Mario
Draghi ha detto che un’Italia senza figli è destinata a scomparire.
Commento
tale affermazione aggiungendo, credo opportunamente, che per mettere al mondo
dei figli ci vogliono prospettive che lascino vedere qualche altro scopo oltre la
presunta felicità dei consumi, destinati oltretutto a ridursi nella quantità e
a peggiorare nella qualità.
La
gente è invogliata a fare figli se ha davanti a sé la visione di un futuro
migliore. Ma ora la prospettiva è talmente desolata che i giovani abbassano gli
occhi sui telefonini piuttosto che guardare davanti.
Sul
il venerdì di “la Repubblica” di oggi, 14
maggio 2021, leggo, a pagina 97, un bell’articolo
di Tomaso Montanari intitolato “Il
ritorno dei circenses”.
Le
parole scritte sono illustrate da una foto dall’alto del Colosseo.
Cito
alcune parole dello storico dell’arte: “Un ministro ha deciso di passare alla
storia rimettendolo in funzione, con un’arena nuova di zecca: 'torneremo all’epoca
Flavia' ha dichiarato”.
Giovenale scrive nel
tempo successivo ai Flavi le sue satire.
Nella
X leggiamo che il popolo “duas tantum res
anxius optat,-panem et circenses- 8vv. 80-81) desidera con ansia due sole
cose: il pane e i giochi del circo.
"Si pensi alla
Roma di Giovenale, a questo
rospo velenoso con gli occhi di Venere"[1].
Ora cito
anche Seneca che non vide il Colosseo
perché non fece in tempo, però gli è comunque capitato di osservare dei circenses
e tornato dall’orrendo spettacolo dove ha assistito a mera homicidia, omicidi veri
e propri, commenta:" avarior redeo,
ambitiosior, luxuriosior? immo vero crudelior et inhumanior, quia inter homines
fui ", torno a casa più avido, ambizioso, amante del lusso? anzi più
crudele e più disumano proprio perché sono stato in mezzo agli uomini (Ep. 7, 3). Il consiglio allora è: "recede in te ipse quantum potes ", rientra in te stesso quanto puoi (7, 8).
La posizione si radicalizza
nell'incipit di un'altra lettera: “ Seneca
Lucilio suo salutem. Sic est, non muto sententiam: fuge multitudinem,
fuge paucitatem, fuge etiam unum” (Ep.
10, 1), Seneca saluta il suo Lucilio. E' così, non cambio parere, evita la
folla, evita i pochi, evita anche uno solo.
La decadenza di una civiltà è
dovuta in gran parte al decadimento della socialità, del rispetto e della
solidarietà tra le persone. Il risultato è la misantropia, quella di Timone di Atene,
di Cnemone, il Dyskolos di Menandro,
e questa citata dalle Lettere di Seneca.
Si pensi che nella tragedia Filottete scritta da Sofocle per i cittadini ateniesi e rappresentata al popolo nel 409 a. C., il
protagonista depreca la propria solitudine coatta e desolata: abbandonato su un'isola deserta, lamenta di
essere movno" (v. 227), e[rhmo" (…) ka[filo" (v.
228) solo, abbandonato e senza amici.
Kierkegaard
in Enten Eller, nota che" il mondo antico non aveva la
soggettività riflessa in sé. Benché si muovesse liberamente, l'individuo
restava nell'ambito delle determinazioni sostanziali, nello stato, nella
famiglia, nel fato (…) La riflessione di Filottete non si sprofonda in se
stessa, ed è tipicamente greco che egli si dolga che nessuno sia a conoscenza
del suo dolore. Si ha qui una grande verità, e proprio qui si vede anche la
differenza con il vero e proprio dolore riflessivo, che sempre desidera d'esser
solo con il suo dolore, e che nella solitudine di questo dolore cerca sempre un
nuovo dolore"[2].
La scelta
della solitudine , condannata come disumana da Omero (nell’episodio del
Ciclope) a Menandro, lamentata come insopportabile da Filottete, più avanti, con la degenerazione brutale dei
rapporti umani, con la trasformazione delle persone in "turba ", folla fastidiosa e
fuorviante, diventerà non solo dignitosa ma necessaria.
In certe
situazioni passa non soltanto il desiderio dei figli ma perfino quello dell’amore
e della vita.
Tono a
citare Tomaso Montanari: “Chissà se, essendo ormai (o ancora?) in demo-crazia,
ci saranno demo-leoni che mangeranno demo-cristiani: ma pare che il ministro
non voglia rischiare”.
Concludo, in maniera arbitraria, con la disperazione ludicamente travestita da
Macbeth dopo l’assassinio del suo re: “There’s
nothing serious in mortality-all is but toys” (Macbeth, II, 3), non c’è niente di serio in questa vita mortale, è
tutto è ridotto a giocattoli. Che in questa tragedia sono pugnali presenti
perfino nei sorrisi degli uomini come osserva Donalbain, un
figlio di Duncan, il vecchio re di Scozia assassinato nel sonno nel Palazzo di
Macbeth dove era ospitato.
Ora i giocattoli più diffusi e presenti sono i cellulari che distraggono le
persone dai contatti reali e umani.
Bologna 14 maggio 2021 ore 18, 21
giovanni ghiselli
Già docente di latino e greco nei Licei Rambaldi di Imola, Minghetti e Galvani di Bologna, docente a contratto nelle università di Bologna, Bolzano-Bressanone e Urbino. Collaboratore di vari quotidiani tra cui "la Repubblica" e "il Fatto quotidiano", autore di traduzioni e commenti di classici (Edipo re, Antigone di Sofocle; Medea, Baccanti di Euripide; Omero, Storiografi greci, Satyricon) per diversi editori (Loffredo, Cappelli, Canova)
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