martedì 20 aprile 2021

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. XXIX. La morte di Antonio. Amor fati

Pompeo Batoni, Cleopatra e Marco Antonio morente
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La morte di Antonio. Amor fati


Plutarco prosegue riferendo le ultime parole di Antonio che dopo avere bevuto (piwvnVita, 76, 7) esortò Cleopatra a salvarsi se poteva esserci salvezza senza disonore (a]n h| mh; met j aijscuvnh"). Poteva  fidarsi solo di Proculeio fra gli amici di Ottaviano

Nel dramma di Shakespeare non c’è la narrazione semplice – aJplh' dihvghsi"- ma  il racconto procede dia; mimhvsew", per imitazione che l’autore fa dei personaggi che si scambiano battute ta; ajmoibai'a .

 

Il dramma in effetti contiene più personaggi che parlano: è, spiega Socrate, la specie di poesia e mitologia che toglie le parole intercalate ai dal poeta ai discorsi diretti lasciando solo le alterne battute (ta; ajmoibai'a) dei personaggi e dunque  si esprime dia; mimhvsew~, per imitazione (Platone, Repubblica, 394 b-c).

Se non appaiono i personaggi parlanti, abbiamo una narrazione semplice senza mimesi (a[neu mimhvsew~ aJplh' dihvghsi~ ), che si trova soprattutto nei ditirambi, specifica Platone attraverso Socrate, poi c’è la forma mista che è l’epica.

Vediamo dunque le battute che Shakespeare attribuisce ai due amanti

Cleopatra vuule imprecare contro la  falsa donna di casa, la meretrice fortuna provocandola fino a farle spezzare la sua ruota

Antonio le suggerisce di ottenere da Cesare onore e salvezza

Ma Cleopatra risponde: “They do not go together”  (IV, 15, 47): loro non vanno insieme

Antonio ribatte di non fidarsi di nessuno di quelli che stanno attorno a Cesare tranne Proculeio.

Cleopatra risponde: “My resolution and my hands I’ll trust;-none about Caesar (49-50) , mi fiderò della mia risoluzione e delle mie mani, di nessuno intorno a Cesare.

 Le ultime richieste di Antonio  a Cleopatra:  non lamentarti e non addolorarti del miserevole cambiamento giunto alla fine della vita, ma  confort i tuoi pensieri nutrendoli con le precedenti fortuna nelle quali ho passato la vita-in feeding them with those my former fortunes –wherein I lived  (53-54) the greatest prince o’ the world,-the noblest io che sono stato il più grande principe del mondo, il più nobile, e ora  muoio non  bassamente-not basely-, né mi tolgo con vigliaccheria l’elmo davanti a un concittadino. Now my spirit is going-I can no more (58-59),  ora il mio spirito se ne va: non ce la faccio più.

 

Il darsi animo e l’arroccarsi nella propria individualità.  

Si può attribuire anche ad Antonio quanto T. S. Eliot dice di Otello: "Quel che Otello mi sembra faccia nel tenere questo discorso è darsi animo. Egli tenta di sfuggire alla realtà, ha cessato di pensare a Dsdemona, e sta pensando a se stesso. L'umiltà è, di tutte le virtù, la più difficile a conseguire: nulla è più duro a morire del desiderio di pensar bene di se stessi. Otello riesce a mutarsi in personaggio patetico, adottando un'attitudine estetica piuttosto che morale, drammatizzandosi di contro all'ambiente. Egli seduce lo spettatore, ma il motivo umano è primariamente sedurre se stesso" [1].

Otello vuole essere ricordato come uno che servì lo Stato, uno che amò saviamente ma non troppo bene, uno non geloso ma divenuto dissennato per istigazione, uno che come l'indiano ignorante buttò via la perla più preziosa della tribù, uno che una volta ad Aleppo punì un cane circonciso il quale batteva un veneziano e calunniava la repubblica. (V, 2, 337-355).

E’ il  “darsi animo”, l'atteggiamento che Eliot individua nello stoicismo romano, rappresentato da Seneca, in Shakespeare e in Nietzsche:"Nietzsche è il più cospicuo esempio moderno del darsi animo. L'attitudine stoica è il rovescio dell'umiltà cristiana"[2].

T. S. Eliot trova delle analogie tra i personaggi di Seneca e quelli di Shakespeare  precisamente in questo loro arroccarsi nella propria individualità: "Nell'Inghilterra elisabettiana si hanno condizioni in apparenza affatto diverse da quelle di Roma imperiale. Ma era un'epoca di dissoluzione e di caos; e in tale epoca, qualsiasi attitudine emotiva che sembri dare all'uomo alcunché di stabile, anche se è soltanto l'attitudine di "io sono solo me stesso", è avidamente assunta. Ho appena bisogno di segnalare...quanto prontamente, in un'epoca come l'elisabettiana, l'attitudine senechiana dell'orgoglio, l'attitudine montaigniana dello scetticismo, e l'attitudine machiavellica del cinismo giunsero a una specie di fusione nell'individualismo elisabettiano. Questo individualismo, questo vizio d'orgoglio, fu, necessariamente, sfruttato molto a causa delle sue possibilità drammatiche...Antonio dice "Sono ancora Antonio [3]" e la Duchessa "Sono ancora Duchessa di Amalfi "[4]; avrebbe sia l'uno che l'altro detto questo se Medea non avesse detto Medea superest ?"[5].

 

Plutarco racconta senza farne un dialogo, con semplice narrazione dunque, che Antonio chiese a Cleopatra mh; qrhnei`n ejpi; tai`" ujstavtai" metabolai`" (77, 7) di non piangere sugli ultimi cambiamenti, ma di considerarlo beato per le cose belle avute in sorte (ajlla; makarivzein w|n e[tuce kalw`n): egli era stato il più illustre degli uomini, aveva esercitato un potere grandissimo e ora era  vinto in modo non ignobile- kai; nu`n oujk ajgennw`" krathqeiv"- da Romano a opera di un Romano.

Per conservare la propria dignità nella sconfitta bisogna comportarsi in modo non ignobile: significa accettare la series causarum , cioè il destino.

Manifestare amor fati: “ il necessario non mi ferisce; amor fati è la mia intima natura”[6] , das ist  meine innerste Natur.

Del resto ogni persona secondo Nietzsche coincide con il suo destino: "Il fatalismo turco contiene l'errore fondamentale di contrapporre fra loro l'uomo e il fato come due cose separate…In verità ogni uomo è egli stesso una parte di fato… Tu stesso, povero uomo pauroso, sei la Moira incoercibile che troneggia anche sugli dèi"[7].

 Cfr. h\qo~ ajnqrwvpw/ daivmwn[8] di Eraclito, il carattere è il  destino dell’uomo.

Mentre Antonio muore, la Cleopatra di Shakespeare gli rivolge le ultime parole d’amore: “nobilissimo tra gli uomini noblest of men, vuoi dunque morire? Non ti curi di me? Dovrò restare in questo mondo ottuso che nella tua assenza non è migliore di un porcile? (…) l’eccezionalità ora è sparita e non rimane nulla di non ordinario sotto la visitante luna (IV, 15, 59- 68).  Il non ordinario infastidisce le persone ordinarie,  suscita spesso il loo odio, mentre attira le persone stra-ordinarie  

 

Bologna 20 aprile 2021 ore 9 e 31

giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] T. S. Eliot, Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot. Opere, p. 798.

[2] Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot, Opere, p. 799.

[3] "I am Antony yet ", Antonio e Cleopatra (del 1606-1607) , III, 13.

[4]Da La duchessa di Amalfi (del 1614) , di J. Webster  (1580-1625).

[5]Shakespeare e lo stoicismo di Seneca, in T. S. Eliot Opere , p. 800..

[6] F. Nietzsche, Ecce homo, il caso Wagner, 4

[7]Nietzsche, Umano troppo umano , vol. II, parte seconda, Il viandante e la sua ombra, 61...

[8] Fr. 91 Diano.

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