NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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giovedì 13 maggio 2021

Il viaggio nella Baviera di Ludwig. Parte VII. Il ritorno a Bologna. Da Lamma. Capitolo dedicato all'amico Mario

via dei Giudei
Il ritorno a Bologna. Da Lamma. Capitolo dedicato all'amico Mario


Alle tre del pomeriggio partimmo. Arrivammo a Bologna all’ora di cena e, siccome digiuni, tranne i caffè, dalla sera precedente,  andammo a mangiare in via dei Giudei, da Lamma, locale legato ai ricordi degli anni universitari.

Cena  moralmente del tutto immeritata, però necessaria dopo che si era saltato del tutto il desinare del tocco.

Appena ci fummo seduti, entrò Mario Levi, una strana figura di professore anziano e stravagante, nota nell’ambiente, famigerata tra i più. Un uomo sofferente perché convinto di avere sprecato il proprio talento di studioso e di scrittore. A me era simpatico, anzi caro: gli volevo bene anche se al genio inespresso non credo, altrimenti dovrei dolermi di essere un Coppi o uno Zatopek mancato. Sono certo che un vero talento, se c’è, non può non manifestarsi. In bicicletta ero bravissimo, ma non tanto da diventare un campione. Credo invece di avere il talento dell’educatore. Perciò continuo a studiare a tenere conferenze e a scrivere. Devo rendere questo dono di Dio utile e benefico per molti.

Mario comunque era una persona sensibile, sincera, intelligente a suo modo, e pure colta, nonostante una malattia, che, raccontava, lo aveva inceppato a ventanni, impedendogli di fare le letture necessarie a coltivare il talento. Quando gli obiettavo che Leopardi, molto più malato di lui e per giunta mezzo metro più piccolo, non si era lasciato inceppare, rispondeva che il grande Recanatese non aveva subito persecuzioni razziali. Affermava di essere stato il più bravo del liceo Ariosto di Ferrara: “altro che Giorgio Bassani, ero capace di scrivere, io!”. Tutti gli autori classici antichi e moderni: da Omero a T. S. Eliot aveva iniziato a studiare, ma poi si era perso dietro il volo di chimere tristi, anzi lugubri.

Mi venne in mente Ludwig II di Baviera.

Quando ebbi acquisito una certa confidenza con gli autori greci e latini che lui prediligeva, gli offrii un aiuto per riprenderne la lettura diretta, ma l’amico anziano rifiutò con voce alta e sdegnata: “pensi che possa bastarmi la lettura degli autori greci e latini che insegni al liceo?

Solo quelli, arrivando, bene che vada, a Paolo Orosio? Nemmeno Marziano Capella si legge a scuola: nulla mi è stato mai detto dell’incomparabile De nuptiis Philologiae et Mercurii, un capolavoro assoluto .

 Per questo la scuola mi ha disgustato. Io voglio leggere tutto, assolutamente tutto, o nulla, proprio nulla di nulla!”. Davanti a tanta risolutezza tacqui. Così non se ne fece niente.

Mario del resto era capace anche di scherzare facendo dello spirito intelligente. Una sera d’inverno, molti anni prima, eravamo da Lamma in cinque o sei. Fuori nevicava. Passata mezzanotte io e altri studenti dovevamo tornare nel collegio Irnerio che all’una chiudeva. Mario disse che era presto, dato che la notte non riusciva a dormire. Sicché ci offrì di accompagnarci e si mise in testa al drappello. Era alto e magro assai. Intabarrato in un lungo e pesante pastrano.  Procedevamo per via Zamboni. Imperversava una bufera soffiata da est. A un certo punto il vecchio signore si voltò verso la sua truppa e disse: “questa è la disfatta dei Tedeschi incalzati e bastonati dai Russi e io sono Friedrich Von Marius”. Non potemmo non applaudirlo.

Il lato tragico invece lo palesò una volta che lo portai a Pesaro perché voleva fare dei bagni. Arrivati, verso sera, era già la fine di agosto e pioveva, andò a tuffarsi nel mare. Dopo alcuni minuti, tornò a riva e svenne. Io e la mia amica di allora ci spaventammo e stavamo per chiamare un’ambulanza, ma lui si riprese tosto e disse che era venuto meno perché non mangiava da due giorni.

La zia più anziana, la capofamiglia, detta la badessa dalla madre  sua e la sbirra dal padre suo, novantenni entrambi,  disse che non mi aveva mai visto frequentare una persona normale, che probabilmente non ne ero capace.

“Per forza”, replicai, “nemmeno io sono normale”.   

Tale era Mario. La gente comune, quella cosiddetta normale cioè usuale, ossia usa al male più che al bene, lo disprezzava e canzonava, alcuni spregevoli e vili, lo trattavano male. Io oltre rispettarlo e cercare di aiutarlo in quanto molto più infelice e assai più solo di me, lo trovavo interessante, talora perfino educativo, quale contromodello del resto, e lo frequentavo, pur saltuariamente siccome temevo il contagio della sua debolezza. Non ero ancora abbastanza forte da potere aiutarlo davvero. Comunque nel poco tempo che passavo con Mario ero gentile nei suoi confronti, anche affettuoso e lo ascoltavo con attenzione e premura quando sentiva la necessità di raccontare la tragedia della sua vita e di lamentare dolorosamente la pena del suo fallimento. "Che vita mostruosa la mia!" diceva ogni tanto.
Io trovavo non meno mostruosa la vita usuale dei più.

 

Bologna 13 maggio 2021 ore 18, 19

giovanni ghiselli


p. s.

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