lunedì 24 maggio 2021

Shakespeare, "Riccardo III". Parte nona

Richard in pomp, crowned  (IV, 2) e la vanità degli orpelli
 
Le donne vittime di Riccardo si compatiscono a vicenda.
La duchessa di York dice I go to my grave (94)  vado alla mia tomba dove mi aspettano pace e riposo. Poi misura i suoi oltre ottanta anni di vita con il metro del dolore e della gioia: “ each hour’s joy wrack’d with a week of teen” (IV, 1, 96), ogni ora di gioia è stata rovinata con una settimana di pena.
 
Nel VII capitolo del romanzo di Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo (Luglio 1883) , il principe don Fabrizio “faceva il bilancio consuntivo della sua vita, voleva raggranellare fuori dall’immenso mucchio di cenere delle passività le pagliuzze d’oro dei momenti felici: eccoli. Due settimane prima del suo matrimonio, sei settimane dopo, mezz’ora in occasione della nascita di Paolo, quando sentì l’orgoglio di aver prolungato di un rametto l’albero della casa Salina” (p. 169).
E, già nel secondo capitolo (Agosto 1860): “l’amore. Certo l’amore. Fuoco e fiamme per un anno, cenere per trenta. Lo sapeva lui cos’era l’amore... e Tancredi poi, davanti al quale le donne sarebbero cadute come pere cotte” (p. 49)
 
Ma torniamo a Shskespeare. Nella chiusura di questa prima scena del IV atto del Riccardo III, la regina vedova Elisabetta rivolge una preghiera alle pietre della torre dove sono imprigionati i suoi figli:”Pity, you ancient stones, those tender babes-whom envy L. invidia- have immur’d L.im (=in , in; murus wall)  within your walls” (98-99), abbiate pietà, voi antiche pietre di questi teneri bambini che l’invidia ha murato nelle vostre pareti. 
L’invidia degli dèi di Erodoto qui è laicizzata nell’invidia di chi brama il potere.
 
   Si apre la seconda scena:  enter Richard in pomp, crowned,  entra Riccardo vestito sfarzosamente, incoronato e accompagnato da diversi nobili: Buckingham il principale sodale nei delitti e altri, tutti suoi complici.
 
Tomaso Montanari nella sua rubrica del venerdì di Repubblica del 21 maggio commenta un olio su tela di Francisco Goya del 1815 che ritrae Ferdinando VII sul campo militare. Si trova nel Museo del Prado di Madrid.
 
 Il re di Spagna è pure lui in pomp.
“E’ il grande ballo in maschera del potere, che già Blaise Pascal, in pieno secolo barocco, demistificava così: “I nostri magistrati hanno ben capito questo mistero. Le loro toghe rosse, i loro ermellini di cui s’ammantano come gatti villosi…e se i medici non avessero palandrane e pantofole , e i dottori non avessero la berretta a quattro pizzi…se quelli possedessero la vera giustizia e se i medici sapessero la vera arte per guarire, non saprebbero che farsene di quelle berrette a quattro pizzi”
Quindi Montanari cita Virginia Woolf che associa l’abito vistoso alla guerra: “il loro costoso e presumibilmente non troppo igienico splendore è stato in parte inventato per imprimere nello spettatore il senso della maestà della funzione militare, in parte per indurre i giobvani, facendo leva sulla loro vanità, a fare i soldati”.
 
Alcuni autori considerano la sontuosa pompa militare addirittura un segno che  preannuncia l’insuccesso.
 
Nell’Amphitruo di Plauto i Teleboi “ex oppido-legiones educunt suas nimi ‘ pulchris armis praeditas” ( vv. 217-218), tirano fuori dalla fortezza le proprie truppe dotate di armi pur troppo belle. Ebbene, questi guerrieri dal cultus icercato verranno sconfitti dai Tebani di Anfitrione
 
Nelle Historiae Alexandri Magni  di Curzio Rufo l’ateniese Caridemo osa dire parole di critica a Dario III che perderà la guerra e l’impero: questo esercito splendente di porpora e di oro, brillante nelle armi può essere temibile solo per i tuoi vicini “finitimis potest esse terribilis: nitet purpura auroque, fulget armis” (III, 2, 12). 
Viceversa Alessandro  che sconfiggerà il grande re , come  giunse a Tarso, la capitale della Cilicia volle fare un bagno nel fiume Cidno . Et tunc aestas erat (l’estate de 333) e il re accaldato si spogliò fiero di mostrare ai suoi levi ac parabili cultu corporis se esse contentum (III, 5, 2) che si accontentava di una cura del corpo semplice e facilmente procurabile.
 
Tacito ricorda che i veterani trasferiti dalla Siria in Armenia nell’esercito di Corbulone erano nitidi et quaestuosi (Annales XIII, 35 ), eleganti e avidi di guadagno. Corbulone congedò  quegli ignavi,  arruolò  nuovi soldati e diede l'esempio: ipse cultu levi, capite intecto, agmine. in laboribus frequens adesse, laudem strenuis, solacium invalidis, exemplum omnibus ostendere, il comandante in persona con abiti leggeri, a capo scoperto, era sempre presente nelle marce e nelle fatiche, rendeva elogi ai valorosi, conforto agli infermi, ed era di esempio a tutti.
 
 Nel mondo moderno si può pensare alle uniformi degli ufficiali dell'impero asburgico in disfacimento, i quali"come incomprensibili adoratori di una crudele e remota divinità, di cui essi erano a un tempo anche i variopinti e fastosi animali da sacrificio, andavano su e giù per la città"[1].
 
Nei Saggi di Pascal (III libro, capitolo 9) troviamo anche una citazione tratta da Quintiliano che consiglia la forma più semplice come quella che meglio si addice e conviene ai soldati: “simpliciora militares decent”  Institutio oratoria,  XI, 1, 32.
Concludo citando Sofocle che denuncia la vanità degli orpelli del potere.
"La prepotenza fa crescere il tiranno, la prepotenza/se è riempita invano di molti orpelli/che non sono opportuni e non convengono/salita su fastigi altissimi/precipita nella necessità scoscesa/dove non si avvale di valido piede./La gara benefica per la città,/prego dio di non/interromperla mai;/dio non cesserò mai di averlo patrono" (Edipo re, vv. 873-882).
 
Bologna 24 maggio 2021 ore 9, 5
giovanni ghiselli
 
 
 
 
 


[1]              Joseph Roth, La marcia di Radetzky , pp.115 e 125).

 

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