
di York.
Ma
prima Riccardo dice: And brief, good
mother, for I am in haste (162) e breve, buona madre, perché ho fretta.
Con
questa battuta dà un altro segno di essere simile a sua madre che poco prima
aveva biasimato il fatto che la calamità fosse piena di parole-full of words (126 citato sopra).
La
duchessa risponde polemicamente al figlio facendogli notare l’ingratitudine
della sua fretta mentre lei lo ha aspettato, dio sa con quanto tormento e
angoscia. Penso che si riferisca al parto e ai nove mesi che lo precedono. Le
madri almeno in letteratura lo fanno spesso.
Olimpiade scriveva male di
Antipatro cercando di screditarlo agli occhi di Alessandro il quale diceva che
la madre esigeva un affitto pesante (baru; dh; to; ejnoivkion tw'n devka mhnw'n, Arriano, 7, 12, 6) per i nove mesi nei quali lo
aveva tenuto in grembo.
Le sofferenze del parto
La Medea di Euripide
afferma di preferire la guerra al parto
inaugurando un tovpo" che arriva alle soldatesse di oggi.
“Dicono di noi che viviamo una vita senza pericoli/ in casa, mentre
loro combattono con la lancia,/ pensando male: poiché io tre volte accanto a
uno scudo/ preferirei stare che partorire una volta sola. ( Medea, vv. 248- 251).
Ennio (239-169
a. C.) traduce i versi di Euripide quando fa dire alla
sua Medea exul :"nam ter sub armis malim vitam cernere/quam
semel parĕre”, infatti
preferirei decidere la vita sotto le armi tre volte che partorire una volta
sola.
Le sofferenze del parto sono
ricordate nell' Elettra di Sofocle da Clitennestra quando
l’adultera assassina tenta di giustificarsi per il trattamento riservato al
marito il quale non era incolpevole: egli sacrificò Ifigenia dopo averla
seminata, senza avere passato il travaglio della madre quando la partorì:"oujk
i[son kamw;n ejmoi;-luvph", o{t' e[speir' , w{sper hJ tivktous' ejgwv" ( vv. 531-532). Qui
il seminare conta meno del partorire, diversamente dalle Eumenidi di Eschilo.
Più avanti Clitennestra viene
a sapere che Oreste è morto in una gara di carri. La notizia è falsa ma la
madre la crede vera. Quindi chiede a Zeus che cosa significhi questo-tiv tau'ta; 766 ,
Se sia una fortuna o una cosa tremenda, ma
utile (povteron eujtuch' legw- h] deina; me;n, kevrdh dev;
766-7677). Comunque è penoso se mi salvo la vita a prezzo dei miei lutti
commenta (768).
Il pedagogo le domanda perché
sia così turbata e Clitennestra risponde
“deino;n to; tivktein ejstivn ( Sofocle, Elettra,
770), partorire è tremendo, e di fatto neppure a quella che subisce del male
sopravviene odio per i figli che ha partorito oujde; ga;r
kakw'"-pavsconti mi'so" wn tevkh/ prosgivgnetai (771)
Nelle Fenicie di Euripide la Corifea commenta la pena
di Giocasta per Polinice dicendo:"deino;n gunaixi;n aiJ di'
wjdivnwn gonaiv,-kai; filovteknovn pw" pa'n gunaikei'on gevno"" (vv. 355-356), sono terribili
per le donne i parti attraverso le doglie, e tutta la razza femminile è in
qualche modo amante dei figli.
Giocasta lo è stata anche
troppo; Medea evidentemente fa eccezione.
Nell' Ifigenia in Aulide la Corifea comprende la pena
di Clitennestra per la figliola,
ricordando quale prova terribile sia il parto:"deino;n
to; tivktein kai; fevrei fivltron mevga-pa'sivn te koino;n w{sq'
uJperkavmnein tevknwn" (vv. 917-918), tremendo è partorire e comporta una grande magia
d’amore comune a tutte, tanto da soffrire per i figli.
Partorire dunque è una delle
cose tremende (ta; deinav).
Tanto più perché il parto
può causare una perdita di bellezza: nell’Hercules Oetaeus di
Seneca, Deianira, vedendo la fulgida bellezza della giovanissima Iole,
lamenta l’oscurarsi della propria con queste parole: “Quidquid in nobis fuit olim petitum, cecidit et partu labat” (vv.
388-389), tutto quello che una volta in noi era desiderato, è caduto e con il
parto vacilla.
Torniamo a Shakespeare.
Riccardo domanda, forse con
ironia, ma non ne sono tanto sicuro: “and
came I not at last to comfort you?” (165) e non sono venuto dopo tutto a
consolarvi?
Sentiamo
ora la tirata ella duchessa contro il figlio
Gli
dice “sei venuto sulla terra per farne il mio inferno: to make the earth my hell (167). Quindi ne rievoca la vita tutta
piena di affanni per lei e per chiunque stesse vicino a Riccardo: la sua nascita fu a grievous burden (168) un penoso
fardello per la madre, l’infanzia capricciosa e ribelle, gli anni di scuola
paurosi, sfrenati, selvaggi, furiosi, la
prima giovinezza ardita, temeraria, avventurosa. Fin qui la madre è quasi
elogiativa con il figliolo. Ricorda le prime parti dei sette atti della vita (
Cfr. As
you like it
II, 7),
Più
negativa diventa la maturità: “Thy age
confirmì’ d, proud, subtle, sly, and bloody (172), la tua età matura orgogliosa,
subdola, scaltra e sanguinaria; più quieta, ma più nociva e gentile nell’odio.
Quale
ora di consolazione dunque può esserci stata nella sua compagnia?
Riccardo
risponde da loico: onestamente nessuna, ma se sono così privo di grazia agli
occhi vostri, signora, lasciate che prosegua la mia marcia senza offendervi.
La
madre chiede al figlio di ascoltarla ancora per poco. Poi non si vedranno più
Riccardo
le fa notare che parla too bitterly (180)
troppo amaramente
Sembra
chiedere aiuto alla madre, una sua benedizione
Invece
la duchessa lo maledice: “take with thee
my most grievious curse (188), prendi su di te la mia maledizione più
pesante: che il giorno della battaglia ti stanchi più dell’armatura che porti.
Dice
che le sue preghiere saranno alleate dei nemici di Riccardo, come le piccole anime dei
nipotini occisi
Bloody
thou art, bloody will be thy end
Shame serves thy life and
doth thy death attend (195-196), sanguinario sei tu e insanguinata sarà la tua
fine. La vergogna scorta la tua vita e accompagni la tua morte
La mano sporca
di sangue non si lava.
Versare
il sangue a terra è un peccato irredimibile
Il coro dell'Agamennone nel terzo stasimo
canta:"una volta caduto a terra-to;
ga;r ejpi; ga'n peso;n a[pax) , nero/sangue mortale di quello che prima
era un uomo chi/potrebbe farlo tornare indietro cantando?"(vv. 1019-1021).
Una domanda
retorica che afferma la sacralità della vita umana e trova un correlativo
cristiano in questa del Manzoni che
mette in evidenza la mano:" il sangue d'un uomo solo, sparso per mano del
suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra"(Osservazioni sulla morale cattolica,
VII)
Nella Parodo delle Coefore il Coro canta:" Tutti i canali convogliati in
un'unica via, bagnando la strage che imbratta la mano, correrebbero inutilmente
a purificarla"(vv.72-74). Nella lamentazione funebre che conclude il primo
episodio, Oreste ribadisce :"infatti se uno versa tutti i libami in cambio
di una sola goccia di sangue, vano è il travaglio: così è il detto" ( Coefore,
vv. 520-521).
Nel Macbeth il
protagonista, dopo che ha assassinato il re, fa:" Will all great
Neptune's Ocean wash this blood clean from my hand?, tutto l'oceano del
grande Nettuno potrà lavar via questo sangue dalla mia mano? No, piuttosto
questa mia mano tingerà del colore della carne le innumeri acque del mare
facendo del verde un unico rosso (II, 2).
Il modello di questo
passo si trova nella Fedra di Seneca dove Ippolito,
sentendosi contaminato dalla matrigna, dice:" quis eluet me
Tanais aut quae barbaris/Maeotis undis pontico incumbens mari?/Non ipse toto
magnus Oceano pater tantum expiarit sceleris, o silvae, o ferae! "
(vv.715-718), quale Tanai mi laverà o quale Meotide che con le barbare onde
preme sul mare pontico? Nemmeno il grande padre con tutto l'Oceano potrebbe
purificare un delitto così enorme. O foreste, o fiere!
Lady Macbeth in un primo
momento afferma che poca acqua basterà a pulire le mani lordate dal
misfatto:"A little water clears us of this deed " (Macbeth, II, 2) leggiamo nella tragedia di Shakespeare[1].
Più
avanti la stessa donna che, aizzando il marito al tradimento e al delitto, era
sembrata tanto salda, resa malata dal crimine sospira:"All the perfumes
of Arabia will not sweeten this little hand
", tutti i balsami
d'Arabia non basteranno a profumare questa piccola mano (V,1). Fa il gesto di
lavarsi le mani che non si nettano mai:
“yet here’s a spot (…) Out damned spot!”,
viia macchia maledetta
E il dottore:
“unnatural deeds do breed unnatural
troubles” (V, 3) atti contro natura
producono turbamenti innaturali.
Bologna
31 maggio 2021 ore 21 e 43 dopo la bicicletta. Il sole tramonta alle 20 e 54, a destra di San Luca
osservandolo dal monte Donato.
giovanni
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[1] Una battuta che nel libretto di Piave del melodramma
musicato da Verdi diventa:" Ve' le mani ho lorde anch'io; poco spruzzo e
monde son" (Macbeth, I
atto).
Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
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