Riccardo III, scena terza del quarto atto
Entra Tyrrel inorridito
“The tyrannous and bloody act is done” (IV, 3, 1), l’atto tirannico e sanguinario è compiuto.
Gli aggettivi sanguinario e tirannico costituiscono una specie di tautologia.
Il tiranno è quasi sempre sanguinario. Pisistrato fa eccezione .
Aristotele nella Costituzione degli Ateniesi ricorda che Pisistrato amministrava gli affari della città con misura è politicamente piuttosto che tirannicamente – oj Peisivstrato" diw/vkei ta; peri; th;n povlin metrivw" kai; ma`llon politikw`" h] turannikw`", ed era umano e mite anche nei confronti di chi sbagliava filavnqrwpo" kai; pra`o" kai; toi`" ajmartavnousi (16, 2).
Valerio Massimo (I sec. d. C.) ricorda che la moglie lo esortava a far giustiziare un giovane che aveva osato baciare la loro figliola incontrata in pubblico. Ed egli rispose: “Si eos qui nos amant inerficiemus, quid eis faciemus, quibus odio sumus? ” (Factorum et dictorum memorabilium libri, V, I, str. 2), se ammazzeremo chi ci ama, che cosa faremo a quelli che ci odiano?
Infine Dante presenta il mite tiranno di Atene come esempio di mansuetudine nella terza cornice del Purgatorio: quella degli iracondi.
La moglie gli disse:
“Se tu se’ sire de la villa
Del cui nome ne’ dèi fu tanta lite,
e onde ogni scienza disfavilla,
vendica te di quelle braccia ardite
ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto”
E ‘l segnor mi parea, benigno e mite,
risponder lei con viso temperato:
“Che farem noi a chi mal ne disira,
se quei che ci ama è per noi condannato?” (Purgatorio, XV, 97, 105)
Il tiranno è quasi sempre pessimo come Riccardo III
La letteratura greca è percorsa dal motivo antitirannico: da Alceo che esulta per la morte di Mirsilo (fr. 332 LP), o copre di insulti Pittaco "to;n kakopatrivdan"( fr. 348 L P) dal padre ignobile, a Platone che certamente non risparmia biasimi al turanniko;" ajnh;r. Costui, nella Repubblica (573c) è uomo, per natura, o per le abitudini, "mequstikov".. ejrwtikov".. melagcolikov"", incline al bere, al sesso, alla depressione; inoltre è di animo sostanzialmente servile"oJ tw'/ o[nti tuvranno" tw/' o[nti dou'lo""(579e). Questa considerazione che sembra paradossale, magari dettata a Platone da un risentimento personale nei confronti dei despoti incontrati, è confermata da uno psicoanalista moderno: E. Fromm in Fuga dalla libertà sostiene che" l'impotenza dà luogo all'impulso sadico a dominare; nella misura in cui l'individuo è capace, cioè in grado di realizzare le sue possibilità sulla base della libertà e dell'integrità del suo io, non ha bisogno di dominare e non prova alcuna brama di potere" (p. 144).
L’avidità della ricchezza e il potere sono occasioni per la malvagità.
Come pure per per la stupidità: il Coro dell'Eracle di Euripide dopo la punizione del tiranno Lico afferma che l'oro, e il successo, spingono i mortali fuori dalla ragione tirandosi dietro un potere ingiusto:" oJ cruso;" a[ t j eujtuciva-frenw'n brotou;" ejxavgetai-duvnasin a[dikon ejfevlkwn" (vv. 774-776).
Su questa linea si trova anche Platone il quale chiama in causa Omero che ha rappresentato Tantalo, Sisifo e Tizio "ejn {Aidou to;n ajei; crovnon timwroumevnou""(Gorgia, 525e), puniti nell'Ade per sempre: questi erano appunto re e dinasti; mentre Tersite, e chiunque altro sia stato malvagio da privato cittadino ("ijdiwvth"") non ha avuto occasione di fare tanto male, e per questo si può considerare più fortunato dei potenti dai quali provengono "oiJ sfovdra ponhroiv" ( Gorgia,, 526a) quelli malvagi assai.
Bologna 27 maggio 2021 ore 12, 14
giovanni ghiselli
p.s
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