Sapienza nelle mani parole di pietra
Ut pictura poēsis (cfr. Orazio, Ars poetica, 361) – Ut pictura historia
Plutarco paragona la propria opera di biografo a quella dei pittori:
“Noi infatti non scriviamo storie, ma vite, né del resto nelle azioni più famose è sempre insita una manifestazione di virtù o di vizio, ma spesso un'azione breve e una parola e una battuta danno un'immagine del carattere più che battaglie con innumerevoli morti e schieramenti di eserciti enormi e assedi di città.
Come dunque i pittori - w{sper ou\n oiJ zw/gravfoi - colgono le somiglianze dal volto e dalle espressioni relative allo sguardo nelle quali si mostra il carattere, mentre delle parti restanti si prendono pochissima cura, così a noi si deve concedere di penetrare più nei segni dell'anima, e attraverso questi rappresentare la vita di ciascuno, lasciando ad altri le grandezze e le contese ( Introduzione alle Vite di Alessandro e Cesare, I. 2 - 3)
Anche le parole possono essere lapidarie
Lo stile lapidario è alieno dalle chiacchiere
Anassagora (499-428) secondo una tradizione reperibile ancora in Cicerone (Tusculanae disputationes , III, 14, 19) alla notizia della morte dell'unico figlio avrebbe detto nel suo stile lapidario:" sciebam me genuisse mortalem ", sapevo di averlo generato mortale.
Quando gli dissero che i giudici lo avevano condannato, fece questo commento: “Da tempo la natura ha condannato a morte i miei giudici e me stesso”[1].
La bellezza è molto spesso associata al tempo della prima gioventù.
I parti che pure producono vita possono sciuparla
Il parto può causare una perdita di bellezza: nell’Hercules Oetaeus pseudosenecano, Deianira, vedendo la fulgida bellezza della giovanissima Iole, lamenta l’oscurarsi della propria con queste parole: “Quidquid in nobis fuit olim petitum, cecidit et partu labat” (vv. 388-389), tutto quello che una volta in noi era desiderato, è caduto e con il parto vacilla.
Le matrone romane potevano arrivare a vergognarsi di avere partorito e allattato i figli poiché dopo non potevano più essere eccitanti con un bel seno. Lo ricavo da Properzio che esorta l'amante alla rixa amorosa nella luce:"necdum inclinatae prohibent te ludere mammae:/viderit haec, si quam iam peperisse pudet " (II, 15, 20-21), non ancora le mammelle cadenti ti impediscono tali giochi: badi a questo una se si vergogna di avere già partorito.
L’orrore della vecchiaia
Sofocle
Il Terzo stasimo dell’ Edipo a Colono (1211-1248 ) è il canto della sapienza silenica.
Una vita troppo lunga che supera il limite non è desiderabile. Il tempo della vecchiaia cancella ogni bene.
Sofocle nel suo ultimo dramma fa cantare al coro:"
“M¾
fànai tÕn ¤panta nik´ lÒgon· tÕ d', ™peˆ fanÍ,
bÁnai
ke‹qen Óqen per ¼kei, polÝ deÚteron, æj t£cista.
`Wj
eât' ¨n tÕ nšon parÍ koÚfaj ¢frosÚnaj fšron,
t…j
pl£gcqh polÝ mÒcqoj œxw; t…j oÙ kam£twn œni;
fÒnoi, st£seij, œrij, m£cai
kaˆ fqÒnoj· tÒ te kat£mempton ™pilšlogce pÚmaton ¢kratj ¢prosÒmilon
gÁraj ¥filon, †na prÒpanta kak¦ kakîn xunoike‹”.
Non essere nati supera/ tutte le condizioni, poi, una volta apparsi,/ tornare al più presto là/ donde si venne,/ è certo il secondo bene./ Poiché quando uno ha oltrepassato la gioventù/ che porta follie leggere, /quale travagliosa disfatta resta fuori?/ Quale degli affanni non c'è?/uccisioni, discordie, contesa, battaglie,/ e invidia; e sopraggiunge estrema/ la spregiata vecchiaia impotente,/ asociale, priva di amici /dove convivono tutti i mali dei mali"(vv.1224-1238).
Per quanto riguarda l’estremo male costituito dalla vecchiaia, Leopardi nel canto Il tramonto della luna (1836) scrive:
“D’intelletti immortali
Degno trovato, estremo
Di tutti i mali, ritrovar gli eterni
La vecchiezza, ove fosse
Incolume il desio, la speme estinta,
secche le fonti del piacer, le pene
maggiori sempre, e non più dato il bene” (vv. 44-50)
Viceversa: la bellezza della vecchiaia.
Creare bellezza nella vecchiaia
Nell'Eracle , Euripide attraverso "il cantuccio" del coro fa questa sua dichiarazione d'amore alla bellezza e alla poesia:"non cesserò mai di unire le Grazie alle Muse, dolcissimo connubio- ouj pauvsomai ta;" Cavrita"-tai'" Mouvsai" sugkatameignuv", hjdivstan suzugivan- . Che io non viva senza la Poesia ma sia sempre tra le corone- mh; zw/hn met j ajmousiva", aijei; d j ejn stefavnoisin ei[hn- . Ancora vecchio l'aedo fa risuonare la Memoria"(vv. 673-679).
Non solo la poesia ma anche la pittura e la scultura rendono eterna la bellezza umana.
Nel Museo Nazionale di Atene si trova lo Zeus dell’Artemision (460 a. C.) : in quella statua di bronzo di stile severo si vede e commuove l’idea del divino rappresentata non astrattamente ma attraverso la forma umana còlta nei suoi aspetti migliori: la forza consapevole, la nobile semplicità, la calma sicura dove si manifesta una bellezza serena che non appassisce con il volgere delle stagioni, anzi acquista nuovo vigore siccome incarna una potenza mentale sempre più cosciente di sé, un equilibrio sicuro, musicale delle parti del copo armonizzate con quelle dell’anima.
Come la letteratura (Eschilo e Pindaro) le arti figurative del tempo di poco successivo alle guerre persiane mostra il fiorire di grandi energie creative. La ricostruzione di Atene dopo il saccheggio persiano suscita e potenzia le doti degli artisti
Non solo in Atene.
Le figure dei frontone del maestro di Olimpia (460 a. C.) fanno pensare a quanto dice Socrate a Menone delle sculture di Dedalo: se non vengono legate fuggono e scappano via , se invece sono legate restano fisse (taàta, ™¦n mn m¾ dedemšna Ï, ¢podidr£skei kaˆ drapeteÚei, ™¦n d dedemšna, paramšnei Menone, 97d)
giovanni ghiselli Bologna 4 maggio 2021 ore 11, 3
Il protagonista di Senilità, Emilio Brentani, è un trentacinquenne dall'anima stanca, mentre la vecchiaia anagrafica di altri personaggi è, come nota Magris in L'anello di Clarisse (p.198):" libertà dall'obbligo di attestare a se stessi e agli altri il proprio valore, la propria capacità e vitalità".
Bellezza nel tempo della morte
Morire nella bellezza è cosa migliore che vivere nella bruttezza
Soltanto nella bellezza si può tollerare il dolore di vivere,
afferma Polissena quando antepone una morte dignitosa a
una vita senza onore:"to; ga;r zh'n mh; kalw'~ mevga~ povno~, ( Euripide, Ecuba ,
v. 378), vivere senza bellezza è un grande tormento".
Il coro commenta queste parole dicendo che nascere da
persone nobili lascia un forte e chiaro segno-carakthvr-, ma il
nome della nobiltà diventa più grande per chi se ne fa degno
(380-381)
Nelle Troiane di Euripide, Cassandra sostiene che deve evitare la guerra chi ha senno, ma se si giunge a farla, una corona non vergognosa è morire nella bellezza, cioè nella bellezza (kalw`~ ojlevsqai, v. 402) per la città.
Il kalovn giustifica esteticamente tanto la vita quanto la morte
Il culto della bellezza nella vita e nella morte non manca in Sofocle: Antigone dice a Ismene: ma lascia che io e la pazzia che spira da me/soffriamo questa prova tremenda: io non soffrirò/nulla di così grave da non morire nobilmente"peivsomai ga;r ouj-tosou`ton oujden w{ste mh; ouj kalw`~ qanei`n ( Antigone, vv. 95-97).
L’ Aiace di Sofocle manifesta al corifeo il proprio proposito suicida ( Aiace, vv.479-480):"ajll j h] kalw'" zh'n h] kalw'" teqnhkevnai/ to;n eujgenh' crhv" ma il nobile deve o vivere con stile, o con stile morire. Sempre kalw`", nella bellezza.
L’ amore e la morte non priva di bellezza.
Alcesti, la “moglie ottima” della tragedia di Euripide e Violetta, la ragazza “traviata” del melodramma di Piave- Verdi
Nell’Alcesti di Euripide un’ancella racconta la cura che la regina morente si prese dell’ordine e della bellezza del proprio corpo
"Quando si accorse che il giorno fatale
era giunto, ha lavato la bianca pelle con acque
correnti, e dopo avere tirato fuori dalle casse di cedro
un vestito e gli ornamenti-ejsqh`ta kovsmon t j, si preparò convenientemente eujprepw`" hjskhvsato,/
poi stando in piedi davanti alla dèa del focolare pregò"(158-162).
Alcesti la “gunhv t j ajrivsth tw'n uJf j hjlivw/ makrw'/"( la moglie ottima tra quelle sotto il sole Alcesti, v 151) non ha perduto fiducia negli dèi, né il rispetto di se stessa, della popria bellezza, nemmeno in punto di morte.
"Poi si è accostata a tutti gli altari che sono nella casa
di Admeto, li ha incoronati e ha pregato
staccando il fogliame dai ramoscelli di mirto,
senza lacrime (a[klauto~), senza gemiti (ajstevnakto~), né l'imminente/
disgrazia cambiava la bella natura del suo incarnato"(170-174).
Alcesti tuttavia mantiene nella morte la possessività e un atteggiamento imperioso verso Admeto cui pure ha donato la propria vita per farlo sopravvivere. Prima rinfaccia al marito l’enorme favore che gli ha fatto, quindi gli chiede di non prendere un’altra donna.
Non volli vivere separata da te
con i bambini orfani, né risparmiai
la giovinezza pur avendo di che prendere piacere, io.
Eppure ti tradirono chi ti diede la vita e la madre che ti partorì/
pur quando era giunto per loro l'opportunità di morire nobilmente,/
salvare il figlio con eroismo e morire nella gloria.
Infatti avevano solo te, e nessuna speranza,
morto te, di generare altri figli.
Ed io vivrei, e tu anche, per il resto della vita,
e ora non piangeresti, privato della tua sposa,
né alleveresti i figli orfani. Ma uno degli dèi
ha disposto questo in modo che andasse così."
"E sia! Ma ora tu tieni in mente la riconoscenza di questo (tw`nde cavrin).
Ti chiederò infatti un contraccambio mai pari
(infatti non c'è niente più prezioso della vita),
ma delle cose giuste, come tu stesso dirai: infatti tu ami
questi bambini non meno di me, se davvero hai senno.
Questi lasciali signori della mia casa
e non sposare in seconde nozze una matrigna (mhtruiavn) per i figli,/
la quale, essendo una donna più cattiva di me, per invidia
alzerà le mani sulle creture tue e mie. (287- 307).
Admeto promette che a radunanze, a feste non andrà più né cercherà altre donne, ma si farà costruire una copia materiale di Alcesti e questa terrà nel proprio letto per le gelide gioie sostitutive del loro amore. Proposito osceno e macabro nello stesso tempo.
"Il tuo corpo effigiato dall'abile mano
di artisti sarà steso nel letto
e su quello io mi getterò e abbracciandolo
e invocando il tuo nome, crederò di avere
nelle braccia l'amata sposa, pur non avendola;
gelida gioia credo (yucra;n mevn, oi\mai, tevryin), ma tuttavia allevierei
il peso dell'anima. E nei sogni
andando e venendo, mi allieteresti: dolce infatti
è vedere gli amati, sia pure di notte, per il tempo in cui è possibile./ (348-356)
La traviata Violetta arriva alla generosità assoluta, senza condizioni:
nell’ultima scena del melodramma, già vicina a spirare, l’amata moribonda dice all’amato Alfredo:
“Se una pudica vergine
Degli anni suoi nel fiore
A te donasse il core…
Sposa ti sia…lo vo’
Le porgi questa effigie:
dille che dono ell’è
di chi nel ciel tra gli angeli
prega per lei, per te” (La traviata, Piave, III, 7). E’ l’apoteosi, l’ascesa tra le gran braccia di dio della puttana santa
Anche Alfredo è migliore di Admeto: manifesta il proposito di seguire nella tomba Violetta se per lei non c’è scampo.
“Ah, vivi o un solo feretro
M’accoglierà con te”
La bellezza e la dignità della morte vengono anteposte alla degradazione della vita da Cleopatra, l'ultima dei Tolomei: lo capisce Carmione la quale risponde con il suo ultimo fiato al soldato che, vedendo il cadavere della regina, le ha domandato : "kala; tau'ta Cavrmion ;" è bello questo?. Ebbene l'ancella e amica di Cleopatra replica "kavllista me;n ou\n kai; prevponta th'/ tosouvtwn ajpogovnw/ basilevwn" (Plutarco, Vita di Antonio, 85, 8), è bellissimo e si confà a una donna che discende da re tanto grandi.
Lo stesso personaggio (Charmian) dell'Antonio e Cleopatra di Shakespeare, all'ottuso guardiano (First Guard) che le ha posto la medesima domanda retorica (Charmian, is this well done?) , ribatte : "It is well done, and fitting for a princess-Descended of so many royal kings. Ah, soldier! (V, 2, 324-327)", è ben fatto e adatto a una sovrana discesa da tanti nobili re. Ah soldato!
Difese del tempo della vecchiaia. Il beneficio del tempo. Solone, Euripide, Aristofane, Cicerone, Leopardi
I versi forse più famosi di Solone sono quelli con i quali il legislatore ateniese replica a Mimnermo, il quale aveva auspicato che a sessant'anni lo cogliesse il destino di morte, senza malattie e affanni dolorosi (fr. 6 D.).
Ebbene il Solone insorge "contro la raffinata stanchezza pessimistica che vuol già fare punto a sessant'anni"[2], e risponde:
"Ma se ora finalmente vuoi darmi retta, togli questo verso,/
e non essere invidioso, per il fatto che ho pensato meglio di te,/
e cambialo, arguto cantore, e canta così:
ottantenne mi colga il destino di morte.
Né incompianta mi giunga la morte, ma ai cari
io lasci morendo dolori e gemiti.
Invecchio imparando sempre molte cose " (ghravskw d j aijei; polla; didaskovmeno") fr.22 D.
La vecchiaia può essere anche piacevole e sana
Nell’Alcesti di Euripide, Ferete, il padre di Admeto, rimprovera il figlio che gli ha rinfacciato di non avere voluto morire per lui, lasciando che lo facesse la giovane moglie. Sentiamolo:
“caivrei" oJrw`n fw`": patevra d j ouj caivrein dokei`";
h\ me;n polu;n ge to;n kavtw lovgizomai
crovnon, to; de; zh`n smikrovn ajll j o{mw" glukuv (691-693),
tu godi nel vedere la luce; credi che il padre non ne goda?
Certo considero lungo il tempo di laggiù,
e quello di vivere breve, ma dolce tuttavia.
Nelle Rane di Aristofane:" govnu pavlletai gerovntwn"(v.345), il ginocchio dei vecchi balza. Infatti questi sono gli iniziati, oiJ memuhmevnoi(vvv.158 e v.318), distinti dai peccatori la cui vita è schifosa sempre e dovunque. La vecchiaia non è pesante per quelli dalla vita ben vissuta.
Cicerone nel De senectute (del 44 a. C.) compone l'elogio più articolato della vecchiaia, facendo dire a Catone ottantatreenne:"in moribus est culpa, non in aetate "(3), il difetto sta nei costumi, non nell'età; e la pena deriva dai sensi di colpa dovuti a una vita mal vissuta:"quia coscientia bene actae vitae multorumque benefactorum recordatio iucundissima est "(3), poiché la coscienza di una vita impiegata bene e il ricordo di molte buone azioni fatte sono fonti di dolcissima gioia.
Vengono portati esempi di vecchiaie vigorose e produttive: Platone che morì a ottant'anni "scribens ", scrivendo ancora, Isocrate che a novantatré anni compose il Panatenaico, poi visse altri cinque anni, quindi viene ricordato il suo maestro Gorgia che compì centosette anni, studiando e lavorando, tanto che disse:"Nihil habeo quod accusem senectutem "(5) non ho niente da rimproverare alla vecchiaia.
Insomma, secondo Cicerone, c'è una montatura negativa nei confronti della senectus. Gli indebolimenti, almeno quelli mentali, sono dovuti alla mancanza di esercizio."At memoria minuitur ", ma la memoria diminuisce; ebbene a questa obiezione-luogo comune degli imbecilli, l'autore risponde:"credo, nisi eam exerceas, aut etiam si sis natura tardior ", lo credo, se non la si esercita, o anche se sei piuttosto stupido di natura.
L’Arpinate fa anche l'esempio di Sofocle che"ad summam senectutem tragoedias fecit ", compose tragedie fino alla vecchiaia estrema, e anzi si difese dall'accusa di demenza senile contestatagli da un figlio che voleva venisse interdetto, leggendo l'Edipo a Colono scritta da poco, ai giudici che naturalmente lo assolsero a pieni voti (7).
Poco più avanti (8) il De senectute ricorda anche Solone "qui se cotidie aliquid addiscentem dicit senem fieri ", che dice di diventare vecchio imparando ogni giorno qualche cosa di più; non solo, ma a Pisistrato che gli domandò in che cosa confidasse per opporsi a lui con tanta audacia, il vecchio legislatore rispose "senectute ", nella vecchiaia (20).
I piaceri che scemano poi sono quelli volgari del corpo: “epularum aut ludorum aut scortorum voluptates” , dei banchetti o dei giochi o delle prostitute (14) certo non paragonabili a quelli dello spirito che invece crescono. Quanto alle solite accuse rivolte ai vecchi che sarebbero bisbetici (morosi ), ansiosi (anxii), iracundi , difficiles, avari, questi sono difetti dei caratteri, non della vecchiaia:"sed haec morum vitia sunt, non senectutis "(18).
Una calunnia conto i vecchi si trova nella Retorica (1389b) di Aristotele il quale sparlando, a proposito e a sproposito dei vecchi, dice che sono fivlautoi ma'llon h] dei', egoisti più del dovuto e che questa è una forma di mikroyuciva, meschinità: kai; pro;~ to; sumfevron zw'sin, ajll j ouj pro;~ to; kalovn, vivono per l’utile e non per il bello, proprio per il fatto che sono egoisti: l’utile infatti è un bene individuale, mentre il bello è un bene assoluto (to; de; kalo;n aJplw'~).
Nel campo della commedia, continua Cicerone, basta guardare i due fratelli degli Adelphoe di Terenzio:"quanta in altero diritas, in altero comitas! ", quanta durezza nell'uno (Demea), dolcezza nell'altro (Micione)! Anche la vicinanza della morte non è terrificante, infatti"omnia quae secundum naturam fiunt sunt habenda in bonis", tutto quello che avviene secondo natura deve essere considerato tra i beni (19).
E noi uomini:"in hoc sumus sapientes, quod naturam optimam ducem tamquam deum sequimur eique paremus ", in questo siamo saggi che seguiamo la natura ottima guida come un dio, e le obbediamo, aveva già detto il personaggio Catone nel prologo del De senectute (2).
J. Hilman è d’accordo con Cicerone: “I fatti dimostrano che, invecchiando, io rivelo più carattere, non più morte”[3].
Leopardi associa alla corruzione il disprezzo subito dai vecchi.
Zibaldone (3520-3521):"Quando il genere umano era appresso a poco incorrotto, o certo proclive ed abituato generalmente alla virtù (...) allora i vecchi, come più ricchi d'esperienza e più saggi, erano più venerabili e venerati, più stimabili e stimati, ed anche in molte parti più utili ai loro simili e compagni ed al corpo della società, che non i giovani e quelli dell'altre età".
L’insegnamento del tempo
Il tempo che porta invecchiamento è pure il migliore dei maestri.
Prometeo giunge a dire: “con parola schietta (lovgw/ aJplw`/) odio tutti gli dèi/quanti, dopo avere ricevuto del bene, mi maltrattano ingiustamente”(vv. 975-976). E confida nel tempo che invecchiando insegna proprio tutto (“ajll j ejkdidavskei pavnq j oJ ghravskwn crovno" " (Prometeo incatenato, v. 981).
Questo verso traspone il notissimo pentametro di Solone ("invecchio imparando sempre molte cose”) in termini cosmici.
L’attesa del beneficio del tempo è topica.
Nel De ira Seneca consiglia di prendere tempo per combattere la tendenza a questa forma di brevis insania :"Dandum semper est tempus: veritatem dies aperit " (II, 22), bisogna sempre concedersi del tempo: i giorni svelano la verità. E ancora: "Maximum remedium irae mora est" (II, 29), massimo rimedio dell'ira è il differire.
Quindi: “Si vis vincere iram, non potest te illa. Incipis vincere, si absconditur, si illi exitus non datur. Signa illius obruamus et illam quantum fieri potest occultam secretamque teneamus” (III, 13)
Prendere tempo è funzionale allo sbollimento dell’ira.
Il tempo dell’intervallo scolastico è funzionale all’apprendimento, ci ricorda Quintiliano.
E' comunque necessario concedere qualche intervallo a tutti:"Danda est tamen omnibus aliqua remissio"[4].
Il tempo rivela l’uomo giusto
Nell’ Edipo re di Sofocle, Creonte afferma che il tempo rivela l’uomo giusto ( crovno" divkaion a[ndra deivknusin, v. 614). Quindi il Coro dei vecchi tebani lo approva:" Ha detto bene per chi si guarda dal cadere signore/: infatti i veloci a capire non sono sicuri" ( fronei`n ga;r oij tacei`" oujk ajsfalei`" vv. 616-617).
Il tempo come rivelatore viene invocato pure da Cordelia, la figlia buona di Re Lear :" Time shall unfold what plaited [5]-lat plicatum piegato- cunning hides", il tempo spiegherà ciò che l' attorcigliata astuzia nasconde (I, 1).
Altrettanto in La tragedia spagnola [6] dove Isabella, la moglie di Hieronimo (quello che "è pazzo di nuovo"[7] ), dice al marito:"l'assassinio non può essere nascosto: il tempo è autore insieme della verità e della giustizia, e il tempo porterà alla luce questo tradimento" (II, 6).
Il tempo di vita a noi concesso è il bene più prezioso
Plutarco racconta che durante la guerra di Perugia (42 - 40) combattuta contro Ottaviano dal fratello di Antonio e da sua moglie Fulvia, Cleopatra catturò Marco Antonio tanto che il triumviro si lasciò portare ad Alessandria dove si diede a divertimenti puerili e a scialacquare e dissipare nello spreco che Antifonte definì il più dispendioso: quello del tempo: “polutelevstaton wJ" jAntifw`n ei\pen ajnavlwnma, to;n crovnon” (Plutarco, Vita di Antonio, 28, 1).
Cfr. Seneca: Omnia, Lucili, aliena sunt, tempus tantum nostrum est (Ep. 1, 4), tutto il resto è roba degli altri, il tempo soltanto è un bene nostro.
Nel De brevitate vitae Seneca nota quanto poco conto si faccia del tempo da parte dei più, gli infelici molti che chiedono a molti infelici questo bene preziosissimo e tanto gli uni quanto gli altri lo sciupano, lo sprecano, lo buttano via: “quasi nihil petitur, quasi nihil datur. Re omnium pretiosissima luditur, fallit autem illos, quia res incorporalis est, quia sub oculos non venit ideoque vilissima aestimatur , immo paene nullum eius pretium est (…) nemo aestimat tempus (8, 1), (il tempo) viene chiesto come se fosse un nulla, e come se fosse un nulla viene dato. Non si prende sul serio la cosa più preziosa di tutte, ma li inganna perché è cosa incorporea, poiché non giunge sotto gli occhi e perciò viene reputata di nessun pregio, anzi il suo apprezzamento è pressocché nullo.
Ora fanno perdere tempo a chi davvero vuole lavorare quelli che insistono per le riaperture generalizzate. Riaprendo si dà spazio e tempo al virus di infettare, finché si dovrà chiudere un’altra volta.
Questo mostro letale è invisibile al pari di quel bene preziosissimo che è il tempo, e il materialista ottuso, come chiarisce il dialogo Sofista di Platone riconosce una realtà effettiva soltanto a ciò che è corporeo.
I figli della terra riconoscono come esistente solo ciò che possono toccare con mano. C’è una gigantomachia sull’essere-gigantomaciva peri; th`" oujsiva" (Sofista, 246) tra questi tellurici materialisti e gli amici delle forme che ricordano le idee viste sulla piana della Verità.
Ora i tellurici sono oggettivamente amici del virus
Il link per seguire la conferenza
“Tempo e Bellezza 2 - Sapienza nelle Mani, Parole di Pietra”, che si terrà online in data 8 maggio 2021, ore 11.00–13.00.
[1] Diogene Laerzio, II, 3.
[2] JaegerPaideia , I vol., p.279
[3] La forza del carattere, p. 27.
[4] Quintiliano, Inst., I, 3, 8.
[5] L'astuzia è , come l'incesto, contorta.
[6] di Thomas Kyd (del 1585)
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