mercoledì 5 maggio 2021

Le lingue maltrattate dalle caste. La confusione babelica

Buona “L’amaca” di oggi, 5 maggio 2021.

Michele Serra scrive a pagina 26 di “la Repubblica” un pezzo azzeccato denunciando la mania del “managerese che è l’inglese aziendale” ed è “non meno grave, escludente, della spocchia che fu degli intellettuali (…) le caste si parlano tra loro, in circuito chiuso semza rispetto e senza amore per il popolo”.

Serra fa diversi esempi di managerese. Ne riporto solo uno siccome tale idioma mi ripugna. “Hearimg care”.  La conclusione di questo pezzo breve ma pregevole è: “Il popolo non è bisognoso di Hearing Care, il popolo è sordo, porca di quella miseria! E se parlate inglese ci sente anche di meno”.

Chi mi legge può pensare e magari rinfacciarmi che anche io uso l’inglese.

E’ vero, però mi avvalgo di quello degli autori, ricco di parole fondate su radici latine e non privo di bellezza. Del resto traduco sempre quello che cito dagli autori greci, latini e inglesi. E se uso una delle poche parole tedesche che conosco, traduco pure questa. Quando scrivo e parlo non intendo escludere nessuno, anzi voglio includere tutti quanti sono interessati alle mie parole

 Questo managerese è una schifezza, è un idioma brutto usato per diffondere confusione e deformità. Non si devono trattare così le lingue né le persone.

Per quanto riguarda l’altro idioma esclusivo, teso a escludere, quello della casta spocchiosa dei presunti intellettuali, Serra fa un altro esempio

Sentiamolo: “Un giorno Edoardo Sanguineti, recensendo uno spettacolo teatrale sull’Unità, scrisse che gli era sembrato “parabacofeniano”, intendendo dire: simile a Bachofen, importante antropologo svizzero”.

 

Su Sanguineti posso aggiungere un ricordo personale dello stesso tono.

Ero nel teatro greco di Siracusa dove veniva rappresentato l’Ippolito di Euripide tradotto da Edoardo Sanguineti. Ebbene la traduzione era incomprensibile per la stupidità spocchiosa o la non conoscenza della lingua di Euripide che fra i tre tragici è quello che tende al naturalismo, al parlato.

Il personaggio Euripide nelle Rane di Aristofane indica il pubblico e dice: lalei'n ejdivdaxa (954) ho loro insegnato a parlare.

Poi aggiunge: a pensare, vedere, capire, rivoltare, amare, escogitare, sospettare il male, considerare tutto (Rane, vv. 957-958).

 

Chi parla e scrive in maniera incomprensibile non vuole appunto dare questi insegnamenti che l’euripide di Aristofane rivendica.

Se capita che io scriva in maniera non del tutto chiara e perspicua, rimproveratemi, vi prego, o addirittura punitemi smettendo di leggermi .   

Dopo quella traduzione sciagurata il pubblico del teatro greco di Siracusa giustamente protestava.

Ma a Sanguineti, diversamente da Euripide, quello raccontato da Aristofane e l’autore delle tragedie , del pubblico non importava niente.

A lui importava il posto sulla greppia  ottenuto proprio scrivendo in una incomprensibile lingua franca, una pseudo lingua.

A me non è mai importato niente di lui, tranne quella sera in cui l’ho visto maltrattare la lingua greca, quella italiana e il pubblico, me compreso.


Bologna 5 maggio 2021ore 19, 14

giovanni ghiselli


p. s.

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