venerdì 14 maggio 2021

Panem et circenses

Mario Draghi ha detto che un’Italia senza figli è destinata a scomparire.
Commento tale affermazione aggiungendo, credo opportunamente, che per mettere al mondo dei figli ci vogliono prospettive che lascino vedere qualche altro scopo oltre la presunta felicità dei consumi, destinati oltretutto a ridursi nella quantità e a peggiorare nella qualità.
La gente è invogliata a fare figli se ha davanti a sé la visione di un futuro migliore. Ma ora la prospettiva è talmente desolata che i giovani abbassano gli occhi sui telefonini piuttosto che guardare davanti.
Sul il venerdì  di “la Repubblica” di oggi, 14 maggio 2021, leggo, a pagina 97,  un bell’articolo di Tomaso  Montanari intitolato “Il ritorno dei circenses”.
Le parole scritte sono illustrate da una foto dall’alto del Colosseo.
 
Cito alcune parole dello storico dell’arte: “Un ministro ha deciso di passare alla storia rimettendolo in funzione, con un’arena nuova di zecca: 'torneremo all’epoca Flavia' ha dichiarato”.
 
Giovenale scrive  nel tempo successivo ai Flavi le sue satire.
Nella X leggiamo che il popolo “duas tantum res anxius optat,-panem et circenses- 8vv. 80-81) desidera con ansia due sole cose: il pane e i giochi del circo.
 "Si pensi alla Roma di Giovenale, a questo rospo velenoso con gli occhi di Venere"[1].
 
Ora cito anche Seneca che non vide il Colosseo perché non fece in tempo, però gli è comunque capitato di osservare dei circenses e tornato dall’orrendo spettacolo dove ha assistito a mera homicidia,  omicidi veri e propri, commenta:" avarior redeo, ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines fui ", torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? anzi più crudele e più disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini (Ep. 7, 3). Il consiglio allora è: "recede in te ipse quantum potes ", rientra in te stesso quanto puoi (7, 8).
La posizione si radicalizza nell'incipit di  un'altra lettera: “ Seneca Lucilio suo salutem. Sic est, non muto sententiam: fuge multitudinem, fuge paucitatem, fuge etiam unum” (Ep. 10, 1), Seneca saluta il suo Lucilio. E' così, non cambio parere, evita la folla, evita i pochi, evita anche uno solo.
 
La decadenza di una civiltà è dovuta in gran parte al decadimento della socialità, del rispetto e della solidarietà tra le persone. Il risultato è la misantropia, quella di Timone di Atene, di Cnemone, il Dyskolos di Menandro, e questa citata dalle Lettere di Seneca.
Si pensi che nella tragedia  Filottete  scritta da Sofocle per i cittadini  ateniesi e rappresentata al popolo nel 409 a. C., il protagonista depreca la propria solitudine coatta e desolata:  abbandonato su un'isola deserta, lamenta di essere movno" (v. 227), e[rhmo" (…) ka[filo" (v. 228) solo, abbandonato e senza amici.
 
Kierkegaard in Enten Eller,  nota che" il mondo antico non aveva la soggettività riflessa in sé. Benché si muovesse liberamente, l'individuo restava nell'ambito delle determinazioni sostanziali, nello stato, nella famiglia, nel fato (…) La riflessione di Filottete non si sprofonda in se stessa, ed è tipicamente greco che egli si dolga che nessuno sia a conoscenza del suo dolore. Si ha qui una grande verità, e proprio qui si vede anche la differenza con il vero e proprio dolore riflessivo, che sempre desidera d'esser solo con il suo dolore, e che nella solitudine di questo dolore cerca sempre un nuovo dolore"[2].
 

La scelta della solitudine , condannata come disumana da Omero (nell’episodio del Ciclope) a Menandro, lamentata come insopportabile da Filottete,  più avanti, con la degenerazione brutale dei rapporti umani, con la trasformazione delle persone in "turba ", folla fastidiosa e fuorviante, diventerà non solo dignitosa ma necessaria.
In certe situazioni passa non soltanto il desiderio dei figli ma perfino quello dell’amore e della vita.
Tono a citare Tomaso Montanari: “Chissà se, essendo ormai (o ancora?) in demo-crazia, ci saranno demo-leoni che mangeranno demo-cristiani: ma pare che il ministro non voglia rischiare”.
 
Concludo, in maniera arbitraria,  con la disperazione ludicamente travestita da Macbeth dopo l’assassinio del suo re: “There’s nothing serious in mortality-all is but toys” (Macbeth, II, 3), non c’è niente di serio in questa vita mortale, è tutto è ridotto a giocattoli. Che in questa tragedia sono pugnali presenti perfino nei sorrisi degli uomini come osserva Donalbain, un figlio di Duncan, il vecchio re di Scozia assassinato nel sonno nel Palazzo di Macbeth dove era ospitato.
Ora i giocattoli più diffusi e presenti sono i cellulari che distraggono le persone dai contatti reali e umani.
 
Bologna 14 maggio 2021 ore 18, 21
giovanni ghiselli

p. s
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[1] F. Nietzsche, Umano, troppo umano  II, Opinioni e sentenze diverse, 224, Balsamo e veleno  [2] S. Kierkegaard, Il riflesso del tragico antico nel tragico moderno,  Tomo secondo, p24 e pp.33-34.

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