La telefonata mancata, poi quella riuscita
Alle otto di sera le telefonai, come ci eravamo accordati. Ma Ifigenia non rispose. Provai diverse volte. Non era rimasta in casa pur avendomi chiesto lei di chiamarla precisamente a quell’ora. Fui preso da un’angoscia soffocante. Mi vennero in mente altre donne che non erano state ai patti concordati, perfidamente. Salivo a stento le scale di legno dell’albergo per arrivare in camera, chiudermi dentro e gettarmi nel letto.
Barcollavo con il corpo e mi vacillava la mente: come uno spastico non riuscivo ad armonizzare i movimenti. Le convulsioni dell’anima ferita si somatizzavano facendomi inciampare sui gradini. Caddi più di una volta.
Già da bambino sentivo i dolori e le gioie in modo estremo. A 36 anni i calori di quelle fiamme erano ancora vicini e forti.
Rimasi diversi minuti disteso sul letto nel buio di quella stanza.
Mi domandavo perché quella donna indefinibile mi avesse abbandonato mentre ero lassù, solo tra i monti della mia infanzia desolata.
Di solito questo succede quando uno dei due trova un altro amante che piace o conviene di più. Però dopo due anni e mezzo di relazione, avrebbe potuto avvisarmi.
Invero l’avviso era questo: non era lo schianto finale ma lo prefigurava: la sera del 2 marzo presentivo e presoffrivo il dolore della notte compresa tra il 12 e il 13 giugno. Non c’è niente che avvenga per caso o sia privo di significato. Tutto è collegato con tutto.
Quando ebbi recuperato quanto delle mie forze svanite mi consentiva di alzarmi, per evitare che mi scoppiasse la testa, mi mossi con l’intenzione di camminare sotto le stelle e interrogare le loro luci.
Quando fui arrivato in fondo alla scala però, come il buon Dio misericordioso volle, il portiere disse che mi aveva cercato una signorina lasciando il numero con la richiesta di farla richiamare appena fossi tornato. Le avevano detto che ero uscito. Mi precipitai nella cabina telefonica con i venti gettoni che portavo sempre con me, come quando ero rinchiuso in caserma. Afferrai l’apparecchio con mano tremante e feci il numero. Rispose Ifigenia.
“Ciao tesoro, scusa il ritardo, ma sono tornata a vedere Ludwig per sentirmi in qualche modo vicina a te. Ho dovuto correre per arrivare in tempo: l’autobus non arrivava mai. Non ce l’ho fatta. Scusami ”
“Ho avuto paura che ti fosse successo qualcosa - risposi - ma ora sono contento”.
“Mi è successo che senza di te la mia vita è incompleta. Io non funziono bene. Ti amo tanto”
“Anche io”
Nonostante l’aria chiusa della cabina, il petto mi si era aperto e riempito di salute, di forza, di gioia.
“Adesso vado a camminare attraversando la valle per pensare a te con amore e gratitudine. Sono proprio felice”.
Uscìi nella notte fredda ma ero raggiante e fervido di gioia.
In quel momento non pensavo che Ifigenia doveva affrontare delle prove per cui aveva bisogno del mio aiuto e che forse rimaneva solo strumentalmente con me. Mi vennero in mente anzi la gioie degli amori del tutto gratuiti con altre donne. Quando si ama senza calcoli, solo perché un’altra persona ci attira e l’attrazione è reciproca, questa felicità non contiene obblighi, calcoli, rinunce, niente che possa inficiare la meravigliosa sensazione che l’assenso di quella donna, desiderata al di sopra di tutto, significa che la vita stessa ti ha detto di sì aprendoti la via che cercavi per uscire dalla disgraziata schiera degli infelici molti rinnegati dalla stessa madre che li ha partoriti e fastidioso ingombro per tutti, perfino per la terra.
Bologna 24 maggio 2021 ore 10, 48
giovanni ghiselli
p. s
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