Partimmo quando dai monti occidentali calavano e si allungavano tutte ombre di un autunno che non prometteva abbondanza di frutti buoni.
Tre ore più tardi giungemmo a Epidauro. Facemmo in tempo a vedere l'antico teatro. Questo, circondato da un bosco odoroso e ben conservato, tuttavia non ci commosse: non eravamo aperti all'accoglienza della santità come a Olimpia dove avevamo sentito la ierogamia tra il cielo e la terra e avevamo visto raffigurata nel frontone più bello quella lotta tra il cosmo e il caos che avevamo anche dentro di noi.
La sera di Epidauo eravamo per giunta affamati più di cibo che di sacralità. Tanto che a cena spendemmo più del consentito e del previsto: dopo avere pagato e fatto il conto di quanto paurosamente poco restava, constatammo che se volevamo sperare di arivare a casa senza commettere atti criminali, dovevamo lesinare poprio su tutto. Concluso il discorso meschino ma necessario sui miseri quattrini rimasti, litigammo. Tanto per cambiare direte voi lettrici e lettori.
Vediamo la causa né seria né semiseria seria del litigio notturno.
Ifigenia propose di restare alzati tutta la notte , mentre io volevo andare a letto per dormire le ore necessarie a un sonno che mi avrebbe consentito di guidare l'automobile per tutto il giorno e magari pure la notte seguenti. Ma la spensierata, che come Epimeteo non prevedeva mai nulla, non dava importanza al mio pensiero preoccupato della guida: tanto lei durante i viaggi solitamente dormiva.
La parte dell'egoista capricciosa era congeniale alla sua natura e la recitava assai spesso, molto verosimilmente.
A un tratto disse: "ascolta, gianni, ho un'idea meravigliosa: invece di andare a dormire come fanno i tuoi amici, torpidi ghiottoni rimbecilliti e deformati dal cibo, camminiamo tutta la notte tra queste montagne dell'isola di Pelope. Molto meglio che passare la notte nel letto mezzo sudicio di una stanzetta brutta e affocata". Aveva già fatto una scena del genere in giugno, a Moena. Mi diede un forte fastidio anche perché pensavo che volesse evitare di fare l'amore senza dover dichiarare il disamore. Non era questo il motivo, perché poi fu lei a chiedere di farlo più volte. Era piuttosto la solita coperta via, il metodo di rinfacciarmi l'alloggio modesto allegoricamene, ossia dicendo altro.
Oppure voleva misurare il proprio potere sul servo che avrei dovuto diventare io nei suoi piani. Dai suoi occhi traluceva un delirio di onnipotenza.
Aggiunse: "se non te la senti, sei un vecchio e non meriti me"
Risposi: "Ifigenia, sarebbe oltremodo carino e assai giovanile per me vagabondare tutta la notte tra i monti magari rubando del cacio ai pastori addormentati, domani però e domani l'altro io dovrò guidare, e questa è l'ultima notte che possiamo dormire in un letto seppure men che modesto, siccome equivalente ai soldi con cui abbiamo potuto pagarlo. Per il resto del viaggio ci restano solo quelli per la benzina e per mangiare, se va bene, del pane con sopra della margarina o un altro surrogato"
"Appunto" ribattè, stravolgendo la logica mia, "passeremo due giorni e due notti chiusi nell'automobile, mangiando schifezze ipercaloriche senza muoverci mai: se non cammineremo questa notte, arriveremo a Bologna sconciati: enormi. Lo sai, è vero, tesoro che quando avrai compiuto il sessantesimo chilo ti lascerò?".
"Lo so, lo so", risposi. E pensai :"facciamo finta di niente".
Di fatto eravamo affamati e denutriti dalla sera seguente la cena venturosa e cara, seppure gratuita, e benedetta offertaci da Ezio. Avevamo le guance incavate , gli occhi infossati, le costole invece in alto rilievo.
Quindi le dissi: "Stammi a sentire: se questa notte non riposo, domano non posso guidare lucidamente. Dunque non voglio discuterne più e nemmeno parlarne per scherzo. Io sono stanco e ho sonno già ora. Vado a dormire. Tu fai pure quello che preferisci e tanto stupidamente ti aggrada. Da sola però"
Bologna 26 aprile 2021, ore 11, 8
giovanni ghiselli
p. s.
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