Cesare quale scrittore “tucididèo”, ossia razionale, alieno dal mu'qo". Cfr. il passaggio del Rubicone di Cesare in Svetonio, molto diversi dal quello raccontato nel De bello civili,
Un uomo che suonava il flauto, afferrò una tromba, diede il segnale di battaglia e si diresse all’altra riva.
Allora Cesare : “eatur, inquit, quo deorum ostenta et inimicorum iniquitas vocat. Iacta alea esto” (Svetonio, Caesaris vita, 32).
Nella sua opera sulla Guerra civile, questo condottiero non fa cenno a quell’ispirazione divina a cui i suoi contemporanei ricondussero la sua grande decisione della notte fra il 10 e l’11 gennaio: il passaggio del Rubicone. Il Cesare di tutti noi, è, ancor oggi, l’uomo che disse allora: “il dado è tratto”; questo non è il Cesare del Bellum civile, ma il Cesare delle Historiae scritte dal suo ufficiale più “indipendente” e acuto: Asinio Pollione.
Nel suo racconto Cesare aveva voluto esporre le ragioni storico - giuridiche della decisione presa, “condensate” in un’arringa ai soldati (B. C. I, 7)”[3].
Ne De bello civili, Caesar apud milites contionatur , e denuncia il fatto che nella repubblica si sia introdotto novum exemplum… ut tribunicia intercessio armis notaretur atque opprimeretur” (I, 7), il veto dei tribuni veniva censurato e soffocato con le armi. Perfino Silla che aveva spogliato la tribunicia potestas, tamen intercessionem liberam reliquisse. Bisognava dunque andare a Roma per ripristinare la legalità.
“Asinio, che ancora portava nell’animo il ricordo fascinoso del capo, e tuttavia voleva a suo modo esercitare una critica “indipendente”, dipinse invece un “passaggio del Rubicone” in cui il lettore ritrovava ancora l’ansia e la gravità di quella decisione suprema”. Il racconto di Asinio lo ricostruiamo attraverso storici più tardi[4]. “Tra il racconto di Cesare, scritto forse verso il 46 a. C., e quello di Asinio, che cominciò le sue Historiae verso il 30, corrono quindici anni, o più; ma la differenza non è solo nelle date; è più significativa e radicale; Cesare, scrittore “tucididèo”, ossia razionale, non poteva intendere abbastanza i momenti irrazionali della sua stessa impresa… le Historiae di Asinio potevano riflettere la vera situazione, in maniera più adeguata, senza preoccupazioni apologetiche… Il Cesare autentico è però un incontro della razionalità tucididèa… con la passione politica, che lo animò in questi momenti decisivi”[5].
Cesare “Non permetteva, anche se ciò possa deluderla, che il suo cuore disponesse della sua testa”[6]. Cfr. viceversa Medea: :" Kai; manqavnw me;n oi|a dra'n mevllw kakav, - qumo;" de; kreivsswn tw'n ejmw'n bouleumavtwn, - o{sper megivstwn ai[tio" kakw'n brotoi'"" (Euripide, Medea, vv. 1078 - 1080),
E capisco quale abominio sto per osare,
ma più forte dei miei proponimenti è la passione
che è causa dei mali più grandi per i mortali (1078- 1080)
Il fatto è che queste due componenti della persona sono intrecciate: il Giulio Cesare di Plutarco nel momento di gettare il dado, ossia di infrangere le leggi lanciandosi oltre il Rubicone (gennaio del 49 a. C.), sintetizza emotività e calcolo: agisce "Tevlo" meta; qumou' tino" w[sper ajfei;" eJauto;n ejk tou' logismou' pro;" to; mevllon" (Vita di Cesare , 32), in definitiva con impulso, come se si lanciasse verso il futuro partendo dal ragionamento.
giovanni ghiselli
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