mercoledì 26 maggio 2021

La vacanza sciistica a Moena nel marzo del 1981. 4. La piccola chiesa di Malga Peniola. La vergine madre

Malga Peniola
Il tre marzo di mattina sciai sulle piste del Lusia; nel pomeriggio, per variare le tante ore di solitudine, mi incamminai verso la Malga Panna dove nel giugno del 1980 avevo passato un paio di notti inquiete con Ifigenia. Quando ci fui arrivato non volli entrarvi, e procedetti per il sentiero sdrucciolevole che porta alla Malga Peniola in direzione sud, quella di Predazzo. Era una giornata calda, quasi afosa: il cielo era tutto pieno di nuvole grosse, giallognole, acquose; la neve, lambita da un vento dolciastro, si liquefaceva.

Camminavo in mezzo al bosco delle pendici orientali del Latemar osservando gli alberi madidi, la terra fangosa, l’aria priva di luce: speravo che il cielo si aprisse sopra di me e mi lasciasse vedere la faccia santa del sole che mi ha sempre dato conforto.

Nell’anima gocciava l’angoscia. L’ultima telefonata non era valsa ad ammazzare i tarli del mio cervello: continuavo a pensare che di Ifigenia non potevo e non dovevo fidarmi. Nessun ragionamento né alcuna illusione valeva a correggere il duro e tenace risentimento nato quando nel 1979 colei non mi mandò a Debrecen la lettera d’amore promessa con un telegramma.

 

Il sentiero sbucò dal bosco in una radura. Vidi la malga e la chiesetta contigua che la fronteggiava. Mi avvicinai al piccolo tempio cristiano: l’uscio era chiavato di sotto, però si poteva guardare l’interno da una finestrina quadrata. La visione era ostacolata soltanto da due sbarre di ferro arrugginite, disposte a formare una croce: oltre quell’inferriata si lasciava vedere un’immagine della deipara vergine, la Mater  dolorosa-
iuxta crucem lacrimosa- dum pendebat Fílius.

“Croce e verginità santificati e deificati -  pensai- supplizio, dolore e astinenza totale dal piacere maggiore che si può provare in questa rapida vita mortale. La vergine madre, figlia del figlio. Tutto capovolto.

Questa storia dell’imene mi ha suggestionato, mi ha alterato il cervello quando ero un bambino indifeso, poi non  me ne sono mai liberato del tutto. I preti mi imposero la storia contro natura che la madre immacolata, perfetta fa un figlio senza fare l’amore perché il sesso è la cosa più sporca e macchiata del mondo. Ci sono cascato e non ne sono venuto mai fuori. Ho sempre fatto sesso per trasgredire il divieto, cercando anzi quello più proibito che mai: donne sposate, una incinta di un altro, Ifigenia che ha 10 anni meno di me e ha suscitato il mio istinto paterno con l’idea dell’incesto. Mai e poi mai una sposabile. Quasi mai l’amare accordato con il bene velle. Prima o poi è sempre scattato l’odi et amo. Pure alcuni classici hanno contribuito a confermare le mie perversioni.

Ho  preso sul serio i preti degli anni Cinquanta e i famigliari pretificati. Mi hanno tolto la felicità nell’amore. Nella mia mente ogni venire alla luce è stato insozzato dal dogma della vergine madre.

Oltretutto hanno fatto di me, per converso,  un maniaco.

Ricordo che da bambino neppure decenne, quando ero sul  trenino che da Ora porta a Predazzo, se saliva una donna bionda che parlava tedesco e sedeva a portata di vista e di pensieri, la osservavo chiedendomi se la sua vagina fosse a scartamento ridotto come i binari su cui si viaggiava.

Ero già mezzo genio e mezzo  fissato. L’'intelligente-deficiente', mi definiva la zia più attempata.  

Le tante esperienze fatte dai ventidue anni in poi non hanno tolto dalla mia testa l’impossibilità di un amore sereno e la confusione inculcata dai preti e dai pretificati.

Questo pensavo, e altro, quando a un tratto dalla Malga Peniola uscì un uomo giovane dai capelli rossicci e la pelle chiara: mi osservava e sorrideva come si fa con un conoscente o addirittura un amico. Anche a me parve una persona già vista ma non ricordavo dove.

Aspettai che fosse lui a dire qualcosa.

 

Bologna 26 maggio 2021 ore 10, 57

giovanni ghiselli


p. s.

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