NUOVE DATE alla Biblioteca «Ginzburg»: Protagonisti della storia antica

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lunedì 26 aprile 2021

La presenza degli autori classici nelle tragedie di Shakespeare. XXVII. Ultimo scambio di battute tra Cleopatra e Ottaviano nell’Antonio e Cleopatra

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Ultimo scambio di battute tra Cleopatra e Ottaviano nell’Antonio e Cleopatra

L’ereditarietà della colpa. Il disprezzo del lavoro mercantile

 

Cleopatra dice: si deve sapere che noi, le persone più grandi della storia umana, siamo mal giudicati per cose fatte male da altri - be it known thate we, the greatest, are miss - thought/ for things that other do, e quando cadiamo rispondiamo con il nostro nome di quanto hanno meritato altri, and when we fall, - we answer other merits L. meritum - merere in our name, e quindi siamo degni di compassione, and therefore to be pitied” (V, 2, 276 - 279)

Ancora una negazione della felicità di chi raggiunge o eredita il potere nel cui ambito vige, secondo Cleopatra, la legge della ereditarietà della colpa chiarita per la propria stirpe da Eteocle nei Sette a Tebe di Eschilo.

Un problema grande nell’uomo greco è quello della ereditarietà delle colpe dei padri. Sentiamone alcune espressioni: Eteocle nei Sette a Tebe non è personalmente colpevole ma deve pagare per :"la trasgressione antica/dalla rapida pena/che rimane fino alla terza generazione:/quando Laio faceva violenza/ad Apollo che diceva tre volte,/negli oracoli Pitici dell'ombelico/del mondo, di salvare la città/morendo senza prole;/ma quello vinto dalla sua dissennatezza/generò il destino per sé,/Edipo parricida,/quello che osò seminare/il sacro solco della madre, dal quale nacque/radice insanguinata,/e fu la pazzia a unire/gli sposi dementi" (vv.742 - 757).

Il Coro dell ’Antigone di Sofocle deplora la catastrofe della ragazza con queste parole: "Avanzando verso l'estremità dell'audacia,/hai urtato , contro l'eccelso trono della Giustizia,/creatura, con grave caduta,/ del resto sconti una colpa del padre" (vv. 853 - 856).

Ora leggiamone un’interpretazione, a sua volta parecchio problematica, di Pasolini: “Uno dei temi più misteriosi del teatro tragico greco è la predestinazione dei figli a pagare le colpe dei padri. Non importa se i figli sono buoni, innocenti, pii: se i loro padri hanno peccato, essi devono essere puniti. E’ il coro - un coro democratico - che si dichiara depositario di tale verità: e la enuncia senza introdurla e senza illustrarla, tanto gli pare naturale”

Pasolini trova una ragione nella legge della tragica predestinazione a ereditare le colpe: i giovani del 1975 sono figli di padri colpevoli, padri “che si son resi responsabili, prima, del fascismo, poi di un regime clerico - fascista, fintamente democratico, e, infine, hanno accettato la nuova forma del potere, il potere dei consumi, ultima delle rovine, rovina delle rovine”. I figli dunque sono puniti. “Ma sono figli “puniti” per le nostre colpe, cioè per le colpe dei padri. E’ giusto? Era questa, in realtà, per un lettore moderno, la domanda senza risposta, del motivo dominante del teatro greco. Ebbene sì, è giusto. Il lettore moderno ha vissuto infatti un’esperienza che gli rende finalmente, e tragicamente, comprensibile l’affermazione - che pareva così ciecamente irrazionale e crudele - del coro democratico dell’antica Atene: che i figli cioè devono pagare le colpe dei padri. Infatti i figli che non si liberano delle colpe dei padri sono infelici: e non c’è segno più decisivo e imperdonabile di colpevolezza che l’infelicità”.

E le colpe dei padri? Esse sono la complicità col vecchio fascismo e l’accettazione del nuovo fascismo. Perché tali colpe?

“Perché c’è - ed eccoci al punto - un’idea conduttrice sinceramente o insinceramente comune a tutti: l’idea cioè che il male peggiore del mondo sia la povertà e che quindi la cultura delle classi povere deve essere sostituita con la cultura della classe dominante. In altre parole la nostra colpa di padri consisterebbe in questo: credere che la storia non sia e non possa essere che la storia borghese” [1].

 

Ottaviano risponde a Cleopatra che non intende sottrarle nulla di quanto ella ha dichiarato e si è meritata e prende le poprie distanze dalla figura del mercante che l’antica aristocrazia disprezzava e magari anche la moderna lo fa, soprattutto se è di origine mercantile.

Caesar ’s no merchant, to make prize with you - of things that merchants sold” (V, 2, 183 - 184), Cesare non è un mercante da contrattare con voi un prezzo delle cose vendute dai mercanti.

 

Il disprezzo del mercante risale all’Odissea.

 Odisseo si offende poiché il Feace Eurialo gli ha detto che non sembra un atleta bensì un ajrco;" nautavwn oi{ te prhkth're" e[asi (Odissea, VIII, 162) capo di marinai che sono mercanti ed è ejpivskopo" kerdevwn aJrpalevwn, ispettore di guadagni rapaci (163 - 164).Cfr. la lex Claudia de senatoribus ( del218 a. C.) proposta dal tribuno della plebe Quinto Claudio e approvata. Prescriveva che nessun senatore potesse avere una nave con una capacità superiore alle 300 anfore.

 “Id satis habitum ad fructus ex agris vectandos, quaestus omnis patribus indecōrus visus” tale carico si ritenne impiegato per il trasporto dei prodotti agricoli, ogni profitto ritenuto indecoroso per i senatori (Livio, XXI, 63)

La legge aveva avuto l’appoggio del senatore Caio Flaminio il quale allora ebbe la malevolenza del patriziato e il favore della plebe che lo elesse console per la seconda volta. Venne eletto senza che si fossero presi gli auspìci. Morirà nel 217 sconfitto da Annibale al Trasimeno

 

Dante nell’elogio di San Francesco scrive:

“Né li gravò viltà di cor le ciglia

Per esser fi’ di Pietro Bernardone,

né per parer dispetto a maraviglia” (Paradiso, XI, 88 - 90)

Il padre di Francesco di Assisi era un mercante appunto.

Se ne ricorda Parini nell'ode Alla Musa dove considera estraneo alla poesia "il mercadante che con ciglio asciutto/fugge i figli e la moglie ovunque il chiama/dura avarizia nel remoto flutto" (vv. 1 - 3).

Leopardi nel canto Il pensiero dominante condanna la sua età "superba,/ che di vote speranze si nutrica,/vaga di ciance, e di virtù nemica;/stolta, che l'util chiede,/e inutile la vita/quindi più sempre divenir non vede" (vv. 59 - 64).

Ancora più duramente si esprime nei confronti del lucro il poeta di Recanati nella Palinodia al Marchese Gino Capponi: " anzi coverte/fien di stragi l'Europa e l'altra riva/dell'atlantico mar... sempre che spinga/contrarie in campo le fraterne schiere/di pepe o di cannella o d'altro aroma/fatale cagione, o di melate canne,/o cagion qual si sia ch'ad auro torni" (vv. 61 - 67).

 

Bologna 26 aprile 2021, ore 19, 40

giovanni ghiselli

 

p. s.

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[1] P. P. Pasolini, Lettere luterane, I giovani infelici, pp. 5 - 12.

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